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Come si fa a dire addio alle persone care?

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Dimensione Speranza - pubblicato il 26/06/15

Per risanare la ferita occorre molta pazienza e l’attivazione di risorse umane e spirituali
di Arnaldo Pangrazzi

La perdita di una persona cara, presto o tardi, tocca la vita di ognuno, inclusi i religiosi. Essere sacerdoti, suore o fratelli, non toglie il dolore. Non si è spiritualmente vaccinati contro la sofferenza. Il dolore che si prova dinanzi alla morte di una persona cara è il prezzo che si paga per il proprio amore. Amare qualcuno significa accettare che, lentamente o improvvisamente, giungerà il momento del distacco. (1)

Quando la perdita avviene a seguito di una malattia grave c’è, spesso, l’opportunità di prepararsi, essere vicini e accompagnare un familiare. In altre circostanze, quali un infarto, un incidente, un suicidio, la morte accade improvvisamente e non c’è tempo per dirsi addio, rimane il vuoto di una presenza, talvolta il rimorso per cose dette o non dette, fatte o non fatte.

Guarire il cuore ferito richiede pazienza con se stessi, l’uso costruttivo del tempo, e l’attivazione delle risorse umane e spirituali per elaborare positivamente il cordoglio.

Una perdita particolarmente sentita dai religiosi riguarda la morte dei genitori. Essi rappresentano le proprie radici e tutto quell’insieme di valori, affetti e ricordi che hanno segnato profondamente la propria storia.

Con la loro dipartita muore qualcosa di sé e la vita non è più la stessa. Talvolta il ritorno alla propria casa acutizza il senso di vuoto e di nostalgia che si prova per l’assenza di volti, gesti o parole cui quella dimora ci aveva abituati.

Il patrimonio di ricordi e il supporto della fede aiutano certamente a superare la perdita, anche se le circostanze di morte o l’impreparazione all’evento potrebbero mettere in crisi la fede dei superstiti.

Particolarmente delicate risultano quelle situazioni luttuose in cui i religiosi, per distanze geografiche o problemi pratici, non sono in grado di essere presenti all’addio o ai riti funebri.

La lontananza dal tessuto familiare e l’assenza dalla ritualizzazione comunitaria dell’addio possono alimentare sensi di colpa, isolamento o solitudine, che complicano l’elaborazione del lutto. L’attenzione e il conforto offerto dai confratelli e dalle consorelle contribuiscono ad alleviare la sofferenza di chi è nel cordoglio.

IL VOCABOLARIO DEL DOLORE
Ci sono due termini che sintetizzano il processo e le dinamiche attivate da esperienze di distacco: il cordoglio e il lutto.
Il cordoglio dal latino cor – dolere (il cuore che duole), si riferisce a quell’insieme di reazioni e stati d’animo che si sperimentano dinanzi alla perdita di un bene, sia che riguardi persone o cose.

Si prova cordoglio per una varietà di perdite, quali: la propria terra (es. i profughi o gli emigrati), la salute (la malattia fisica, psichica, sociale e spirituale), la propria immagine (es. il disonore proprio o della famiglia, il turbamento per il processo di invecchiamento…), legami importanti ( es. il divorzio o la separazione), l’autonomia economica (es. la perdita del lavoro, una rapina…), i beni interiori (es. la pace, la libertà, la speranza…). Questo mosaico di perdite richiama la precarietà dell’esistenza e la provvisorietà di ogni bene; il cordoglio che le accompagna anticipa e prepara ad affrontare l’ultima perdita, che è la morte.

Il termine lutto, dal latino lugere = piangere, si riferisce al cordoglio specifico provato dinanzi alla morte di una persona; le sue manifestazioni abbracciano la sfera sociale, psicologica, mentale e religiosa. Il lutto è accompagnato da un insieme di “rituali” sociali (annunzi funebri, espressioni di condoglianze, vestiti scuri…) e religiosi (veglie funebri, celebrazioni delle esequie, messe di anniversario…) che informano sulla morte, favoriscono l’espressione della solidarietà verso i familiari, confortano attraverso le promesse della fede.

Diverse variabili influiscono sul modo di rispondere alla perdita di una persona cara. Innanzitutto incidono aspetti concreti, quali: l’età, il sesso, i ruoli interpretati dal defunto e dai superstiti.

In secondo luogo, riveste importanza il tipo di rapporto instauratosi tra il superstite e il defunto (intimo o distante, di mutuo supporto o di indifferenza, di stima reciproca o di costante conflittualità…), e l’atteggiamento assunto dinanzi alla sua morte (di accettazione o ribellione, di apertura ad altri o di chiusura nel proprio dolore, di gratitudine per quanto avuto o di disperazione per quanto perduto).

In terzo luogo, molto dipende dal tipo di supporto esterno su cui può contare chi è in lutto, rappresentato dalla famiglia, dagli amici, dall’appartenenza a una comunità religiosa, dal lavoro o dall’esercizio di una professione.

Infine, la variabile più significativa riguarda la mobilitazione del medico interiore rappresentato dal ventaglio di risorse psicologiche, mentali, emotive e spirituali che aiutano la persona a integrare la perdita e a reimmergersi nella vita.

IL PROCESSO DI GUARIGIONE
Il lavoro di una sana elaborazione del lutto è di natura olistica e comporta tre compiti fondamentali:

L’accettazione cognitiva della perdita
Un primo orizzonte di guarigione consiste nel sanare la mente. La morte di un proprio caro può scombussolare la persona, alterarne il sonno, impedirne la concentrazione, bloccarne le capacità decisionali, indebolirne la motivazione.

