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Una famiglia per una famiglia

Il Sinodo sulla famiglia che vorrei

© Valentyn VOLKOV / SHUTTERSTOCK.com

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 27/07/15

Arriva a Roma un nuovo modello per le politiche sociali promosso dalla Fondazione Paideia che sta facendo scuola in Italia

Un tempo c'erano i rapporti di cosiddetto "buon vicinato": le famiglie che abitavano accanto si prestavano aiuto nelle faccende domestiche o dei campi e si sostenevano reciprocamente nei momenti di difficoltà. Quando i nuclei familiari, progressivamente più ristretti, hanno iniziato a rinchiudersi nello spazio del proprio appartamento, in città sempre più anonime, è venuta meno una grammatica delle relazioni sociali che permetteva di chiedere aiuto senza vergognarsi e di mettere a disposizione ciò che si aveva senza timore di apparire invadenti. Recuperare l'idea di una famiglia che sostiene un'altra che sta vivendo un momento di difficoltà, è alla base del progetto "Una famiglia per una famiglia", presentato il 27 luglio a Roma e promosso dalla Fondazione Paideia in collaborazione con la Caritas italiana e quella diocesana e con l'Assessorato alle politiche sociali del Comune. Aleteia ne ha parlato con Giorgia Salvadori, responsabile per Paideia del progetto nato a Torino nel 2003.

Un famiglia diventa affidataria di un'altra: come nasce questa idea?

Salvadori: Abbiamo incrociato due esigenze con le quali siamo venuti in contatto. Paideia è una fondazione privata impegnata per migliorare le condizioni di vita di bambini e di famiglie che vivono situazioni di disagio, lavorando in stretto contatto con i servizi sociali di Torino. Questi avevano constatato come alcune famiglie, pur essendo in difficoltà, non si rivolgevano all'assistenza pubblica per la vergogna di essere etichettate come bisognose o per il timore che venissero loro sottratti i figli. Si aprivano, invece, con più fiducia agli operatori delle parrocchie, delle associazioni, dello sport, perchè li avvertivano più vicini, a un livello più paritario. Da parte loro, i servizi sociali registravano la difficoltà di un intervento che prendesse in carico, oltre al bambino in difficoltà, anche la sua famiglia. E' nata così l'idea di sperimentare l' affido di una famiglia fragile dove sono presenti dei minori a un'altra famiglia.

Come funziona nella pratica?

Salvadori: Il modello è quello dei rapporti di buon vicinato di una volta: una famiglia solidale affianca e sostiene una famiglia in difficoltà temporanea, coinvolgendo tutti i componenti dei due gruppi. Ognuno dei membri della famiglia offre le proprie competenze, per età, professione, inclinazioni: i bambini aiutano i coetanei a fare i compiti, una mamma aiuta l'altra a gestire il budget familiare…La differenza rispetto al buon vicinato è che c'è un "patto educativo" stretto tra le famiglie con gli obiettivi da raggiungere e una data di inizio e fine, in genere di un anno. Importante è la figura del tutor che in genere proviene dalle associazioni e ha funzione di mediazione tra le due famiglie e di monitoraggio dell'affiancamento in contatto costante con i servizi sociali.

Qual è l'aspetto di novità più rilevante?

Salvadori: L'affiancamento tra famiglie permette di instaurare un rapporto di parità e reciprocità che getta anche uno sguardo diverso sulla famiglia stessa vista come risorsa e non come problema. Le famiglie solidali mettono a disposizione, tra le loro risorse, anche la rete di rapporti che vivono – nel contesto familiare più largo, con gli amici, in parrocchia, nell'associazione sportiva – e questo è il bene più prezioso. Le famiglie in difficoltà sono costituite, nella stragrande maggioranza dei casi, di nuclei monogenitoriali che vivono un'assenza di reti o di reti positive. Qualsiasi evento problematico – una malattia, la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia – diventa per loro destabilizzante perchè non hanno nessuno a cui chiedere aiuto. Entrare a far parte di una rete dà fiducia di poter gestire le situazioni e li aiuta a tirare fuori le proprie capacità, diventando più autonomi. E' vero che il progetto di affiancamento ha un termine ufficiale di inizio e fine, ma negli anni abbiamo sperimentato come la relazione permanga in maniera spontanea anche dopo e spesso i membri delle famiglie affidatarie vengono scelti come padrini di battesimo o testimoni di nozze. Le relazioni fanno uscire dall'isolamento che è oggi il problema più grande per le persone.

E' un'idea che sta facendo scuola…

Salvadori: A Torino, dove la sperimentazione esecutiva è iniziata nel 2005, l'affido da famiglia a famiglia è stato incluso nelle politiche sociali del territorio dal 2007. Progressivamente il progetto si è allargato e oggi è attivo in varie zone di Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Valle d'Aosta, Abruzzo, grazie al coinvolgimento di amministrazioni pubbliche, terzo settore e fondazioni private e di origine bancaria. L'obiettivo è che la sperimentazione costruisca le condizioni di passaggio per arrivare a inserire il progetto nelle politiche sociali ordinarie delle regioni, mantenendo in rete i territori. Ad oggi gli affiancamenti attivati nelle diverse esperienze sul territorio sono stati circa 300 e hanno coinvolto oltre 500 bambini. C'è una buona risposta di disponibilità delle famiglie affiancanti che ritengono questa formula meno difficile da affrontare rispetto all'affido del singolo bambino e, tra l'altro, ha costi anche minori. Noi vorremmo che "Una famiglia per una famiglia" diventasse politica sociale ordinaria anche a livello nazionale.

A Roma è prevista una fase di sperimentazione di due anni, con otto affidi: non sono pochi per le dimensioni della città?

Salvadori: E' necessario sperimentare il modello per rodare anche il percorso istituzionale: a qualsiasi difficoltà segnalata dalle famiglie e dai tutor occorre che i servizi sociali siano in grado di rispondere. Le famiglie affidatarie devono seguire una apposita formazione nella quale avranno un ruolo alcune delle famiglie che hanno già sperimentato il progetto e che saranno tra i docenti anche in un seminario che realizzeremo in autunno con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il tempo, anche se oggi andiamo tutti di fretta, è la chiave indispensabile per costruire relazioni stabili e rapporti di fiducia fruttuosi.

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