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«Essere fedeli» significa solo non tradirsi fisicamente?

Catholic wedding – CIRIC

© Louise ALLAVOINE/CIRIC

Dimensione Speranza - pubblicato il 03/08/15

La fedeltà è ancora un valore da perseguire, da difendere?

Oggi quando si parla di fedeltà nel matrimonio si intende quasi esclusivamente il «non tradirsi», in modo particolare il «non tradirsi fisicamente». Questo è un aspetto ovviamente importante che riguarda da vicino la stabilità di una coppia, ma «essere fedeli» non è solo questo. Ci sono coppie in cui non c’è mai stato un tradimento, ma in cui non c’è stata neanche fedeltà.

Tante volte si va avanti nella vita matrimoniale senza una vera comunione, per cui, anche se si vive sotto lo stesso tetto, basta poco per sentirsi distanti. Al bene dell’altro si fa precedere il “mio” bene, il “mio” lavoro, la “mia” carriera, i “miei” figli … Cos’è dunque la fedeltà? È essa ancora un valore da perseguire, da difendere? Quale ne è il prezzo? Risponde ad alcune domande don Paolo Ricciardi, parroco romano a diretto contatto con tante coppie e famiglie e autore di “Sposi per sempre. Riscoprire il matrimonio cristiano” (Paoline 2010).

Oggi, in un contesto sociale che alimenta le scelte non definitive, come è da intendere all’inizio di una vita di coppia la promessa di fedeltà che,in qualche modo,dovrebbe racchiudere il «per sempre» ?

«Nella mia esperienza vedo che le coppie non sono abituate a parlare veramente di fedeltà. Inizialmente c’è un problema di significato:per la maggior parte il termine “fedeltà” equivale a “non tradirsi” e quindi la promessa che si fa nel matrimonio vuole essere un impegno a non avere nessun altro al di là del proprio coniuge. In realtà “fedeltà” non è questo, o almeno non solo. “Essere fedeli sempre” significa entrare in un dono e in un impegno più grande di noi per cui l’uno dice all’altro: “D’ora in poi la mia vita ha senso perché la dono a te”».

Quali sono i caratteri distintivi della fedeltà tra due sposi?

«Il primo carattere della fedeltà tra sposi è la consapevolezza di pensare la vita in due. Tutto ciò che io compio non è qualcosa di isolato, di individuale: devo rinunciare a me stesso per far nascere la coppia. Occorre quindi pensare che il cammino si fa sempre insieme. A volte molti sposi dopo un po’ di tempo rimangono delusi perché non si sono realizzate le “aspettative” dell’altro/a … Non bisogna aspettarsi qualcosa dall’altro: difficilmente “si cambia con il matrimonio” … anzi, a volte con il tempo si peggiora … Bisogno invece progettare insieme la “vita di ogni giorno. Fondamentale,per questo è un dialogo, costante su tutto,una comunicazione profonda «Non. è un caso che tante coppie si separino per mancanza di dialogo,perché non si ha più niente da dire,oppure perché tante cose non si vogliono affrontare per mantenere il “quieto vivere”…e alla fine si “scoppia”. Dialogo,dunque,ma anche umiltà,rispetto dei tempi dell’altro,tenerezza. Non è più tempo di “tacere e subire”(non solo per la donna,ma oggi a volte anche per l’uomo).E poi,pur rispettando le diversità,abituarsi da subito a dire”nostro”. Vedo in tante coppie l’abitudine a distinguere il “mio” tempo,la “mia” vacanza,il “mio” denaro,la “mia” macchina,i “miei”figli…ma si fa difficoltà a dire “nostro”»

I giorni sono spesso faticosi, la vita concreta toglie entusiasmo, logora le energie … Dove e da chi può una coppia trovare la forza per essere?

«Oggi non sono tempi facili per le famiglie, Ci si sposa tardi e questo comporta una difficoltà a plasmare la personalità dell’uno e dell’altro. La vita è piena di cose da fare e spesso ci si accorge di sopravvivere invece che di vivere. Anche il poco tempo vissuto insieme in casa rischia di essere un tempo vuoto, dove scaricarsi l’un l’altro le proprie stanchezze. Occorre sfidare questa realtà e ritrovare spazi e luoghi di incontro. Per gli sposi cristiani significa “dare a Dio ciò che è di Dio”. Significa trovare il tempo di pregare, di ascoltare insieme la Parola. Non occorre inizialmente fare chissà che cosa, ma iniziare da gesti semplici: la preghiera prima dei pasti; un piccolo segno di croce fatto sulla fronte dell’altro/a e sui figli prima di andare a dormire; spegnere televisione e computer per favorire il dialogo. A volte ho visto che basta iniziare con poco, ma occorre iniziare. La prima tentazione da vincere è il pensiero: “Tanto non ce la faremo mai”. E poi bisogna riscoprire un elemento essenziale della nostra fede: la Provvidenza».