Una perdita, specie se grave, ha il potere di destrutturare l’edificio delle proprie certezze, sollevare interrogativi circa il senso delle tragedie, mettere in crisi la propria fede. Il superamento del lutto richiede la capacità di contemplare quanto accaduto con uno sguardo realistico e speranzoso.

Il processo di guarigione della mente si manifesta nel modo di pensare della persona e negli atteggiamenti assunti. Vi è chi da un distacco esce più maturo e chi più insicuro, chi più sensibile al valore delle relazioni e chi più indurito nel cuore, chi più attento a ciò che è essenziale e chi più assorbito da ciò che è effimero. Un criterio generale per misurare l’adattamento a una perdita riguarda la capacità del superstite di rivedere le proprie abitudini, scelte e comportamenti in base al nuovo quadro della situazione.

L’accettazione emotiva della perdita
La salute della mente transita per la via del cuore. È li che si annidano le emozioni suscitate dalla perdita.
Due approcci diametralmente opposti ed egualmente inefficaci nel gestire i sentimenti riguardano, da una parte, la tendenza all’impulsività che si manifesta nello straripamento delle emozioni e, dall’altra, la tendenza all’eccessivo controllo o repressione di chi assume un contegno distaccato, mascherando il vulcano di stati d’animo che lo abitano.

I sentimenti invocano accoglienza e cittadinanza, per non essere relegati nel dimenticatoio. Le emozioni represse o ignorate non spariscono ma, come bambini frustrati, ritornano al centro della scena reclamando attenzione attraverso malesseri psicomatici.

Sentimenti frequenti in circostanze luttuose sono la tristezza, l’amarezza, la paura, il rammarico. Due sentimenti particolarmente significativi riguardano la collera, suscitata dall’impatto con una vita cambiata e dalla percezione di ingiustizia per quanto accaduto, e il senso di colpa, per tutto ciò che rimane incompiuto, per i limiti del proprio rapporto e intervento, per non aver strappato la persona alla morte.

La guarigione del cuore ferito passa attraverso l’accoglienza dei sentimenti. Talvolta, sono intensi e impetuosi, in altre circostanze più tenui e passeggeri; in alcune occasioni si sprigionano all’improvviso, nel contatto con persone o ricordi, in altre si consolidano nel tempo, all’ombra di lunghe e pesanti solitudini. Nella misura in cui gli stati d’animo trovano piste di drenaggio attraverso la condivisione con qualcuno, la comunicazione scritta, la preghiera rivolta a Dio, il coinvolgimento in attività benefiche, si attenua l’intensità emotiva e il cuore si va sanando.

L’accettazione comportamentale della perdita
Il risultato di un cambio nel “modo di pensare” si riflette nel “modo di sentire” e questo, a sua volta, influisce sul “modo di fare” e di comportarsi della persona. Ogni perdita significativa produce un cambio d’identità tra il sé del passato e quello attuale, un cambio che investe l’orizzonte interno ed esterno della persona, il suo mondo intrapsichico e interpersonale.

L’itinerario di graduale guarigione prevede che dopo la fase iniziale di smarrimento e di shock e una volta superati i sentimenti e le reazioni più intense, la persona sia in grado di assumersi le proprie responsabilità familiari, sociali e professionali, e sia capace di recuperare gli interessi, sviluppare nuove abitudini, dare vita a nuovi progetti.

Per alcuni questo adattamento richiede tempi molto lunghi, per altri è più rapido. Ci sono perdite che si odiano per l’infinità di inconvenienti e di problemi che procurano, altre cui si ­rivolge un debito di gratitudine per ­l’opera di umanizzazione e trasformazione cui contribuiscono. Un doloroso distacco può rendere la persona più sensibile al prossimo o peggiorarne i tratti accrescendone la scontrosità, il vittimismo, l’insoddisfazione.

Alcuni criteri indicativi di un positivo recupero da un lutto, includono: una condizione di benessere fisico generale, il ritorno dell’energia e della motivazione, la capacità di prendere cura di sé e di trovare spazi di gratificazione, il desiderio di progettare il futuro.

LA COMUNITÀ LUOGO DI GUARIGIONE
La comunità religiosa riveste un ruolo di primaria importanza nel trasmettere vicinanza e supporto ai religiosi provati da un lutto. Essa è chiamata a essere luogo di comunione, condivisione e guarigione.

Nell’Eucaristia si fa memoria di quanti sono morti e risorti in Cristo; nella preghiera si stabilisce un filo di unione spirituale con quanti hanno concluso il loro pellegrinaggio terreno e sono entrati nella pienezza della vita.

La disponibilità di confratelli o consorelle ad ascoltare i ricordi, i sentimenti e i vissuti di chi è nel cordoglio diventa opportunità per praticare il vangelo della solidarietà e della carità.

Come scriveva Giovanni Paolo II: «Il mondo del dolore invoca costantemente un altro mondo, quello dell’amore» nella consapevolezza che nel programma messianico di Cristo «la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo»” (Salvifici doloris, 30).

——–
1) Arnaldo Pangrazzi, Aiutami a dire addio, Erickson, Trento, 2002.

[Tratto da Arnaldo Pangrazzi, Il lutto un viaggio dentro la vita, Ed. Camilliane, Torino, 1991]

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