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12 modi per rapportarsi agli adolescenti

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 02/07/15

La pacifica “chiamata alle armi” di don Paolo Tondelli nel libro “Adolescenti e Vangelo”

“L’adolescenza è una età bellissima, piena di contraddizioni, inventata da Dio per dare un futuro di felicità a ogni donna e a ogni uomo”, in cui i giovani hanno bisogno di “un educatore, un adulto che li accolga, che non gli faccia da Wikipedia, che non consulti il Manuale delle giovani marmotte per trovare una risposta a tutto, ma stabilisca con loro una relazione, sappia fare scommesse”.

Così monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, introduce il libro di don Paolo Tondelli “Adolescenti e Vangelo. Una ricerca di alleanza” (Paoline), che nasce dal blog attivato dal sacerdote per trattare argomenti che riguardano il cammino di fede dei giovani, condividendo le esperienze riportate per aiutare quanti condividono con lui l’esperienza educativa e sottolineando la necessità di avere in primo luogo uno sguardo corretto sui ragazzi.

Ecco allora alcuni suggerimenti per affrontare il delicato momento dell'adolescenza e per rapportarsi ai giovani in modo proficuo in questa fase della loro vita, partendo dall'“inculturazione”, cioè dal comprendere “i simboli con cui i giovani parlano, vivono, si esprimono”.

1 NO AL TABÙ SULLA SESSUALITÀ
I giovani, osserva don Paolo, desiderano vivere questa dimensione della vita in modo consapevole. “Si rendono conto come essa sia influenzata dal modello morale prevalente nella cultura in cui vivono e per questo motivo le ragazze ne soffrono di più rispetto ai maschi. Inoltre potrebbe essere uno degli elementi che contribuisce all’allontanamento dalla pratica della fede e a fare percepire come poco lecito ciò che riguarda questi argomenti. Quindi si va alla ricerca di un responsabile che viene proprio identificato con la Chiesa”.

In questo contesto, bisogna “mostrare l’aspetto positivo della morale cattolica riguardo questa dimensione che è da difendere come realtà 'buona'”.

2 VALORIZZARE L'ESPERIENZA TERRENA
I giovani percepiscono che per poter realizzare se stessi occorre affrontare la vita e le sue sfide senza fuggire dal presente, ma questo si scontra a volte con un modo di porsi da parte degli educatori che può “erroneamente mostrare il cammino di fede come una realtà che invita ad avere solo uno sguardo sempre rivolto in avanti e in alto, dimenticando ciò che è importante per la vita oggi”.

Siamo, quindi, interpellati a far sì che il nostro parlare non sia fuori dalla storia e dal mondo, per evitare la fuga di tanti alla ricerca di altre proposte, perché le nostre risultano loro incomprensibili.

Accanto a questo, emerge la necessità di assumere un atteggiamento non passivo nei riguardi della vita. “I giovani sentono di dover dare un contributo essenziale al costruirsi del proprio destino”, e questo “potrebbe scontrarsi con un approccio alla fede che invita a una posizione passiva alimentata da una speranza eccessiva di aiuto da parte di Dio”.

3 CURARE LA COERENZA POLITICA DELLA CHIESA
“Spesso il contrasto colto è tra gli annunci di neutralità della Chiesa e quello che viene interpretato come un insieme di azioni fatte apposta per influenzare, in particolare quando si tratta di temi caldi che riguardano alcuni interventi che vanno a toccare l’ambito morale della persona”.

4 RIVALUTARE IL RUOLO DELLA DONNA
Per i giovani, negli ambienti ecclesiastici si constata “un certo sospetto o comunque poca attenzione verso le donne”, il che comporta soprattutto per le ragazze “una difficoltà a rendersi partecipe della vita delle comunità”. Occorre, quindi, agire perché i giovani non si rivolgano ad altre realtà non riuscendo a trovare nelle comunità cristiane di cui fanno parte i mezzi e le attenzioni adeguati alle proprie esigenze soggettive.

5 CURARE LO STILE DI TRASMISSIONE
Uno dei limiti delle attività educative, osserva don Paolo, è quello di non riuscire a comunicare in modo giusto ciò che si desidera trasmettere. Risulta quindi determinante “la cura di uno stile che sia empatico, influenzato sia dalla relazione personale sia dall’ambiente, usando vari linguaggi e utilizzando, come mezzo di comunicazione, la propria vita narrata come 'luogo di incarnazione'”.

6 ACCETTARE I GIOVANI COME SONO
“Punto di partenza di ogni cammino educativo è l’accettazione incondizionata dei giovani così come sono e non come si vorrebbe che fossero”. “Se un giovane è quello che è ci saranno delle motivazioni che non possiamo ignorare”.

