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A proposito della nullità del matrimonio…

SACRA ROTA – it

MASSIMILIANO MIGLIORATO PP

November 04,2013 :Meeting of inauguration of the judicial year of SACRA ROTA

Finesettimana.org - pubblicato il 17/08/15

Un contributo alla riflessione in vista del Sinodo

di Luisa Solero*

Fra le proposte del Sinodo c’è anche quella di ampliare, rendere più agile e accessibile, possibilmente gratuita, la richiesta di nullità del matrimonio. Io ci penso da tempo, a mio parere il tribunale ecclesiastico oggi non ha più senso, o lo ha per casi residuali, forse ha perso la sua ragion d’essere, o piuttosto ha evidenziato i suoi limiti. Penso dunque che tutta la materia che riguarda la nullità del matrimonio andrebbe rivista, e non nel senso di aumentare le possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità, o di aumentare le competenze del tribunale allargandole alla possibilità di accertare la sopravvenuta morte del vincolo matrimoniale. Neppure riterrei utile attribuire al tribunale ecclesiastico la competenza ad esaminare i casi e a stabilire un percorso penitenziale che consenta la ripresa della pratica sacramentale e la eventuale benedizione di un “secondo” matrimonio. A mio parere il tribunale ecclesiastico dovrebbe proprio essere abolito, perché penso che vada avviato un diverso modo di pensare, e lo penso per diverse ragioni. Già il concetto di tribunale va stretto. Se Dio è il Giudice misericordioso che esercita la giustizia attraverso i canoni del perdono, mi domando come possa la chiesa pensare di utilizzare altri schemi, o arrogarsi la pretesa di giudicare secondo altri canoni che non siano quelli di Dio. Mi domando come possano fare degli uomini, chiamati per vocazione all’esercizio della misericordia, a mettersi nella prospettiva di giudicare secondo criteri legalistici e non secondo l’amministrazione del perdono. E’ semmai attraverso il sacramento della riconciliazione (sacramento che pure andrebbe rivisto e riscoperto nella sua dimensione di incontro con il Dio della misericordia e del perdono) che può individuarsi, io credo, una soluzione, o forse la assoluzione. Lì, nel sacramento, Egli è presente, fra le persone che gli stanno davanti nella loro autentica povertà, tanto il prete che il penitente, o i penitenti, e il dono del perdono non arriva perché si sono portate delle prove, o si è accusata una colpa. Spesso nella fragilità del matrimonio non ci sono colpe, ci sono forse errori, sviste, poca attenzione, fragilità appunto dell’uno o dell’altro, o di entrambi.

Nel sacramento della riconciliazione il perdono arriva perché nell’incontro il prete lo invoca e il penitente lo chiede. Io poi sono convinta che la misericordia di Dio sia così grande che il perdono arriva anche se uno non lo chiede, credo che i sacramenti non siano necessari per sperimentare l’amore di Dio, che ci siano molti santi fra i non credenti, e che fede e religione non siano la stessa cosa. Io penso che la materia del matrimonio appartenga più all’area del perdono, che a quella dei presupposti codificati del diritto canonico. Varrebbe la pena di fare una ricerca per vedere se e quale valenza abbia la nullità matrimoniale nelle varie aree del mondo. Qui da noi c’è il tribunale di prima istanza e quello di seconda istanza, mentre a fronte di una difformità di giudizi c’è la Sacra Rota. C’è un certo numero di richieste, sappiamo che una buona parte perviene a sentenza di accoglimento. Ma quante siano le richieste di nullità in Francia o Germania, in Europa, negli Stati dell’America Latina o dell’Africa e via dicendo, non saprei. So di un prete che era stato mandato in Kenia per occuparsi di nullità dei matrimoni… Come se si potessero applicare al matrimonio in Kenia, o al celibato dei preti africani, i principi del diritto romano su cui si fonda il diritto canonico. Del resto, una collega tedesca qualche anno fa mi diceva che l’istituto della nullità del matrimonio, civile o religioso, in Germania è praticamente un istituto sconosciuto. La nullità del matrimonio civile (che da noi ha margini ristretti) io non l’ho mai incontrata nell’arco della mia professione, ricordo solo un possibile caso cui peraltro si rinunciò, dal momento che la dichiarazione di nullità, mettendo nel nulla il matrimonio, avrebbe tolto alla persona interessata anche quel minimo di tutela economica che viceversa una separazione, e in futuro il divorzio, le poteva in qualche modo garantire. Di nullità del matrimonio religioso (con ricaduta su quello civile stanti i Patti Lateranensi) ne ho avuto varie esperienze, pur non essendomene occupata direttamente. Quello che posso dire è che a monte spesso c’era un accordo fra le parti, che si erano accordate nel senso di assumersi appunto una responsabilità attraverso il riconoscimento di una immaturità data dalla giovane età, dalla mancanza di esperienza, dalla ricerca di uscire dai vincoli dalla famiglia, o c’era la conferma di una propria inadeguatezza, o della esclusione di figli, o la mancanza di fede o di consapevolezza del sacramento…

