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Un giovane romano di 28 anni ordinato presbitero nella diocesi di Boston

Don Andrea Filippucci ordinazione

© Andrea Filippucci

Miguel Cuartero Samperi - Aleteia - pubblicato il 16/07/15

La morte del giovane padre, la crisi di fede e la scoperta della propria vocazione: il percorso di don Andrea Filippucci

La sua storia e il suo percorso verso il sacerdozio sono una testimonianza che incoraggia e che mostra che ancora oggi per un giovane ragazzo, seguire Gesù dedicando la propria vita attraverso il ministero sacerdotale è un valido percorso per realizzare la propria vita e raggiungere la felicità a cui tutti aspiriamo.

Nato a Roma 28 anni fa, sesto di undici figli, Andrea, dopo diversi anni di formazione nel Seminario Arcidiocesano Missionario Redemptoris Mater, ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale assieme ad altri quattro diaconi nella Cattedrale Holy Cross di Boston per mano del cardinale Sean P. O’Malley lo scorso 23 maggio.

“Figlio d’arte” neocatecumenale, Andrea è cresciuto a Perugia dove abitavano papà Giorgio e mamma Lucia, impegnati da molti anni come responsabili del Cammino Neocatecumenale in Umbria. Nel 1997, il giovedì dopo le Ceneri, durante la recita delle lodi assieme alla moglie e al sacerdote che li accompagnava nella missione, un ictus stroncò la vita di Giorgio che salì in cielo lasciando la moglie e undici figli (di cui l’ultimo ancora in gestazione).

Fu lui – che accompagnava Kiko Arguello suonando la chitarra durante incontri ed eucarestie – a musicare l’antica preghiera ebraica dello “Shemà Israel”, divenuto uno dei canti più importanti e sentiti del Cammino Neocatecumenale, che, ancora oggi viene cantato in tutte le Veglie Pasquali del Cammino in tutto il mondo. Questo canto risuona in maniera molto speciale, ogni giorno, nel Centro Internazionale Domus Galileae, gestito dai neocatecumenali sul monte delle Beatitudini, scenario di un continuo e fertile dialogo tra cristianesimo ed ebraismo.

Giorgio Filippucci fu anche il protagonista di una speciale trasmissione televisiva della RAI intitolata “Il sale della terra”, programma che andava in onda in seconda serata nei primi anni ottanta, dove, accompagnato da musicisti e cantori, interpretava i salmi e i canti del Cammino raccontando al pubblico quel movimento cristiano frutto del Concilio Vaticano II che in quegli anni faceva i primi passi con invidiabile fervore.

La morte di Giorgio fu ovviamente per Andrea, che aveva solo undici anni, motivo di profonda tristezza ma anche di un grande scandalo che lo portò a rifiutare Dio e quella fede che aveva ricevuto dai suoi genitori fin dalla sua nascita. Racconta di aver toccato il fondo quando, una mattina a diciassette anni, si risvegliò in un letto di ospedale, completamente solo, dopo aver sofferto un collasso a causa dell’eccesso di alcool.

Da lì Andrea intraprese un lento e faticoso cammino di riavvicinamento alla fede, di ritorno e Dio e alla Chiesa e di scoperta della propria vocazione sacerdotale, accompagnato dai catechisti, dalla comunità neocatecumenale e, soprattutto, dalla guida spirituale di un sacerdote: don Rino Rossi, sacerdote della diocesi di Roma responsabile del Centro Domus Galileae in Terra Santa dove Andrea passò l’estate del 2005 per un periodo di preghiera e di lavoro.
Fu lì, in quella terra santa dove visse Gesù, che Andrea si riconciliò con la sua storia riuscendo ad accettare la sua “croce”, quella croce che gli provocava dolore, che lo scandalizzava e che lo aveva allontanato da Dio.

Dopo l’esperienza in Israele Andrea partecipò al raduno annuale degli aspiranti seminaristi del Cammino Neocatecumenale nel centro neocatecumenale di Porto San Giorgio (Marche, Italia). In quella convivenza, ogni anno centinaia di ragazzi offrono la propria vita al Signore disposti ad entrare in uno dei seminari Redemptoris Mater di tutto il mondo. Ad estrazione Andrea fu assegnato al seminario di Boston dove iniziò i suoi studi di filosofia e teologia al St. John’s Seminary fino a concludere il suo percorso (dopo un periodo di missione in Colorado, South e Utah) con l’imposizione delle mani da parte del cardinale francescano Sean O’Malley.

Con motivo della sua ordinazione, sul sito della archidiocesi di Boston, don Andrea si racconta un una intervista dove, rispondendo ad alcune domande, condivide il suo cammino verso il sacerdozio mostrando la bellezza della sequela di Gesù, il Buon Pastore:

«La prima volta che ho pensato alla vocazione al presbiterato fu nel 2004, quanto passai un periodo di vacanze in Israele. Fu lì che, visitando i luoghi santi e scrutando la Parola di Dio, sentii che il Signore mi chiamava a diventare prete.Quanto sentii che Dio mi chiamava ad entrare in seminario, stavo attraversando una crisi personale cercando di trovare il senso della mia vita e cosa volesse Dio per me. Don Rino Rossi, rettore della Domus Galileae, in Israele, mi aiutò molto a capire il motivo della mia crisi e il senso delle mie sofferenze, come la morte di mio padre quando io avevo undici anni. Don Rino mi aiutò a vedere la croce che Dio permise nella mia vita e mi ha illuminato il cammino verso il presbiterato. Mi aiutò a vedere il segreto della vera felicità in una profonda e sincera relazione con il Signore Risorto.
Non ho mai voluto pregare molto, ma quando ho iniziato a pregare la mia vita è cambiata. Ho iniziato a sentire una pace che non avevo mai sentito prima. Oggi penso che la preghiera è un aspetto molto importante della mia vita. Ho capito infatti che è importante pregare, dialogare con Dio, per discernere la propria vocazione, ma ancora di più per ascoltare cosa il Signore ha da dirmi. A chi sta pensando alla propria vocazione e considera che Dio potrebbe chiamarlo a diventare prete direi di non avere paura. Io ero molto preoccupato per la vocazione ma è qualcosa di special, unico. Suggerirei anche di pregare ogni giorno davanti al Santissimo Sacramento e di trovare un direttore spirituale.
Credo che già il fatto di considerare la possibilità che Dio scelga una persona imperfetta come me per diventare “pescatore di uomini” sia un privilegio. Mi entusiasma la possibilità di aiutare le persone a superare i problemi in nome di Dio.

Credo che la sfida più grande per chi entra in seminario è abbandonare il vecchio modo di vivere. Il seminario, e in fine il presbiterato, ti cambiano la vita radicalmente, creando un uomo nuovo, un uomo che offre se stesso per le “pecore”, seguendo l’esempio di Dio Pastore. Per arrivare a questo, sarà necessario allontanarsi dalle menzogne e dai lacci del mondo ed ancorare se stessi solo in Gesù Cristo.

Penso che il miglior modo di incoraggiare le vocazioni al presbiterato nella archidiocesi di Boston sia attraverso l’evangelizzazione, vale a dire, cercando la “pecora perduta” e i cattolici che hanno abbandonato la Chiesa. Al fine di incoraggiare le vocazioni c’è bisogno di aiutare le famiglie. La scarsità delle vocazioni è spesso dovuta alla crisi della famiglia e dei suoi valori. Riportare le famiglie a Dio e alla sua Chiesa è certamente il primo passo per far crescere il numero di vocazioni».

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sacerdoziotestimonianze di vita e di fede
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