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Terrore transcontinentale

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Aya Chebbi-CC

Città Nuova - pubblicato il 27/06/15

I quattro attacchi del venerdì di Ramadan in Tunisia, Somalia, Kuwait e Francia hanno una stessa regia?

di Michele Zanzucchi

Le cronache giornalistiche riportano con abbondanza di particolari quanto è successo: i miliziani dell’Isis che attaccano i turisti sulla spiaggia della bella e storica Soussa, facendo 38 morti; i loro colleghi che nel Kuwait assaltano un luogo di culto sciita, facendo 27 morti; lo strano attacco di Lione, in cui un solitario attentatore cerca di sabotare degli impianti industriali mozzando la testa al proprietario della ditta per la quale lavorava, la Air Products di Saint-Quintin-Fallavier… E se vogliamo possiamo mettere nel mazzo anche l’attacco kamikaze degli al-Shabab in Somalia che assaltano una caserma della forza d’interposizione dell’Unione africana facendo almeno 30 morti. E ancora, il giornale Sun rivela di aver sventato un attentato a Londra. A Roma, invece, pare sia stato arrestato a Fiumicino un pakistano che avrebbe qualcosa a che fare con l’attentato contro il mercato di Peshawar del 2009.

Venerdì di terrore, dunque. Bollettino di guerra su cui sventolano spesso e volentieri i vessilli dell’Isis. Le condanne ovviamente si moltiplicano, mentre cresce la paura in tutt’Europa. Gli analisti vedono la mano dell’Isis dietro tutti e quattro (o cinque) gli attentati, chiedendosi se una stessa mente abbia guida tra tre continenti tali attentati in contesti tanto diversi. Mentre non pochi invocano un attacco “definitivo” contro l’Isis in Iraq e Siria. Ovviamente il sangue versato invoca la preghiera, chiede vigilanza, obbliga alla protezione.

Ma a chi giova tutto ciò? Quali sono i veri scopi degli attentatori? Che processi di pace vengono attaccati con queste azioni? Si possono fare solo supposizioni, ma credo legittimamente e doverosamente.

Innanzitutto ieri è stata una giornata importante per la diplomazia internazionale, grazie all’accordo siglato tra Santa Sede e Palestina per relazioni diplomatiche stabili e durature. Ma per trovare la notizia bisogna scorrere a lungo le pagine dei giornali e le home page dei siti, spesso senza nemmeno riuscire a scorgere una tale notizia che potenzialmente ha notevoli possibilità di pacificazione nell’area mediorientale.

In secondo luogo, nessuno o quasi parla delle trattative per il nucleare iraniano, che stanno per entrare nella stretta finale. Si sa che Israele e gran parte del mondo sunnita non vedono di buon occhio l’accordo voluto da Rouhani e da Obama. In particolare l’attacco contro la moschea sciita di Kuwait City pare mirare a contrastare quest’accordo, mentre sunniti e sciiti nei fatti si combattono già in diversi Paesi, Yemen e in Siria in primis.

In terzo luogo si vuole attaccare la fragilissima ma promettente democrazia tunisina, l’unica sorta dalle primavere arabe del 2011, sopravvissuta a tante tensioni interne e certificata da ripetute votazioni universali. Un esempio che dà fastidio a molti, in particolare ad alcune fazioni violente e radicali stanziate nella vicina Libia.

In quarto luogo questi attentati non fanno che aumentare la paura di noi europei e quindi la nostra diffidenza sempre più radicale nei confronti dell’ondata di immigrazione proveniente dal Sud del mondo, in particolare quella che arriva coi barconi (che, come è risaputo e dimostrato, non è certo la via preferita da eventuali attentatori per penetrare nel Vecchio continente).

Chi vuole percorrere il difficile cammino della pace deve operare per disinnescare le mine che vengono piazzate lungo il percorso. Cedere alla paura sarebbe il primo regalo fatto ai terroristi, che vogliono proprio far crescere il terrore qui da noi. La paura ottenebra le menti, impedisce di capire i fenomeni e di saperli gestire.

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