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Perché non dovremmo dimenticare che Gesù era ebreo

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Russell E. Saltzman - pubblicato il 17/07/15

Rivendicando la chiave di volta della comprensione della nostra fede

Quando la mia seconda figlia era in quinta elementare, lei e altri tre compagni hanno ingaggiato una disputa. Gesù era ebreo o no? Un compagno di classe diceva di no. Era impossibile: Gesù era cristiano e non era mai stato un ebreo.

Mia figlia non ha mai sopportato molto l’ignoranza, e la situazione si è trasformata in uno scambio accalorato che ha finito per coinvolgere il consulente scolastico. Attenzione, nessuno stava cercando di risolvere un’argomentazione teologica tra bambini di quinta elementare. Già mantenere la pace nella classe sembrava una cosa complicata.

La questione mi ha veramente dato fastidio. Se la media dei cristiani che vanno in chiesa che vive nel mio quartiere sa così poco di Gesù e dell’ebraismo, quali altri cose anti-ebraiche nate dall’ignoranza potrebbero sorgere? Mi sono venuti in mente purtroppo due omicidi in un centro comunitario ebraico vicino.

Quanto perdono i cristiani se negano l’ebraismo di Gesù? Perderemmo volutamente il nostro cristianesimo.

È una vecchia varietà dell’eresia, il marcionismo, il cui nome deriva da Marcione, che verso il 144 d.C. insisteva sul fatto che gli insegnamenti di Cristo erano incompatibili con il Dio degli ebrei. Il Dio ebraico era un dio “minore”; Cristo era il rappresentante di un Dio “superiore”.

Marcione provocò uno scisma e per un po’ la fece franca. Aveva riversato una gran quantità di denaro nelle casse della Chiesa, comprando lo spazio per la sua eresia. La Chiesa romana restituì ogni soldo delle donazioni di Marcione, condannandone direttamente la dottrina.

Come dimostra tuttavia la questione riferita al compagno di classe di mia figlia, questa influenza persiste. Senza gli ebrei, i cristiani diventano gnostici staccati dalla storia e dall’umanità di Cristo.

I cristiani devono molto agli ebrei. L’adorazione, ad esempio. L’adorazione in sinagoga alla sua radice è il servizio cristiano della Parola: le letture tratte dalle Scritture da un lezionario, gli inni, le preghiere e la predica. La predica stessa è un’invenzione ebraica; nella pratica pagana non c’era niente di simile. I primi cristiani hanno preso il servizio nella sinagoga e vi hanno aggiunto “lo spezzare il pane”.

Dobbiamo agli ebrei il concetto di canone, una serie standard di testi scritturali usati nell’adorazione. Da loro abbiamo anche acquisito l’anamnesi dell’Eucaristia dalla Pasqua. Come le Mah Nishtanah (le quattro domande) dell’haggadah di Pasqua rendono ogni ebreo un viaggiatore in esodo dall’Egitto, così i verba (Parole dell’Istituzione nella Cena del Signore) pongono ogni cristiano nella sala superiore con Gesù “nella notte in cui fu tradito”.

Dobbiamo ai pagani molto meno di quanti – soprattutto i critici del cristianesimo – tendono a credere, e agli ebrei molto più di quanto ammettono molti. Cristo non ha alcun senso se non nel contesto dell’ebraismo. La chiesa e la sinagoga sono vicine.

Amy-Jill Levine, docente ebrea di Nuovo Testamento a Vanderbilt, fa un favore ai cristiani con il suo libro Short Stories by Jesus: The Enigmatic Parables of a Controversial Rabbi (2014). L’autrice si chiede cosa sentisse il pubblico di Gesù – gli ebrei del I secolo e del secondo Tempio. Aiuta il lettore ad accedere alle parabole come se fosse la prima volta, come se fossero ebrei. La cosa più sorprendente, ovviamente, visto che Gesù era ebreo, è che quel pubblico non ha sentito l’antisemitismo che ha infettato tanto facilmente i sermoni cristiani.

Allo stesso modo, il libro di Paula Fredriksen Augustine and the Jews: A Christian Defense of Jews and Judaism (2008) esamina come Sant’Agostino, con lo studio della Scrittura, sia riuscito a formulare un baluardo teologico contro l’antiebraismo non solo dei suoi oppositori manichei, ma anche della sua stessa Chiesa. Si ritiene che la considerazione agostiniana per gli ebrei abbia salvato molte vite ebraiche contro la crudeltà antiebraica e la brutalità delle masse nell’Europa medievale. Dio era la fonte della scrittura ebraica e della pratica di adorazione ebraica, affermava Agostino, come quella del Nuovo Testamento e della Chiesa.

L’ultimo libro di Richard Hays, però, sostiene che “cristiano” non abbia senso a meno che non sia letto all’indietro attraverso le aspettative di chi, cosa e come appare il Messia.

Reading Backwards: Figural Christology and the Fourfold Gospel Witness è una serie di sei conferenze pronunciate a Cambridge nell’autunno 2013 e nella primavera 2014. La sua premessa: per interpretare l’evento di Gesù, gli autori del Vangelo, tutti ebrei, furono costretti a scandagliare le proprie scritture ebraiche per comprendere cosa fosse accaduto in quell’evento.

“Leggendo all’indietro”, Hays scopre nei quattro Vangeli non solo citazioni dalle scritture ebraiche sparse nel testo – a volte esplicite, a volte no – che spiegano il Cristo, ma anche allusioni, allegorie e metafore ebraiche, tutte derivanti dalla consapevolezza della chiamata di Israele ad essere la luce delle Nazioni realizzata in Cristo.

Come recuperare un senso maggiore dei legami tra Cristo, il Vangelo e l’aspettativa ebraica? Penserei in primo luogo che le commissioni per il lezionario dovrebbero fare più attenzione alle implicazioni cristologiche nelle loro selezioni della Scrittura ebraica per la prima lettura nella Messa, e che nessuna congregazione dovrebbe saltare la lettura tratta dall’Antico Testamento. In secondo luogo, gli omileti dovrebbero far attenzione a inserire questi approcci del lezionario quando predicano traendo spunto dai Vangeli. Ci sono interpretazioni alternative della parabole; prendete quella che parla della realizzazione ebraica in Cristo piuttosto che quella che attacca la religione di Gesù. Ricordiamo, infine, come indica Hays, che “il Dio che testimoniano i Vangeli, il Dio incarnato in Gesù, è lo stesso Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”.

Ex pastore luterano diventato cattolico romano,Russell E. Saltzman scrive per la rivistaFirst Things e vive a Kansas City, Missouri (Stati Uniti). Può essere contattato all’indirizzo russell.e.saltzman@gmail.com.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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