Con papa Roncalli l’inizio di una nuova storia
Per ricordarlo, non c’è bisogno di aspettare una data anniversaria, una ricorrenza, e neppure, adesso che è santo, la sua memoria liturgica. E’ la storia, è la quotidianità stessadella Chiesa, a ricordarci che, tutto ciò che oggi nel cattolicesimo è forza viva e vitale, fioritura di carismi e di nuove esperienze, sul piano della spiritualità, della testimonianza, della partecipazione, della presenza nella società, e tutto ciò che ora sta sprigionando il pontificato di Francesco in fatto di riforme pastorali e istituzionali, di rilancio della missione evangelizzatrice, di guida per l’umanità, ebbene, tutto questo ha avuto origine dal grande cuore e dalla grande fede di Angelo Giuseppe Roncalli.
Era stato appena eletto, e l’allora patriarca ortodosso di Costantinopoli, Atenagora, applicò al nuovo Papa le parole del quarto Vangelo: “C’è un uomo inviato da Dio, di nome Giovanni”.
Lo chiamavano, e continuano a chiamarlo, il “Papa buono”. Ma non nel senso di ingenuità oppure di furbizia, come i suoi avversari tentarono di far credere. Era invece la bontà di chi apriva gliocchi al nuovo giorno e, ogni volta, si affidava con fiducia, con abbandono, a quella Provvidenza che lo faceva sentire piccolo piccolo e, insieme, così sicuro. Era la bontà che aveva imparato in famiglia, una famiglia contadina, e che poi aveva sempre cercato di vivere per migliorare se stesso alla luce della fede. Insomma, la bontà che lui definiva “sapienza del cuore”, e che lo portava sempre a perseguire e a far emergere – tra le persone, tra i popoli – “ciò che unisce”.
Quando lasciò la Bulgaria, dove aveva rappresentato la Santa Sede, si accomiatò così: “Dovunque io sarò, anche in capo al mondo, se un bulgaro che si fosse perduto dovesse passare dinanzi alla mia casa, troverà la candela accesa sulla mia finestra. Bussi alla mia porta e gli sarà aperto, non importa se sia cattolico oppure ortodosso”. Questa bontà, questa paternità, trasparirono subito dal suo linguaggio anche da Papa. Giovanni XXIII andò a ReginaCoeli a visitare i carcerati. “Io metto i miei occhi nei vostri occhi, il mio cuore vicino al vostro cuore”.
Era un linguaggio nuovo, non solo per le parole ma per l’atteggiamento che esprimeva. Per secoli, la Chiesa e i Papi avevano usato un proprio linguaggio. E ora, invece, c’era un Papa che, adoperando le stesse parole della gente, voleva mostrare comela Chiesa intendesse abbassare i ponti levatoi e riprendere il dialogo con il mondo. L’11 ottobre del 1962, si aprì il Concilio Vaticano II, più di 2.500 vescovi convenuti a Roma per discutere del futuro del cattolicesimo. Ma, il vero segnale della svolta, fu il bellissimo discorso alla luna che Roncalli improvvisando rivolse quella sera alla moltitudine in piazza San Pietro, quando chiese ai papà di portare la sua carezza ai loro bambini.
Era un profeta, nel senso più pieno. Un profeta che, come nei racconti della Bibbia, non solo annunciava il futuro ma interpretava la presenza di Dio nella storia, i “segni dei tempi”. Infatti, papa Roncalli seppe cogliere in profondità la condizione concreta dell’uomo moderno, proprio perché aveva saputo leggere questa storia alla luce del Vangelo, della Rivelazione, ma anche dell’esperienza umana. Era uno straordinario esempio della più autentica tradizione tridentina: legato indiscutibilmente alla Tradizione, e, nello stesso tempo, sensibile alle esigenze rinnovatrici; pienamente fedele al patrimonio dottrinale e, appunto per questo, garante dell’ortodossia nell’intraprendere una complessa opera di riforma.