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La tassa sulle religioni in Germania è giusta?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 17/07/15
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Fa scalpore il caso del calciatore Luca Toni, che deve al fisco tedesco 1,7 milioni di euro. Il canonista Pacillo: ecco perché la linea della Chiesa Tedesca è discutibile
Identificarsi come cattolico e non pagare la "tassa sulle religioni" fa scattare una procedura di infrazione nei propri confronti: è quello che è successo di recente al calciatore italiano Luca Toni, che secondo la Chiesa cattolica tedesca deve 1,7 milioni di euro di tasse non pagate durante le sue due ultime stagioni al Bayern Monaco fra il 2008 e il 2010 (Toni ha detto che non era stato informato della tassa dalla sua commercialista) (Il Post, 16 luglio).

In Germania, infatti, segnalare nella dichiarazione dei redditi la propria appartenenza alla religione – cattolica, protestante o ebraica – equivale ad autorizzare il pagamento di una ulteriore tassa pari all’8-9 per cento delle proprie imposte. Se non la si vuol pagare, si deve abbandonare ufficialmente la propria Chiesa con un atto ufficiale di “rinuncia” (che ha un costo fisso, di solito attorno ai 30 euro).

Nel 2012 la conferenza dei vescovi cattolici tedeschi ha emanato un decreto che vieta a chi non ha pagato la tassa “speciale” di ricevere i sacramenti, e cioè per esempio di ricevere la comunione o sposarsi in chiesa.

UN SISTEMA "NON SPONTANEO"
«La cosiddetta Kichensteuer o "tassa sulle religioni" – precisa ad Aleteia il professore Vincenzo Pacillo, docente di di Diritto Canonico ed Ecclesiastico presso l’Università di Moderna e Reggio Emilia – è un sistema di autofinanziamento della Chiesa, regolamentato dallo Stato. Non è un sistema di finanziamento spontaneo, nel senso che i fedeli devono pagare un’imposta alla Chiesa, che è considerata un ente di diritto pubblico».

COME EVITARE DI PAGARLA
In quanto ente di diritto pubblico la Chiesa cattolica, «va sovvenzionata da coloro che appartengono ad essa; le Diocesi stabiliscono un’aliquota che sostanzialmente è un corrispettivo per i servizi erogati dalla stessa Chiesa. Posso evitare di pagare questa imposta – evidenzia Pacillo – previa una dichiarazione di uscita (Kirchenaustritt) presso l’ufficio del Registro della propria parrocchia (Standesamt) o il tribunale distrettuale (Amtsgericht)».

CALO DEI FEDELI
Ciò spiega, evidenzia l’esperto di Diritto Canonico ed Ecclesiastico, il perché nei Paesi francofoni ed in particolare in Germania, la Chiesa Cattolica o Protestante, hanno percentuali di fedeli inferiori a quella italiana (90% circa). «Se vuoi restare cattolico o protestante senza pagare l’imposta sei automaticamente un evasore, come nel caso di Luca Toni. Ecco perché negli ultimi anni, segnati dalla crisi economica globale, c’è stato un aumento di coloro che hanno avviato procedure di uscita dalla Chiesa, evitando così di pagare la tassa».

LA SCOMUNICA
In questo contesto, però, evidenzia Pacillo, «ci sono aspetti ecclesiologici un po’ controversi: se non paghi sei evasore, oppure dicevamo devi fare dichiarazione di "uscita" dalla propria Chiesa di appartenenza. Questa "uscita" secondo la Conferenza Episcopale Tedesca è punita con la scomunica, come un atto di apostasia. Si presume cioè che il fedele lasci la Chiesa perché non crede più nei suoi dogmi di fede. In realtà, in non pochi casi, si firma la dichiarazione di esenzione dall’imposta per un altro motivo: perché si vuole evitare il prelievo fiscale, che è una cifra importante, non parliamo di pochi euro».

IL CASO SVIZZERO
I canonisti, prosegue il giurista, «esprimono tendenzialmente dubbi su questo atteggiamento della Chiesa Tedesca. In Svizzera, ad esempio, la tassa c’è, ma il non-pagamento di essa, non prevede automaticamente la scomunica. D’altro canto, non si capisce bene quale sia il delitto canonico commesso dal fedele che – senza essere apostata – decida di non pagare l’imposta di culto».

PROVVEDIMENTO DISCUTIBILE
Recita il canone 1399 del codice di diritto canonico: "Oltre i casi stabiliti da questa o da altre leggi, la violazione esterna di una legge divina o canonica può essere punita con giusta pena, solo quando la speciale gravità della violazione esige una punizione e urge la necessità di prevenire o riparare gli scandali". In questo caso, incalza ancora Pacillo: «La scelta del fedele di orientarsi verso un risparmio economico (magari contribuendo in altri modi a sovvenire alle necessità della Chiesa) può giustificare una sanzione così netta da parte della Chiesa? Onestamente sembra un provvedimento eccessivo e non del tuttoi proporzionato».

PRELIEVO E FASCE DI REDDITO
Allo stesso modo, è giusto un prelievo dell’8-9% dei redditi a prescindere dalla fascia economica a cui si appartiene? Il docente cita il canone 1263: "Il Vescovo diocesano ha il diritto, uditi il consiglio per gli affari economici e il consiglio presbiterale, d’imporre alle persone giuridiche pubbliche soggette al suo governo un contributo non eccessivo e proporzionato ai redditi di ciascuna, per le necessità della diocesi; nei confronti delle altre persone fisiche e giuridiche gli è soltanto consentito, in caso di grave necessità e alle stesse condizioni, d’imporre una tassa straordinaria e moderata; salve le leggi e le consuetudini particolari che gli attribuiscano maggiori diritti".

CONSUETUDINE PER I VESCOVI
In sostanza, conclude Pacillo, «in diritto canonico tributario la consuetudine può speso dare carta bianca ai vescovi. E questo è uno di quei casi. Se fino ad ora si è sempre proceduto in questo direzione, la consuetudine vuole che si prosegua così. Dunque il vescovo dice di limitarsi a seguirla, nulla di più».