Non le sembra che parlando di fedeltà, prima di preoccuparsi di essere «fedeli a un altro/a» bisognerebbe riscoprire la consapevolezza che, in primo luogo, si tratta di una scelta di coerenza di ogni persona con se stessa?

«Sì, ma ancor prima bisogna partire dalla fedeltà di Dio. E lui il “fedele” per eccellenza. Quindi ogni scelta di vita, ogni atto di amore, si apre alla fedeltà se si vive in Dio. Mi colpisce sempre il fatto che nella formula del consenso matrimoniale non si dica “Prometto di amarti sempre e di esserti fedele” ma: “Prometto di esserti fedele sempre … e di amarti”. La fedeltà è segno dell’amore (agape) che caratterizza l’agire di Dio con noi: un amore “da morire”, perché l’amore non muoia; un amore che ha portato Gesù a dare la vita sulla croce. Essere fedeli significa quindi per ogni cristiano riscoprire il proprio battesimo come un essere inseriti in Cristo che muore e dà la vita. Per questo il rito del matrimonio inizia con la memoria del battesimo: solo se ci si immerge nella fedeltà di Dio si scopre che la vera gioia è nel donarsi all’altro sempre, con lo stesso atto sponsale che Dio ha avuto nei nostri confronti. E allo stesso modo ogni persona, in ogni stato di vita, può vivere nella fedeltà quando “respira” la presenza di Dio in ogni istante.

Cosa deve fare una coppia quando sperimenta la ferita di un tradimento o anche solo l’incapacità di un dialogo costante e fa fatica ad aprirsi alla dimensione del perdono? A chi può chiedere aiuto?

«Sarebbe bello avere una soluzione a questa domanda … La risposta dovrebbe essere semplice: non andare … dall’avvocato. Non ci si è sposati davanti a un avvocato, ma davanti a un sacerdote, ministro di Dio. Sicuramente la comunità cristiana può essere un grande aiuto per gli sposi in difficoltà. Purtroppo a volte non ci sono comunità tali da garantire una vera vicinanza alle giovani famiglie di oggi. Credo che noi sacerdoti e noi cristiani in genere dobbiamo ancora crescere per farci realmente e concretamente vicini alle esigenze e ai problemi delle famiglie. I percorsi prematrimoniali dovrebbero essere, prima ancora di una preparazione al matrimonio, un segno di accoglienza e di amicizia per tante persone che si riaccostano alla Chiesa dopo tanto tempo. Se la coppia avrà sperimentato amicizia,disponibilità,ascolto,saprà anche ritrovare nella parrocchia un punto di riferimento costante. Così anche l’occasione dei battesimi dei bambini dovrebbe essere maggiormente sfruttata per dare alle giovani famiglie un aiuto importante per il loro cammino».

Le coppie che in genere sono aperte agli altri, all’accoglienza di persone più deboli e fragili, che non hanno timore del confronto con altre famiglie, altre realtà, sono normalmente anche le coppie più serene. Dalla sua esperienza di parroco c’è una conferma a questo?

«Le coppie che vivono una dimensione di cammino comunitario, in gruppi, associazioni o movimenti, non sono esenti dai problemi di tutte le famiglie; ma a me sembra che i problemi si affrontano con una maggiore serenità, con uno sguardo di fede e con uno spirito di umiltà, certi che si può essere aiutati dagli altri. Vedo anche che il servizio aiuta molto. La coppia che apre con generosità la casa, che collabora con le attività parrocchiali (magari nella catechesi prebattesimale e prematrimoniale) è molto aiutata e rinnovata giorno per giorno la dimensione della fedeltà a Dio e all’uomo.

«Un aiuto grande è abituare le famiglie a una cultura della vita l’apertura all’adozione,all’affido familiare,alla collaborazione con le case famiglia è un segno che caratterizza la vocazione la vocazione stessa degli sposi,chiamati non solo a una fecondità fisica,ma anche a una fecondità aperta alle varie forme di povertà di oggi. Anche la Chiesa deve essere più aperta. Qualche hanno fa nella diocesi di Roma è stato coniato uno slogan:”La Chiesa diventi più famiglia,perché la famiglia diventi più Chiesa”E’ detto tutto. Condividere un percorso con giovani famiglie è una via fondamentale per le parrocchie. Non è facile,ci vuole un po’ di pazienza … A volte, anche in questo campo noi parroci ci lasciamo scoraggiare dai numeri ma credo che l’amicizia costante e fedele della Chiesa nei confronti della famiglia porterà buoni frutti nei prossimi anni».

Paola Fosson – Vita Pastorale n. 10/2010

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