7 PATERNITÀ E AMICIZIA
L’educatore dovrebbe “vivere nella consapevolezza di essere per i ragazzi un modello di identificazione; per i bambini una figura che attrae e affascina; per gli adolescenti un riferimento che li aiuti nel cammino di ricerca della propria identità autentica”.

La “strategia vincente” sarebbe quella di “saper approfittare del confronto con l’altro, quindi non costringere, ma aiutare a tirar fuori il bene, evitando la nascita di sensi di colpa per i ragazzi che potrebbero non sentirsi in linea con le posizioni dell’educatore”.

“Insieme a questo ruolo che potremmo definire di 'paternità', è bene che cresca anche una certa 'fraternità' con il volto dell’amicizia per incarnare quello che chiedeva don Bosco ai suoi educatori: 'Siate nello stesso tempo amici e fratelli'”.

8 L'EDUCAZIONE, “COSA DEL CUORE”
Per don Paolo, è necessario ricordare quello che diceva don Bosco, ovvero che “l’educazione è una 'cosa del cuore', prima ama quello che i giovani amano, poi essi ameranno quello che ami tu”. “L’amore chiede innanzitutto la conoscenza dell’altro”, afferma l'autore. “Senza avere capito i bisogni dei ragazzi non si può instaurare un dialogo educativo; non diamo per scontato, solo perché siamo educatori, di conoscere veramente ciò di cui hanno bisogno i nostri ragazzi”.

9 CAPIRE LA VERA GIOIA
“Mi è capitato tante volte di chiedermi quale sia la fonte della gioia, della felicità, di quanti svolgono un ruolo educativo, in particolare di chi segue gruppi di ragazzi e di giovani – scrive ancora l'autore – ; una domanda che è astratta, ma che si nutre del vissuto e dell’incontro con tanti educatori nell’aiutarli a gioire del proprio servizio all’interno di un’opera che non sempre è semplice”.

“Credo che, come per ogni cristiano, così ancora di più per un educatore, la gioia vera non viene dal successo dell’impegno, ma nello stare faccia a faccia con Dio, sperimentare quella comunione intima descritta in Esodo: 'Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico' (Es 33,11)”.

10 “SPRECARE” SE STESSI
Per don Paolo, l’educatore è uno “sprecone” di professione, a “imitazione” del seminatore del Vangelo che “sembra essere un po’ un principiante e getta il seme ovunque, senza preoccuparsene: sulla strada, nei sassi, tra i rovi e per fortuna anche sulla terra”.

“Sembra che il suo unico obiettivo sia che il seme venga seminato e seminato in abbondanza, senza paura e riserve; egli sa cosa sta usando, che il seme è buono e se dovesse cadere nel posto giusto produrrebbe sicuramente un frutto abbondante. Questo suo adoperarsi così abbondante mostra la sua generosità e il suo entusiasmo, qualità che non possono mancare a chiunque si affianchi al cammino dei più giovani”.

“Il nostro compito è di seminare, forse a un altro toccherà raccogliere”.

11 NON SCORAGGIARSI
L’allontanamento che segue alla Cresima è una cosa 'normale', da prevedere, considerato l’organizzazione della catechesi e il funzionamento della fase dello sviluppo di maturità nei ragazzi con il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza.

Per don Paolo è interessante la definizione “fede in standby”, che si riferisce a un momento concreto della fase evolutiva in cui i giovani sono impegnati a occuparsi di altre cose, così che la pratica della fede con le sue scelte viene spostata in avanti, “in quanto emerge la sindrome 'da lavatrice', cioè i ragazzi sono 'centrifugati' in tante cose, distratti da non cogliere ciò che conta veramente, lontani da ciò che è essenziale”.

12 ASCOLTARE LE EMOZIONI – MARTA E MARIA
Chi è impegnato nel cammino educativo sperimenta a volte la fatica della prossimità con giovani che vivono momenti di difficoltà e di protesta. Per don Paolo, sono proprio queste le circostanze più propizie per instaurare un dialogo e un confronto, interessandosi a quello che l’adolescente prova ed esprime esternamente a volte in maniera molto forte.

“Non bisogna arrendersi, ma insistere con domande e ricerca di spiegazioni. Poi attendere una risposta che, probabilmente arriverà dopo alcuni giorni, magari anche camuffata”, ed “essere pronti ad accoglierla”.

In questo senso, bisogna essere meno Marta e più Maria, occorre “ritornare ai piedi” degli adolescenti per ascoltarli, come Maria fece con Gesù, “per capirli, per apprezzarli, per ragionarci insieme e soprattutto per stupirci e ringraziare della bellezza che la loro vita ci può consegnare anche in mezzo alle fatiche e alle incomprensioni che la caratterizzano”.

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