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Perché nei Vangeli Gesù guarisce spesso di sabato?

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Dimensione Speranza - pubblicato il 12/08/15

Che cosa giustifica la sua deroga all’osservanza sabbatica?

di Luciano Manicardi

Il lettore dei vangeli si imbatte più volte in racconti in cui Gesù guarisce persone malate in giorno di sabato: la guarigione di un indemoniato (Mc 1,21-28; Lc 4,31-37); della suocera di Simone (Mc 1,29-31; Lc 4,38- 39); di un uomo dalla mano inaridita (Mc 3,1-6; Mt 12,9-14; Lc 6,6-11); di una donna curva (Lc 13,10-17); di un idropico (Lc 14,1-6); di un infermo alla piscina d Betzaetà (Gv 5,1-18); di un uomo cieco dalla nascita (Gv 9,1-41). Queste guarigioni suscitano obiezioni, diffidenze e anche reazioni e proteste presso farisei e dottori della legge. Perché?

L’Antico Testamento prescrive che nel settimo giorno, lo shabbat, l’uomo si astenga dal lavoro per fare memoria del Dio che creando, il settimo giorno cessò di lavorare (Genesi 2,2-3; Es 20,8-11), e per fare memoria della liberazione dalla casa di schiavitù egiziana che Dio operò per i figli d’Israele (Dt 5,12-15). Astenendosi dal lavorare nel settimo giorno l’uomo compie una confessione di fede: non il suo operare manda avanti il mondo, ma Dio. E fa anche un’esperienza di libertà dal lavoro che potrebbe, se non soggetto a limiti, divenire allenante e schiavizzante. 

Ovviamente, il divieto di lavorare necessitò di concretizzazioni e specificazioni di fronte alle mille situazioni di necessità che la vita presenta in cui il ricorso a un’attività diviene necessario o almeno molto sensato. Pertanto la tradizione ebraica ha progressivamente elaborato, a partire dai dati contenuti nelle Scritture, delle indicazioni per orientare il comportamento dei credenti circa i lavori possibili o meno in giorno di sabato. Dai testi biblici provennero anche la molteplicità e le divergenze delle interpretazioni tra i vari gruppi giudaici dell’epoca di Gesù. Per esempio, secondo Es 34,21, in giorno di sabato è proibito arare e mietere, ma al tempo di Gesù anche raccogliere poche spighe di grano era considerato mietitura (cfr. Mc 2,23-24). 

Secondo Es 35,3, di sabato è proibito accendere un fuoco. Più tardi la tradizione ebraica aggiungerà l’interdizione di spegnere un fuoco, dando così il via a una serie di dibattiti su come ci si dovesse comportare in caso di incendio, La biblica limitazione degli spostamenti in giorno di sabato (Es 16,29: “Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo in cui si trova”) condusse alcuni ambienti giudaici più rigorosi (gli esseni) a stabilire in circa 500 metri la misura del “limite del sabato” (cfr. At 1,12: “il cammino permesso in giorno di sabato”) e i farisei nel doppio. Le disposizioni riguardanti le attività interdette si fecero sempre più dettagliate andando sia nel senso di una interpretazione rigorosa e stretta, sia in direzione di un ammorbidimento e di una interpretazione larga. 

All’interno di questo panorama articolato, e tuttavia concorde sul dato basilare del rispetto rigoroso della santità del sabato, si imposero eccezioni o per ragioni umanitarie o a causa di un comandamento ancor più inviolabile. Per motivi umanitari, i maestri d’Israele – nelle sentenze che ci sono riferite dai testi basilari della tradizione ebraica post-biblica -stabilirono che era permesso assistere una partoriente il giorno di sabato (“A una puerpera si presta qualsiasi aiuto di sabato, si può farle venire la levatrice da un luogo all’altro, si può per lei profanare il sabato”). Se tra i lavori proibiti di sabato vi è lo spegnere un fuoco, la tradizione ebraica affermò che “si può spegnere il lume per amore di un malato affinché dorma”. 

In particolare si venne imponendo (negli ambienti farisaici) il principio generale per cui il pericolo di vita aveva la precedenza sull’osservanza del sabato: “Se uno ha male in gola gli si può mettere in bocca la opportuna medicina di sabato, perché vi può essere pericolo di vita e per qualunque dubbio di pericolo di vita si può profanare il sabato. Se pertanto un muro crolla addosso a taluno e vi è dubbio s’egli si trovi o non si trovi sotto le macerie, s’egli sia vivo o morto, .. .si possono sgomberare le macerie da sopra di lui”. Il medico poteva visitare il paziente se vi era pericolo di vita. Tra gli argomenti che giustificano la deroga all’osservanza sabbatica vi si trova quello che afferma che le leggi date da Dio, e anche la legge del sabato, sono state date perché l’uomo viva grazie ad esse e non muoia a causa loro. 

