Come per il sacerdote, anche per gli sposi uniti in sacramento ci sono momenti culmine che riassumono la realtà sponsale in un solo atto, quello dell’unione matrimoniale di essere “una sola carne”Vogliamo farvi un esempio: un sacerdote è sacerdote “per sempre”, non smetterà mai di essere sacerdote. Ad ogni modo, ci sono momenti culmine in cui Cristo vuole agire sacramentalmente e in modo particolare attraverso il sacerdozio di quell’uomo ordinato per l’imposizione delle mani del vescovo. Uno di quei momenti culmine è la celebrazione dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è un momento culmine in cui il sacerdote agisce “nella persona di Cristo”, ovvero diventa strumento trasparente di fede perché la sua persona rende presente Gesù Cristo. È l’attualizzazione del sacramento dell’ordine. È come se tutto il suo sacerdozio si riassumesse in quella celebrazione eucaristica. E la fede apre gli occhi e vede il cielo aperto.
In modo simile, il matrimonio è consacrato dal sacramento dal giorno delle nozze fino a che la morte non scioglie i coniugi dal loro vincolo. Si sono donati l’uno all’altro senza riserve in Gesù Cristo. Questa donazione reciproca è il sacramento perché significa sacramentalmente la presenza di Cristo che si dona alla sua Chiesa.
Il momento culmine di questa donazione reciproca coinvolge tutto ciò che faranno in futuro come sposi e come genitori, ma come per il sacerdote, anche per gli sposi uniti in sacramento ci sono momenti culmine che riassumono la realtà sponsale di sempre in un unico atto, quello dell’unione matrimoniale di essere “una sola carne”.
Si realizza, si riattualizza, quando gli sposi si donano l’uno all’altro “nel Signore”. In quel momento diventano strumento trasparente di fede come persone che rendono presente Gesù Cristo che si dona di nuovo alla sua sposa, la Chiesa, per renderla santa e immacolata alla sua presenza. E la fede apre gli occhi e vede il cielo aperto.
La consacrazione della Santa Messa è uno dei momenti che richiedono maggiormente il raccoglimento profondo del credente. Perché? Perché in quel momento Cristo si immola, si dona, si offre. Qualcosa di simile, sotto un altro segno, lo realizza Gesù Cristo quando si uniscono i due sposi. Cristo si dona alla sua Chiesa per renderla santa e immacolata alla sua presenza. È l’attualizzazione del sacramento. È un momento culmine del disegno di Cristo sull’amore degli sposi. Questo non richiede forse una profonda attenzione alla presenza del Signore nell’atto matrimoniale?
Ora potrete comprendere perché gli sposi cristiani prima di “diventare un’unica carne” si inginocchiano davanti a Dio, lo ringraziano per l’amore che ha donato loro e gli chiedono di potersi amare l’un l’altro come Cristo li ha amati. Si stanno apprestando a celebrare il loro sacramento. Convocano Cristo e la Chiesa e diventano segno della donazione di Cristo alla sua Chiesa. Quando si celebra la Messa, Cristo morto e risorto si rende presente sotto i segni del pane e del vino, che non sono più pane e vino.
Quando la coppia celebra il suo matrimonio, la donazione di Cristo alla sua Chiesa diventa presente sotto il segno dell’unione degli sposi.
Facciamo un passo avanti per scoprire le meraviglie che Dio ha pensato di dare al matrimonio.
I tre altari del matrimonio cristiano
Gli antichi parlano di tre altari nel matrimonio cristiano. Il primo altare è l’altare della chiesa in cui ci viene servito il pane della parola di Dio e dell’Eucaristia per la vita eterna. Il secondo altare è la tavola familiare alla quale si condivide il cibo, dove la famiglia prega, dove si educano i figli.
Il terzo altare è il talamo nuziale, ovvero il letto matrimoniale. È un altare. È un monumento, un luogo sacro.
Vediamo che conseguenze ha questo fatto. È evidente che questa realtà sacramentale richiede un’estetica molto particolare e attenta. Il contesto esterno favorisce o distrugge questa coscienza di sacralità. Come l’altare della chiesa, la tavola familiare deve essere sempre un luogo degno e bello, soprattutto quando la famiglia si riunisce, e anche il talamo nuziale deve essere un luogo degno. È un santuario, un altare. I figli non devono entrarci senza permesso espresso.
Non credete forse che questa realtà di fede debba illuminare tutto ciò che fanno gli sposi, soprattutto nei momenti culmine del loro matrimonio? Vi rendete conto della tragedia delle coppie che non hanno fede o che sono entrate in una routine mortale perché tutto si fa per abitudine e non c’è cuore né presenza divina perché non c’è consapevolezza di questa?
Tutto diventa ricerca egoistica del piacere. La routine senza fede, senza amore, non è solo un problema delle persone sposate. Anche noi sacerdoti corriamo il rischio di celebrare il mistero eucaristico nella routine, senza che ci siano più amore o fede. Bisogna sempre recuperare il primo amore.
Le espressioni di oggi che descrivono ciò che gli sposi devono fare in camera da letto denunciano la povertà della concezione che si ha del momento in cui si realizza l’unione: “avere rapporti”, “realizzare l’atto matrimoniale”, ecc. La più accettabile potrebbe essere “fare l’amore”, ma anche questa espressione è povera, molto povera.
Da tutto ciò che abbiamo detto in precedenza potete dedurre che l’atto matrimoniale non “si fa”, ma “si celebra”. Lo indicano l’estetica e il decoro che devono circondarlo.
Come si celebra? Beh, sapete quali sono gli ingredienti perché ci sia una vera e autentica celebrazione, perché ci sia una vera e autentica festa. Tutto è stato preparato con speranza, è un incontro gioioso, si procede con allegria, la cosa più importante sono le persone che partecipano, e si dà tempo al tempo, si gioisce senza affrettare la festa, vero?
Bisogna imparare a celebrare. E come si impara? Celebrando l’amore di Dio presente nella coppia. A poco a poco svilupperete il vostro modo inconfondibile di celebrare.
Ci possono essere delle tecniche su come celebrare?
Impossibile, perché ogni coppia è diversa e celebrerà il proprio matrimonio in modo diverso. Sarà l’impegno e il diletto dei primi mesi (non settimane, per favore!) di matrimonio scoprire come celebrare l’atto matrimoniale.
È evidente che si devono scoprire i doni peculiari che Dio ha dato a ciascuno dei due perché ci sia festa, perché ci sia celebrazione. È importante, in questo senso, parlare molto della festa trascorsa perché fa rivivere le gioie sperimentate e prepara a celebrare meglio quella successiva.
Questa è la chiave. Anche dopo anni di matrimonio, gli sposi possono trovare nuove “delicatezze” per offrirsi l’uno all’altro semplicemente perché ascoltano davvero l’altro.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]