A Santa Cruz de la Sierra, parlando ai movimenti sociali e popolari, il papa ha proposto un vero e proprio programma di azione.
Ho l’impressione che il discorso di papa Bergoglio al secondo incontro dei movimenti sociali e popolari di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, sia di quelli destinati a produrre ripercussioni all’interno e fuori della Chiesa. Piú che un discorso è un programma di azione.
Si avverte nel suo testo che il papa è mosso da una urgenza: non abbiamo piú tempo, perché il sistema economico nel quale siamo immersi, produttore di ingiustizie e disuguaglianze, è insopportabile e «non regge»; l’equilibrio ambientale del pianeta può essere gravemente compromesso nel giro di poco tempo pertanto è necessario agire, cambiare, anche perché «questo sistema non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi …. e non lo sopporta più la Terra».
Bergoglio identifica chiaramente chi deve produrre tale cambiamento, il soggetto politico che oggi è chiamato a dare un’anima alla globalizzazione: la società civile, di cui aveva davanti a sé la fetta rappresentata dai movimenti sociali e popolari. La globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza, quella che accoglie la povertà e la disuguaglianza come un fatto naturale, va sostituita dalla “globalizzazione della speranza”, che “nasce dai Popoli e cresce tra i poveri”.
Quest’ultimo inciso è importante perché ciò che va messo in moto è un meccanismo per democratizzare questo sistema che spesso è retto da fili invisibili di poteri e di interessi che più avanti il papa identifica come “sterco del diavolo”.
Una democrazia parte dal basso: “Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana (…) di lavoro, casa, terra e anche nella vostra partecipazione attiva ai grandi processi di cambiamento, cambiamenti nazionali, cambiamenti regionali e cambiamenti globali. Non sminuitevi!”.
Quale è il ruolo della Chiesa di fronte a un compito così grande? Qualcuno potrà pensare che essa debba essere neutrale, come nei processi politico-elettorali. Il papa invece situa la Chiesa all’interno della società civile. È una Chiesa che cammina insieme agli altri, come aveva detto in Ecuador, che esce dalla sua comodità per andare incontro alle periferie del mondo. Per questo non vive con neutralità questo aspetto, ma lo accompagna: «La Chiesa – afferma il Papa – non può e non deve essere aliena da questo processo nell’annunciare il Vangelo». E aggiunge con grande realismo ed umiltà di non aspettarsi da essa una ricetta.
«Né il papa né la Chiesa hanno il monopolio della interpretazione della realtà sociale, né la proposta di soluzioni ai problemi contemporanei. Oserei dire che non esiste una ricetta. La storia la costruiscono le generazioni che si succedono nel quadro di popoli che camminano cercando la propria strada e rispettando i valori che Dio ha posto nel cuore».
Dunque non solo una Chiesa mater et magistra, ma anche sorella e compagna di un viaggio che Bergoglio ama definire come «processi di cambiamento», nei quali «la passione per il seminare, per l’irrigare con calma ciò che gli altri vedranno fiorire sostituisce l’ansia di occupare tutti gli spazi di potere disponibili e vedere risultati immediati. La scelta è di generare processi e non occupare spazi. Ognuno di noi non è che parte di un tutto complesso e variegato che interagisce nel tempo: gente che lotta per un significato, per uno scopo, per vivere con dignità, per vivere bene, dignitosamente, in questo senso».
In poche parole viene qui condensata la dimensione squisitamente politica di un agire che avverte che il “come” si giunge all’obiettivo proposto, senza preoccuparsi di occupare spazi di potere, e importante quanto lo stesso obiettivo. In effetti, i processi di cambiamento in atto in America latina corrono il rischio, usando come giustificazione la ricerca di giustizia sociale, di trasformarsi in progetti di egemonia politica che possono generare fratture tra componenti maggioritarie e minoritarie della società.