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Congo, dal machete alla riconciliazione

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UN Photo / Marie Frechon

Miriam Diez Bosch - Aleteia - pubblicato il 03/08/15

Riconciliare un Paese ferito a colpi d'ascia non è facile

Se parlare di riconciliazione in qualsiasi Paese africano è difficile, lo è molto di più in uno dei più colpiti dalla violenza negli ultimi anni: la Repubblica Democratica del Congo. Nei giorni scorsi, l'organizzazione cattolica Aiuto alla Chiesa che Soffre ha denunciato l'esistenza di campi di addestramento jihadisti per bambini e bambine nella zone orientale del Paese. È una bomba che se non verrà disattivata fa prevedere un futuro assai difficile per il centro del continente africano.

Le decisioni che il Congo deve prendere sono varie. Per capire quali siano, abbiamo intervistato Raoul Kienge-Kienge Intudi, direttore del Centro di Criminologia e Patologia Sociale presso la Facoltà di Diritto dell'Università di Kinshasa.

Kienge-Kienge è anche Presidente del Centro Africano di Formazione e Azione Sociale ed esperto della rete di Aleteia.

Riconciliate il Paese. Il papa ha chiesto molto ai vescovi.

Sì, ed è il suo dovere. L'esercizio della tripla missione dei vescovi aiuterà a riconciliare il Paese. Da un lato a riconciliare i congolesi con Dio, dall'altra a riconciliare la popolazione con chi la dirige. I vescovi devono santificare amministrando i sacramenti, predicare con la Parola di Dio e governare il popolo di Dio.

Il lavoro dei vescovi e dei sacerdoti aiuterà i fedeli a lavorare, ciascuno nel proprio campo, con più amore e carità, con uno spirito di servizio nei confronti degli altri, in vista del bene comune.

Sembra come se la giustizia non fosse un concetto di cui tener conto…

Bisogna assicurare uno spirito di giustizia, accertandosi che i talenti vengano messi al servizio della collettività. Ci sono stati errori a livello ecclesiale che possono essere conseguenza dello sviluppo di un materialismo esacerbato. Corruzione, deviazione di fondi pubblici, aggravamento delle forme di egoismo e di ingiustizia sociale, frode… Sono le strutture di peccato, incapaci di realizzare un pieno sviluppo umano integrale, di rispettare la dignità delle persone.

È al lavoro dei vescovi che attribuiremo l'organizzazione della società, sulla base delle virtù cristiane della giustizia e della carità, con il rispetto per la dignità dei diritti civili, politici, socioeconomici e culturali di tutti, stranieri e non.

Predicate con l'esempio?

In questo contesto è necessario che i vescovi per riconciliare il Paese siano pastori esemplari, e che conducano una vita autenticamente cristiana e coerente con gli insegnamenti di Cristo.

Stiamo parlando di un nuovo modo di governare, caratterizzato non da interessi personali, ma dal bene comune. Bisogna sistemare le strade, gli ospedali, le scuole, le università, creare impiego giovanile…

Le risorse sono mal distribuite…

E la violenza scoppia, soprattutto da parte delle vittime della cattiva distribuzione delle risorse nazionali. Le forme più violente e mortali della frattura sociale sono le guerre che si ripetono sul nostro territorio.

Le guerre in Congo sono di fatto un modo di accedere, con il ricorso alle armi, alle risorse nazionali di questo gigantesco Paese, mal distribuite.

E cosa dicono e fanno i laici in questo Congo così frammentato?

I laici, ben formati, devono vivificare cristianamente la società congolese dall'interno.

Devono far valere la loro competenza professionale al servizio degli altri, anche delle amministrazioni pubbliche.

C'è una strada da percorrere. È curioso constatare che quando c'è bisogno di una persona integra alla guida di una struttura politica, come una Commissione Elettorale Indipendente, si ricorre a un sacerdote, come se non ci fossero fedeli laici integri e onesti.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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