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Se si muore a 9 anni, come si può dire che la vita è bella?

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 30/06/15
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Non è dalla vita che si trae il suo significato, ma dall’incontro concreto con CristoPadre Aldo Trento si china tutti i giorni che Dio manda sui malati cronici o peggio terminali che incontra nel suo servizio come missionario in Paraguay, ce lo racconta in una appassionata rubrica sul settimanale Tempi. Sofferenze come quella di Carolina, 9 anni, morta dopo una lunga agonia fisica e spirituale (abbandonata dalla madre appena nata) gli fanno gridare: «Signore, perché lei e non me?». Sofferenze come quelle di un altro bambino che disgraziatamente ha preso il posto della piccola Carolina: ammalato di leucemia e di Aids, una malattia trasmessa dal papà che insieme ad alcuni pervertiti avevano abusato di lui sessualmente.

Padre Aldo quindi domanda e si domanda come si possa dire: la vita è bella? Dopo una giornata passata nella sofferenza, la risposta più logica a questa affermazione è la rabbia.
 

“Mio fratello – racconta Padre Aldo – ha perso le sue figlie: una di 28 anni, morta di tumore, e l’altra, di 26, in un incidente stradale. Sono morte nello stesso anno: una in agosto e l’altra alla vigilia di Natale. Sono passati dieci anni e la vita continua insopportabile, piena di un dolore senza risposta. In nessuno dei due funerali mi è stata data la possibilità di presiedere la Messa. La mia sola presenza scatenava nei genitori la rabbia con Dio che aveva tolto loro le uniche due figlie. E la vita è bella?

Se la vita fosse bella in sé, sarebbe difficile spiegare il numero di disperati che riempie il mondo. Dopo il peccato originale la vita ha perso la sua bellezza: per questo il Verbo si è fatto Carne, e soltanto da quel momento, in cui la Madonna ha detto sì, la realtà è tornata a fiorire riempiendosi di positività. Il bello è incontrare Cristo: solo di conseguenza possiamo affermare che anche la vita è bella. La stessa malattia, se non fosse sostenuta da Cristo, sarebbe una tragedia, per questo non mi sorprende che esista una corrente di pensiero che sostiene l’eutanasia. La vita non trova una ragione in sé: viceversa, non capiremmo i martiri”

Ecco la speranza che si fa strada: spesso si incontrano persone fisicamente distrutte, ma appassionate alla vita, e all’origine di questa posizione c’è sempre una grande relazione personale con Cristo. Ad esempio Don José è da due anni nel letto, immobile, cieco e con le gambe piene di piaghe. A chi gli chiede come sta, risponde «molto bene». Come “molto bene”? Il suo corpo sembra un pezzo di marmo ma José ripete: «Io sto molto bene. Qui non mi manca nulla: ho da mangiare, ho molti amici, ma la cosa più importante è che ho Gesù e, grazie all’incontro con Lui, la mia vita è diventata bella». E a chi insiste chiedendogli se sarebbe felice di essere curato da Gesù, risponde: «Certamente, ma a condizione di non tornare alla mia vita disordinata di prima».

Solo l'incontro con Cristo può farci dire: la vita è bella.

“Da dove arriva questa rapidità nell’abbracciare le persone che soffrono? San Paolo affermava: «Caritas Christi urget nos!» (l’amore di Cristo ci sprona). È bello vedere tutti i giorni che questa gente umile finisce sempre nelle nostre braccia, non importa l’ora. Cristo non può aspettare.
Spesso mi chiedo perché non seguiamo la testimonianza del Santo Padre, la sua passione per Cristo e per i poveri. Un giornalista del Vaticano raccontò un fatto: alcuni giovani drogati, non avendo un posto dove dormire, si avvicinarono ad una chiesa cattolica per ripararsi ma furono cacciati. Conobbero poi dei marocchini che li accolsero nella loro casa e nel tempo questi giovani si aggregarono all’Isis”

Una riflessione, quella sull'accoglienza, che dovremmo fare tutti noi…