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Come andare al di là dell’impotenza davanti alla sofferenza

Children suffer most in an ever more dangerous world – it

CC ORBIS UK EMEA

padre Carlos Padilla - Aleteia - pubblicato il 05/08/15

Non possiamo placare tutta la fame del mondo, tutto il dolore, ma possiamo condividerlo

Nel Vangelo Gesù mostra la sua compassione per coloro che hanno fame. Non so se era maggiore lo sconcerto della gente che mangiava o quello degli apostoli a cui ha chiesto di cercare qualcosa da mangiare.

Gesù spezza sempre gli schemi. Cos'ha visto alzando lo sguardo? Lo sguardo cambia tutto. Quando alzo lo sguardo sono capace di commuovermi per ciò che succede davanti a me.

Quante volte, però, non lo alzo! Guardo me stesso. Guardo il mio cellulare. Le mie preoccupazioni, le mie cose. Gesù ha guardato gli uomini e si è commosso. Ha visto la fame e la sete, la solitudine e la paura. È compassionevole. Si avvicina. Ha bisogno che anch'io sia compassionevole.

Gesù cerca di far sì che i suoi discepoli diano da mangiare a tanti. Vuole che sviluppino quello sguardo di misericordia. Vuole che siano compassionevoli. Ma loro non hanno niente, solo alcuni pani e dei pesci.

Ho pensato spesso a questa scena. Gesù che cerca i discepoli perché diano da mangiare a tanti uomini. Sono troppi. Il pane è troppo poco. Sono poveri. Non hanno tanto.

Penso a tutti loro che cercano di trovare una soluzione. Perché non congedava la folla perché se ne andasse tranquillamente a casa? Sembra esagerato cercare di dare da mangiare a tanti uomini. A quale scopo?

Qualcuno penserebbe che il cuore dell'uomo non sia grato. Il giorno dopo se ne saranno dimenticati. Era superfluo. Perché tanto sforzo?

All'improvviso appare un bambino con alcuni pani e dei pesci, e li offre. Come se così fosse risolto il problema. Mi piace l'ingenuità del bambino che porta il suo tesoro pensando che sarà sufficiente. In fondo non lo sa, ma basta. Ai discepoli sarà sembrato assurdo.

Questo Vangelo mi commuove sempre: “Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?"” (Gv 6, 7-9).

Il bambino vede più dei discepoli. Gesù vede più di loro. Nella vita a volte mi succede. Non vedo oltre il mio problema, la mia paura, la fame e la sete. Non credo.

Forse come ai discepoli mi manca quello sguardo puro e ingenuo dei bambini. Spesso resto aggrappato all'aspetto pratico. Sono sopraffatto dalla dimensione del problema, dal numero di persone presenti quel pomeriggio.

Vedo la fame e la sete del mondo e mi sento sopraffatto. Mi commuove tanto dolore, tanta fame. Non posso placare la sete né la fame, ho solo qualche pane e dei pesci. Il mio poco tempo, la mia vita breve. Cosa posso fare?

Penso che forse non faccio abbastanza. Ma poi arrivo a concludere che non sarà mai abbastanza. Neanche con tutto il pane del mondo, neanche con tutto il tempo del mondo. Non basterebbe. A volte questo mi toglie la pace.

Mi commuoveva quest'anno una donna che piangeva in confessione vedendo tanto dolore nel mondo. Soffriva, si sentiva impotente. Mi ha commosso la sua anima grande e sensibile. Perché quando l'anima è grande è capace di soffrire con chi soffre e di compatire chi passa un brutto momento.

Forse io non piango, ma mi commuove la mia impotenza. Penso a quel bambino che non aveva ciò che era sufficiente, ma ha dato ciò che aveva. Penso agli apostoli con le mani vuote e sopraffatte vedendo tanta gente. Né Andrea né Filippo sapevano cosa fare. Pietro taceva. Nessuno poteva rispondere a Gesù.

Egli guardava intenerito i suoi figli. Sicuramente nel suo cuore si commuoveva davanti all'ingenuità degli apostoli, davanti alla loro innocenza. Egli era Dio e poteva moltiplicare quei pani e quei pesci.

Questo mi emoziona sempre. Gesù ogni giorno trasforma nelle mie mani il pane e il vino nel suo corpo e nel suo sangue. Ma prima sono solo pane e vino. Poco pane. Poco vino.

