Una potente catechesi a partire dall'inno dei Vespri del Lunedì
La letteratura è una forma di conoscenza, al pari della teologia o della filosofia, ma procede in un modo diverso: anziché tentare di analizzare e definire i concetti ne coglie il valore simbolico. Questo modo di procedere, se perde qualcosa in termini di esattezza, guadagna però moltissimo in termini di suggestione e di concretezza vitale. Un concetto una volta analizzato è morto, sezionato su un tavolo operatorio non ha più niente della vita. Un simbolo invece più lo scruto e più diventa vivo e fecondo tra le mie mani, suggerendo sempre nuovi sviluppi e approfondimenti. Il simbolo cresce con me mentre lo medito.
Questa forma di conoscenza ovviamente è inadatta là dove l'esattezza analitica e il rigore logico sono necessari, ad esempio nella teologia dogmatica o nel diritto canonico, ma è molto più ricca e feconda dove invece entra in gioco la concretezza della vita umana, come nella spiritualità e nella teologia mistica.
Così oggi con voi vorrei applicare questa forma di conoscenza e andare a caccia di simboli, più che di concetti, come se dovessimo seguire una pista in un bosco, attingendo alla Bibbia, ma anche alla letteratura, alla poesia, alla psicologia, insomma a tutto ciò che è conoscenza dell'uomo. Ho scelto come “preda” in questa caccia metaforica un testo che conosciamo sicuramente molto bene, che recitiamo ogni settimana: l'inno dei Vespri del Lunedì (nella forma italiana del Breviario).
che all'impeto dei flutti
segnasti il corso e il limite
nell'armonia del cosmo
Tu all'aspre solitudini
della terra assetata
donasti il refrigerio
dei torrenti e dei mari.
Irriga o Padre Buono
i deserti dell'anima
con i fiumi di acqua viva
che sgorgano da Cristo”
1) Il corso e il limite
La prima cosa che dobbiamo fare per iniziare questa caccia è abbandonarci alla suggestione, alla forza evocativa delle parole. Lasciare le rigide regole dell'esegesi e avventurarci in terre incognite permettendo alle parole, nella loro nudità, di suscitare echi dalle fonti più varie: la letteratura, la psicologia, la filosofia, la Bibbia stessa…
“O immenso Creatore,/ che all'impeto dei flutti/ segnasti il corso e il limite/ nell'armonia del cosmo”. Questi versi mi sono sempre sembrati bellissimi: il Dio immenso, cioè senza misura, crea ponendo un corso e un limite, ossia dà alle cose una misura, e in questo modo le fa esistere: tutto esiste in armonia perché ha un corso e un limite, cioè una direzione e un significato: il corso, la direzione della tua vita è il senso per cui esisti ed è al tempo stesso il tuo limite, ciò che ti definisce.
Senza questo corso che è il senso della tua vita e la tua vocazione (che è anche una pro-vocazione, appello, chiamata, responsabilità… perché diversamente dalle cose tu esisti nella libertà) tu non saresti. Sono chiamato, dunque sono, e tanti saluti a Cartesio.
Le cose dunque, ed ancor di più le persone, una volta che hanno ricevuto da Dio la loro vocazione ed il loro limite non si limitano a genericamente ed indiscriminatamente essere, ma il loro essere diventa un esistere, un essere-per. E nel caso delle persone questo essere-per porta con sé una responsabilità, cioè una abilitas-a-rispondere.
Il tuo futuro definisce il tuo presente, non viceversa. Tu non sei chi sei e nemmeno chi sei stata, nello sguardo di Dio tu sei innanzitutto chi sarai, perché tu non sei la tua storia, ma la tua vocazione.
E poi ci sono i flutti, cioè l'acqua, il mare… biblicamente il mare è il simbolo del caos primordiale, è l'acqua oscura su cui aleggiava lo Spirito Santo prima della Creazione. Mi fa pensare a tutto ciò che si agita in noi, nell'inconscio, alle forze immense, incontrollate e vitali, che sorgono dal profondo, alle spinte contraddittorie che sembrano tirarci in ogni direzione.
Il mare è vita e morte al tempo stesso, è ciò che nessuno può regolare, nessuno può rinchiudere. È l'archetipo dell'inconscio, tremendum et fascinans. D'istinto ti fa paura, sai che è pericoloso lasciarsene afferrare e trasportare, eppure… eppure al tempo stesso senti che fondersi con esso significa entrare in comunione con il tuo intimo più intimo: “homme libre, toujours tu cheriras la mer!” (Baudelaire).
Così due atteggiamenti opposti sono possibili di fronte al mare: rifiutarlo e tentare di sottometterlo o accettarlo ed abbandonarsi ai suoi flutti.
Due atteggiamenti che mi sembrano incarnati da Achab e Santiago, i protagonisti di “Moby Dick” e de “Il vecchio e il mare”, due storie di lotta, di guerra. Due uomini in lotta contro il mare e le sue forze, ma in modo diverso: Achab che vuole sottomettere il mare e vede nel grande capodoglio il male assoluto, il nemico del genere umano: “E sulla bianca schiena dell'animale egli scaricò la somma della rabbia e l'odio provati dalla propria razza; se il suo petto fosse stato un cannone, egli, egli gli avrebbe sparato contro il suo cuore”. E Santiago, che invece uccide alla maniera pellerossa, con rispetto, con amore, in un continuo dialogo con il grande pesce, nella consapevolezza del legame che li unisce.
Così, mentre Achab in realtà detesta il mare, e lo percepisce come ostile, come un nemico da sottomettere, Santiago con il mare è un tutt'uno, esso è la sua casa, il suo ambiente naturale.