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Accordo sul nucleare iraniano: una vittoria per tutti

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 15/07/15
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Baheli: “Oggi l’Iran è per l’Occidente l’unico alleato razionale e credibile in Medio Oriente”. Rohani potrebbe incontrare il papaSono in molti a definire storico l’accordo raggiunto il 14 luglio tra il governo di Teheran e il gruppo dei cinque più uno — i Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; più la Germania — in merito al futuro del programma nucleare iraniano. L’accordo, che conclude oltre dieci di discussioni e negoziati, stabilisce che l’Iran limiti il programma di sviluppo dell’energia nucleare per 15 anni, orientandolo a scopi pacifici e sottoponendosi ai controlli dell’Agenzia atomica internazionale fino a 25 anni. Come contropartita è stata stabilita la fine delle sanzioni economiche e dell’embargo sulle armi e i missili nel giro di 5 e 8 anni. L’accordo dovrà essere ora approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e poi dal Congresso Usa. Grazie a questo accordo l’Iran non sarà in grado di sviluppare la bomba atomica, anche se, secondo il premier israeliano Benyamin Netanyahu il paese “disporrà adesso di centinaia di miliardi di dollari con i quali potrà rilanciare i meccanismi del terrorismo, il suo espansionismo e la sua aggressività in Medio oriente e in tutto il mondo”. Aleteia ha chiesto una valutazione a Nima Baheli, analista geopolitico specializzato in politica estera e economia.
 
 
Chi ha vinto e cosa ha vinto con questo accordo?
 
Baheli: Come ha detto il presidente iraniano Hassan Rohani questo è un accordo che vede “tutti vincitori”. In effetti è il risultato di un compromesso tra le parti nel quale non è prevalsa nè l’opzione iniziale iraniana nè quella americana. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, a sua volta, ha sottolineato come questo sia il miglior accordo “possibile”, non il migliore in assoluto. L’Iran esce da tre anni di sanzioni che hanno ridimensionato la capacità economica del Paese e provocato grandi sofferenze alla popolazione riguardo ai consumi quotidiani e lo stile di vita. Dal punto di vista geo-politico, il paese apparentemente sembra oggi sulla cresta dell’onda in vari quadranti – in Iraq, Siria, Yemen –, ma la stessa leadership iraniana è consapevole che sia dal punto di vista militare che economico, se non si fosse raggiunto un accordo con gli occidentali, potrebbe rischiare il tracollo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, e in particolare Obama, se l’accordo verrà accettato dal Congresso, entrerà nella storia per aver chiuso 36 anni di inimicizia tra Teheran e Washington e questo potrebbe spianare la strada a un’altra presidenza dei democratici. Per l’Occidente in generale, oggi l’Iran è nella regione l’unico alleato razionale e credibile e su molti fronti gli interessi iraniani e occidentali coincidono: sia in Iraq che in Afghanistan, ad esempio, entrambe le parti hanno interesse ad avere un governo unitario che gestisca tutto il paese consentendo in Afghanistan di combattere i neo-talebani e in Iraq di combattere l’Isis e i vari gruppi collegati a Al-Qaeda.
 
La Santa Sede ha espresso un giudizio positivo sull’accordo insieme all’auspicio che gli sforzi continuino, non solo nel campo del programma nucleare, ma anche in altre direzioni: quali sono?
 
Baheli: La Santa Sede ha di sicuro apprezzato che, dopo almeno vent’anni, una situazione riguardante il Medio Oriente venga risolta attraverso la diplomazia e non attraverso le armi. Dalla prima guerra del Golfo contro l’Iraq all’attentato alle Torri Gemelle e dopo, abbiamo assistito a una serie di conflitti che non hanno fatto che peggiorare la situazione della sicurezza e delle minoranze nella regione. Per quanto riguarda le altre direzioni di intervento, credo che il primo riferimento sia alla difficile situazione dei cristiani del Medio Oriente: nel 1990 c’era una forte presenza di cristiani in Iraq o in Siria, aree adesso funestate dalle guerre civili. Una lunga tradizione di presenza originaria dei cristiani nella zona è oggi fortemente a rischio e la preoccupazione della Santa Sede è diretta ad assicurarne la tutela.
 
La Santa Sede ha conservato in questi anni dei buoni rapporti con l’Iran, anche attraverso gli scambi tra teologi e università pontificie. E’ forse più facile per la Chiesa cattolica avere un rapporto con l’Islam sciita piuttosto che con quello sunnita?
 
Baheli: Ci sono diversi fattori che possono facilitare il dialogo tra questi due mondi. Intanto entrambi i soggetti hanno un clero istituzionalizzato che studia e approfondisce tematiche religiose. La popolazione iraniana, inoltre, anche attraverso la storia dello sciismo nei secoli come religione di lotta all’oppressione e di opposizione, è più laica ed evoluta rispetto ad altre società dell’area mediorientale. Questi fattori permettono una maggiore affinità e facilità di interazione. Non è un caso che nell’agenda della presidenza di Rohani ci sia l’incontro con papa Francesco. E anche Khomeini, in passato, aveva scritto delle lettere a Giovanni Paolo II.
 
Nell’enciclica “Laudato sì” il papa mette in guardia dal “tremendo potere” che deriva all’umanità, tra le altre cose, dall’energia nucleare e dalle armi biologiche specie si pensa ai rischi in caso di conflitti: l’accordo è importante anche per scongiurare questa minaccia…
 
Baheli: Può essere considerato un altro punto di convergenza. Già in epoca di Khomeini il clero sciita iraniano aveva detto, come ribadito poi da Khamenei, l’attuale Guida suprema dell’Iran, che l’uso delle armi atomiche – non l’energia nucleare – sia contrario ai principi dell’Islam. Questo convincimento è stato oggetto di due fatwe, una di Khomeini e una di Khamenei. Se la seconda potrebbe essere accusata di essere strumentale all’attuale situazione, non vale altrettanto per quella di Khomeini che emise la fatwa (n.d.r. il parere di un esperto di diritto islamico su una determinata questione) – allargandola anche alle armi chimiche e batteriologiche – nel pieno della guerra tra Iran e Iraq. Gli iracheni usavano le armi chimiche e batteriologiche contro gli iraniani e i generali iraniani proposero di utilizzarle a loro volta contro gli iracheni, ma anche in quella situazione di isolamento internazionale, Khomeini proibì alle forze armate di fare ricorso ad armi di distruzione di massa perchè contrarie alla morale islamica e alla sua visione dell’umanità.

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