Quante volte dietro la richiesta congiunta, o anche di quella avanzata dall’uno nei confronti dell’altro, quante volte a monte c’era anche un pagamento di somme importanti, la cessione di proprietà di una casa, regolazioni economiche, l’assunzione delle spese legali… Certamente ognuno ha la sua storia, e tanti sono i motivi, ma quello che posso dire per esperienza di tante vicende è che dentro e dietro la richiesta di nullità c’è una sorta di freddezza, una sorta di ambiguità di fondo. L’indagine si ferma al momento della celebrazione del sacramento e va alla ricerca degli antefatti che sostengano una decisione di nullità così da far cadere, come si dice “in radice”, il matrimonio. Si costruisce cioè una via di uscita che oltrepassi a piedi pari il contenuto della relazione nel tempo, e consenta un decollo futuro, spesso idealistico o fantastico quanto lo era stato il primo. Né la consulenza tecnica, che spesso viene richiesta all’interno del procedimento, aiuta le persone ad un ripensamento del proprio vissuto al fine di dargli un senso. Anzi, spesso la consulenza tecnica costituisce per le persone più fragili una invasione della sfera personale inutile e penalizzante, mentre le persone più forti utilizzano la consulenza per raggiungere il loro risultato, anche a prezzo della sofferenza e della fragilità dell’altro. La nullità del matrimonio è spesso una ferita grave che viene inferta all’altro. Quando lo si accusa di incapacità (psichiatrica o psicologica, sessuale nelle sue varie sfumature…), la richiesta di nullità può essere perfino sconvolgente, può arrivare a minare la personalità. Per che cosa e per che fine? Talvolta la rinuncia a chiedere l’accertamento di una causa di nullità va proprio nel senso del rispetto dell’altro, diventa un autentico gesto d’amore. Una volta un cliente, proprio davanti alla scelta o meno di intraprendere un procedimento di nullità, mi ha detto che, per amare veramente, delle volte è meglio “non” fare qualcosa, piuttosto che farla. Se poi lo sguardo va ai figli, la mia esperienza mi dice che la nullità del matrimonio dei genitori può non essere rasserenante per loro.

La separazione dei genitori è certamente dolorosa, è la fine di un mondo anche se non è la fine del mondo, e i figli la attraversano con la fatica della elaborazione di un lutto. Come per i lutti, anche il tempo della separazione aiuta a recuperare i ricordi buoni, a ricostruire le relazioni in modo diverso e a guardare il futuro con occhi nuovi. Dentro questa dimensione, il successivo divorzio dei genitori viene vissuto come una ridefinizione dei ruoli (restano genitori se non più coniugi), come una strada aperta verso il futuro (si parla oggi di diritto a rifare famiglia), come il riconoscimento di una storia vissuta che si è evoluta in modo diverso da come era stata pensata, ma che è valsa la pena di vivere, perché nulla di ciò che era buono è andato perduto (e i figli ne sono la prova). I coniugi senza figli si separano con molta malinconia, per loro la sensazione più forte e più dolorosa è quella del tempo perduto. La nullità del matrimonio dei genitori è spesso difficile da spiegare ai figli, o richiede una particolare attenzione verso di loro. Quando infatti un tribunale ecclesiastico emette una sentenza di nullità è come se il matrimonio non fosse mai esistito, anzi la sentenza dichiara proprio che non è mai esistito, è stato un errore sostanziale, si dichiara la nullità, si ritorna insomma alla casella di partenza. Puoi dire ai figli che loro restano legittimi per legittimità putativa (che oggi non esiste più), ma un matrimonio messo nel nulla ha un sapore amaro, viene etichettato come un errore, uno sbaglio, una nullità appunto, e può mettere in grave disagio i figli. Essi sono nati da un gesto d’amore e hanno bisogno di sentirsi dire che quell’amore c’era, ed era vero, e non era un errore o una nullità. Un tribunale ecclesiastico è, nell’immaginario delle persone, una istituzione sacra anche se fatta da uomini, e una sentenza di nullità emessa dalla chiesa non è rassicurante, non dà senso e significato al tempo vissuto, alle difficoltà affrontate e ai rapporti ricostituiti. Non rilancia un futuro che tenga conto del passato. Agli occhi dei figli la nullità del matrimonio può suonare priva di senso, perché li fa privi di senso. Chi può giudicare?

Ciascuno attraversa come può il breve spazio della vita. Le persone si sposano secondo le varie tradizioni e le diverse culture, in Europa come in Africa o altrove. I legami sopravvivono se si alimentano nella quotidianità e non in funzione di un rito celebrato. E’ la promessa che si è fatta allora che insegue i coniugi nel tempo, sempre che essi la sappiano riconoscere, e riconfermare giorno dopo giorno, e portare con sé. Se non ce la fanno, forse è meglio un aiuto terapeutico che li aiuti a capire il perché, e a ritrovare il senso di un cammino da percorrere ancora insieme, o l’alternativa di una scelta diversa, magari sofferta ma forse migliore, per sé e per i figli. Ha senso oggi un tribunale ecclesiastico? Io credo che oggi nessuno possa pensare che il sostegno e l’aiuto della misericordia di Dio possa arrivare da un tribunale ecclesiastico, credo che nessuno possa riporre nell’immagine di una Chiesa giudicante il senso di sollievo e di speranza per guardare al futuro. Oggi l’uomo chiede anche alla società civile di cercare strade di benevolenza e di pace, di accoglienza e di integrazione, di rispetto dell’altro e di soluzioni da trovare attraverso il dialogo. Non è più il giudizio formale che proviene dall’alto che fonda il vivere sociale, ma la ricerca di soluzioni condivise attraverso l’accettazione anche dei limiti dell’altro. Se è vero dunque che anche la società civile si pone come obiettivo quello di un diritto mite per fondare una società migliore, come fa la Chiesa a non pensare che la ricerca della pace passa attraverso altre strade che non sono quelle del giudizio ma quelle della misericordia? Perché non c’è pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono. 

* Avvocato del Foro di Padova, esperto in diritto della famiglia e dei minori

Tratto da "Matrimonio" 

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