Gesù nel suo corpo e nel suo sangue cambia i cuori. Ma ha bisogno che io offra il mio pane e il mio vino ogni giorno, perché poi il suo corpo sazi la fame di infinito di tanti cuori. Ha bisogno che io doni ciò che ho.

Gli offro il pane con umiltà. Con quel sentimento di impotenza: “Gesù, ecco. Non ho nient'altro. Ti do quello che ho”. Così, semplicemente. Offro solo ciò che ho e guardo come guardano i bambini, con fiducia. Do quello che possiedo.

Gesù non pensa prima al benessere spirituale, non si chiede se tutto ciò che ha detto a quegli uomini e a quelle donne è calato nel loro cuore. Vuole saziare il loro bisogno materiale. Poi potrà ricondurre il loro sguardo.

Commenta Thomas Merton: “È piuttosto semplice dire al povero di accettare la sua povertà come volontà di Dio quando tu hai vestiti, molto cibo, cure mediche, un tetto sulla testa e non ti preoccupi dell'affitto, ma se vuoi che ti creda, cerca di condividere un po' della sua povertà. E vedi se puoi accettarla come volontà di Dio!”.

Non possiamo placare tutta la fame del mondo, tutto il dolore, ma possiamo condividerli. Possiamo dare il poco che abbiamo. Il nostro pane, i nostri pesci.

Possiamo offrire il nostro tempo. Accarezzare la rinuncia. Palpare l'assenza. Possiamo vivere la sete e la fame. Lo facciamo tante volte. Possiamo essere solidali con chi non ha e non pretendere di placare la sua fame con una preghiera o con un sorriso.

Diceva papa Francesco: “Non è un buon cristiano quello che non fa giustizia con le persone che dipendono da lui”, “quello che non si spoglia di qualcosa necessaria a lui per dare a un altro che abbia bisogno”.

Non possiamo comprendere chi soffre se non abbiamo mai sofferto. Non possiamo sapere cosa sia la fame se abbiamo sempre avuto tutto. Non potremo mai essere empatici con chi non ha se abbiamo sempre avuto.

Ci mettiamo nel cuore di quelle migliaia di uomini con fame e sete. La solidarietà inizia quando scendo dalle mura che mi proteggono e mi isolano. Quando provo ciò che provano gli altri. Quando desidero ciò che desiderano gli altri.

Gesù ha vissuto la fame e la sete, il dolore per la perdita, l'angoscia nell'assenza. Gesù ha seppellito suo padre e ha conosciuto il dolore di sua madre Maria. Ha vissuto la morte da vicino e per questo compativa il dolore dell'uomo.

Non è rimasto protetto. Non si è fatto estraneo al dolore degli uomini. Lo ha condiviso, come oggi condivide il pane con loro. Dona ciò che ha. Ci chiede di donare quello che abbiamo. Solo questo.

Il ragazzino consegna a Gesù tutto ciò che possiede. Senza tenere nulla per sé. Mi dono con la stessa generosità? Tante volte tengo delle cose per me. Mi conservo. Do con paura, do fino a un certo punto. Non do fino a che fa male. Temo di perdere tutto e riservo sempre qualcosa per me.

Gesù prende i pani, rende grazie al Padre e li benedice. “Rispose Gesù: "Fateli sedere". C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero”.

Quante volte nella sua vita ha fatto questo, fino all'Ultima Cena! Tante, al punto che ad Emmaus l'hanno riconosciuto da quel gesto. Ogni giorno devo ripetere quel momento. Mi colpisce molto. Lo faccio con timore e trepidazione.

Dio mi prende. Non rifiuta mai il mio amore. Non mi dice mai che quello che offro non è abbastanza. Prende nelle sue mani i miei pani, che sono sacri perché Egli li tocca. Li riceve con immensa gioia. La mia vita, la mia povertà, il mio dolore.

Pronuncia su di me l'azione di grazie, la sua benedizione. Mi dice che la mia vita vale la pena. Mi ringrazia per quello che do egoisticamente. Mi benedice, mi offre.

Ringrazio per i tanti doni che ho ricevuto nella vita. Li offro a Dio, che mi ha dato tutto. Gli restituisco ciò che viene da Lui. Perché è suo. Perché non è mio.

È uno scambio facile e comodo. Quanto Dio ha benedetto ciascuno! Benedice la nostra terra. La nostra storia. Le nostre radici. Il nostro cammino di vita.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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