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La concretezza del Vangelo

Figliol Prodigo

© Public Domain

Lucetta Scaraffia - L'Osservatore Romano - pubblicato il 28/07/15

Famiglia e misericordia

A essere sincera, quando ho visto il titolo dell’ultimo libro scritto da Enzo Bianchi (Raccontare l’amore, Rizzoli) ho avuto un moto di delusione. Lo sappiamo tutti: parlare di amore in ambiente cattolico va molto di moda, abbondano volumi e libretti sul tema. In genere si tratta di testi generici, astratti e sdolcinati, il cui unico scopo sembra essere quello di far sentire partecipi di un vago sentimento i lettori, che così si sentono confermati nella loro bontà. Non me l’aspettavo da un autore come lui.

E infatti, quando ho cominciato a leggere, ho visto che si tratta di un libro molto diverso: intanto perché è concreto, riguarda vicende e personaggi veri, quelli che popolano le parabole dei vangeli — Parabole di uomini e donne recita il sottotitolo —e che crediamo di conoscere così bene da non prestarvi più che una attenzione spesso stereotipata. Bianchi li scuote dalla polvere, li fa tornare in vita e li coinvolge strettamente con la nostra esistenza e le nostre vicende: tutti siamo stati figli fuggiti e tornati come nella parabola del figliol prodigo ma anche, in altri momenti, figli maggiori che non sappiamo accettare con gioia il ritorno di un fratello perduto, e facciamo prevalere la nostra invidia, la nostra rigidità nel vivere i rapporti affettivi.

È impossibile invece identificarsi nel padre perché questo padre così amoroso e generoso, capace di accogliere e perdonare anche prima che arrivi la richiesta di perdono, non somiglia a un padre umano ma ha la perfezione della figura divina. Ma poi Bianchi stesso si corregge: «Se in quella famiglia ci fosse stata una madre, certamente sarebbe stata lei ad accorgersi per prima del ritorno del figlio, ma la madre non c’era, e così quel padre rivela anche un cuore di madre». Ricordandoci così che Dio ha cuore materno, ma al tempo stesso che ogni madre è capace di una scintilla di amore divino.

Ecco qui raccontata una dinamica di vita familiare ben fondata sulla concretezza dei rapporti fra le persone, che prevede la ribellione di un figlio, la falsa obbedienza di un altro, e il mistero del perdono e dell’amore gratuito. E allora uno si domanda perché, nei convegni cattolici sulla famiglia, vengono sempre esibite coppie perfette, con tanti figli bellissimi, apparentemente unite in un cerchio di amore indissolubile ma così lontane dalla nostra realtà umana. Le famiglie di cui parla l’Antico Testamento, o ancora meglio Gesù, sono invece così reali, conoscono il conflitto anche sanguinoso — pensiamo a Giuseppe e ai suoi fratelli — e ci insegnano ad amare e a perdonare nella realtà delle nostre vite.

Perché allora in questi convegni non sono mai invitate a testimoniare persone che hanno conosciuto l’abbandono del coniuge, la fuga di un figlio e magari poi il perdono, donne che hanno saputo crescere e amare, sole, il figlio frutto di una violenza? Bianchi nel suo libro ci accompagna a vedere la verità nuda e forte delle parole di Gesù, e ci insegna a vedere la realtà della nostra condizione umana.

Una realtà in cui un pubblicano, che non obbedisce alla legge ma conosce la misericordia divina e sa affidarsi a essa, è giudicato migliore di un rigido osservante delle prescrizioni legali. Egli rappresenta il peccatore che sa affidarsi a Dio e aspettarsi tutto da lui, e quindi arriva a conoscerlo molto più di chi osserva la legge ma rimane convinto di se stesso, prigioniero di se stesso. Perché — scrive Bianchi — dobbiamo ricordarci sempre che «il giudizio di Dio sovverte i giudizi umani: chi si credeva lontano e perduto è accolto e salvato, mentre chi si credeva approvato, accanto a Dio, è umiliato e risulta lontano».

Sono riflessioni tempestive in una situazione come quella attuale, in cui il sinodo deve affrontare il difficile problema della famiglia oggi, con il suo strascico di errori e di dolori, e il giubileo della misericordia pone l’accento non sul peccato come trasgressione rispetto a un codice di norme morali, ma come incapacità di credere alla misericordia divina, incapacità di affidarsi all’amore che sa perdonare e comprendere. In questo libro per fortuna l’amore non è una astratta attitudine umana, quasi una ideologia, ma una pratica dolorosa che dobbiamo imparare, passo per passo, sostenuti da una misericordia infinita.

QUI L’ORIGINALE

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