All’epoca di Gesù il principio per cui il “salvare una vita” prevale sul sabato era corrente negli ambienti farisaici e si sarebbe imposto nella tradizione successiva. Così recitano alcuni testi ebraici: “Si sta attenti, di sabato, a salvare la vita degli uomini”; “Non si applica nessun interdetto della Torah quando si tratta di salvare una vita”; “In giorno di sabato si prendono tutte le misure precauzionali necessarie in caso di pericolo di morte; più le cure sono premurose, meglio è, e senza chiedere il permesso delle autorità. Il giorno di sabato si scalda l’acqua per un malato, sia per curarlo, che in vista della guarigione… 

La cura della vita è più importante del sabato”. Tuttavia, per malanni che non comportavano alcun pericolo mortale, le regole restrittive restavano in vigore ed era proibito, per esempio, preparare un medicamento il giorno di sabato. Di certo, le norme che vietavano il trattamento medico diventavano oggetto di discussione quando si scendeva ai dettagli specifici e possiamo ritenere che la stragrande maggioranza della popolazione fosse assai tollerante quando si trattava di cure di poca rilevanza. Questo il complesso contesto in cui si trovò ad operare Gesù.

Gesù sembra scegliere intenzionalmente di guarire in giorno di sabato, anche compiendo lavori, seppure di minima entità, che erano proibiti in quel giorno (p. es., preparare un medicamento mediante un impasto: Gv 9,6.11.14.15), e tuttavia ciò che viene rimproverato a Gesù non è il modo con cui egli opera guarigioni, ma il fatto che egli opera guarigioni anche quando non vi è assolutamente pericolo di vita. Gesù approfondisce il principio farisaico del “salvare una vita” e lo estende al “fare il bene”: “È lecito di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o farla perire?” (Lc 6,9). Si può e si deve sempre fare il bene, specialmente di sabato, perché proprio questa è la destinazione messianica di questo giorno nell’intenzione divina. Infatti, giorno di celebrazione della vita e della salvezza, giorno di festa e di riposo, di comunione con Dio e di benedizione, il sabato è anticipazione del Regno di Dio e della comunione piena e senza ombre con lui. 

Le guarigioni in giorno di sabato conducono pertanto a porre l’accento sulla missione escatologica di Gesù, sull’annuncio del compimento del tempo e dell’avvento del Regno di Dio, della salvezza di Dio. L’urgenza che porta Gesù a operare guarigioni di sabato non risiede nelle condizioni soggettive dei malati (più o meno gravi), ma è connessa alla condizione oggettiva attuale del mondo: l’ora è giunta, il Regno si è fatto vicinissimo, la salvezza di Dio visita l’uomo. 

Con il sabato di Gesù” è ormai giunto il compimento dell’opera della redenzione e della salvezza: non fare il bene in giorno di sabato agli uomini malati, sebbene non vi sia pericolo di vita, sarebbe già un male, un togliere vita, dunque un contravvenire alla logica profonda del sabato. Così, il sabato, quale giorno delle guarigioni che il Messia opera, narra la novità instauratasi nel tempo e nella storia: l’oggi storico è il luogo dell’intervento di Dio per la salvezza dell’uomo. “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”, dice Gesù (Mc 2,27): il sabato è per la vita dell’uomo. Guarendo i malati in quel giorno Gesù dona il sabato e il riposo sabbatico a chi non poteva goderne per la precarietà delle sue condizioni. Anzi, Gesù stesso si presenta come il riposo: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e gravati e io vi darò riposo. Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per le vostre vite” (Mt 11,28-29). Gesù compie il sabato, portando il riposo escatologico e la benedizione con la sua persona. Le azioni di guarigione di Gesù in giorno di sabato non sono nient’altro che il compimento dell’intenzione originaria di Dio e del fine ultimo del sabato come rivelato nell’Antico Testamento. Vi è sì qualcosa da cui astenersi in modo radicale in giorno di sabato: il male. E per Gesù anche il non fare positivamente il bene, l’omissione, diviene un fare il male. 

Gesù guarisce malati cronici, come la donna curva da diciotto anni (o l’uomo malato da trentotto anni, Gv 5,1-18, o il cieco dalla nascita, Gv 9,1-41), e proprio questo elemento, che sta alla base del rimprovero dei suoi avversari (non vi è pericolo immediato di vita), conduce Gesù a mostrare l’urgenza della guarigione: guarire persone che sono malate da gran tempo indica la potenza messianica di colui che guarisce degli incurabili e attesta che il tempo è compiuto, che oggi è il tempo della salvezza.

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