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Mamma e papà servono ancora?

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 19/06/15

...assolutamente sì!

“…in Italia per ogni bimbo adottato ci sono più di 10 domande di adozione. Ma se si considera il numero di bimbi già dichiarati in stato di adottabilità e non adottati […] il rapporto è 20:1. Dichiara Marco Griffini, presidente Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini, Ong con tredici sedi in Italia e venticinque uffici in tutto il mondo) che al 2012 i minori senza famiglia in Italia sono circa 35.000 e che “per ogni bimbo dichiarato adottabile in Italia ci sono venti coppie in attesa di adozione” (www.nostrofiglio.it), ma di questi 35.000 la grande maggioranza non sono adottabili per problemi legali, sono grandicelli d’età e/o portatori di gravi disabilità, e i Tribunali per i Minori fanno molta fatica a collocarli. Quelli adottabili sono circa 1.900 e si trovano oggi in sistema di accoglienza temporanea (il 59% sono in comunità da oltre due anni e di questi il 24% da oltre quattro anni, il restante 41% sono in famiglia).

Si aggiungano problemi strutturali; ad esempio in Italia su 29 Tribunali per i Minorenni, solo 8 hanno una banca dati aggiornata […] Alla luce dei dati suddetti, possiamo facilmente smontare un’altra menzogna tipica della deriva del “politicamente corretto”, che si continua a ripetere come un mantra, passando di bocca in bocca grazie alla diffusione mediatica, senza che ci si prenda la cura di sottoporla alla fatica della verifica e della critica: “Aprendo all’adozione da parte di coppie gay risolveremo il problema dei bimbi abbandonati negli orfanotrofi italiani…”.

Questa è solo una delle molteplici “balle” che ci vengono rifilate per far passare il mantra del politicamente corretto in tema di coppie omosessuali, e che vengono riassunte in un libricino agile (una novantina di pagine) dal professor Massimo Gandolfini (neuropsichiatra), alfiere della lotta all’ideologia gender tra i promotori della manifestazione di sabato 20 giugno a Roma. Il titolo del volumetto: Mamma e papà servono ancora? Psico-neurobiologia nel dibattito sul matrimonio gay” (editore Cantagalli) e ha come scopo quello di inserire nel dibattito nostrano le questioni che psicologia e biologia pongono nella vita di un bambino e di quali siano le condizioni migliori in cui corpo e personalità si sviluppano al meglio. Un aspetto essenziale questo perché se le condizioni non sono ottimali – almeno in via di principio – i danni potenziali sono enormi. E sono proprio i dati, gli studi e gli orientamenti reali della comunità scientifica, quelli che mancano nel dibattito, insomma sono i fatti e non i desideri, così come abbiamo accennato con la questione della “adottabilità”.

Gandolfini ci guida nelle questioni dell’intersoggettività, dei rapporti madre-figlio all’interno dell’utero durante la gestazione e di come il mondo esterno venga costantemente mediato attraverso la relazionalità dei genitori a vantaggio della prole. Il corpo della madre nutre e costruisce quello del bimbo, e contemporaneamente la vita psicica e sociale che la circonda influisce sul bambino.

Attraverso lo studio dei neuroni specchio e delle moderne neuroscienze cognitive, l’Autore ci porta per mano a quelle conclusioni intuitive del “buon senso dei nonni”, ma che la scienza ci conferma come vere:

 “I primi anni di vita del bambino sono cruciali, in quanto costituiscono il periodo in cui si costruisce la matrice intersoggettiva madre-figlio, padre-figlio, e questa costituisce lo stampo, l’imprinting, il modello del processo di piena identificazione con le figure genitoriali che si completerà nell’adolescenza, quando il maschio e la femmina hanno stabilizzato i rispettivi ruoli e diventano capaci, identificandosi con i genitori, di prendersi cura – a loro volta – di una creatura dipendente e indifesa. Già Freud aveva affermato che ogni relazione umana vissuta, sia a livello conscio che inconscio, con i propri genitori durante l’infanzia, avrà un’influenza decisiva nello sviluppo della personalità del bambino”

E ancora:

“Esiste una stretta e reciproca connessione tra le esperienze personali infantili/adolescenziali di attaccamento e la propria funzione di caregiving genitoriale (Bowlby 1982), assumendo la propria madre come modello (Winnicot 1953). Certamente, non tutte le mamme sono uguali e si differenziano per personalità e carattere – Raphael-Leff (2010) ne ha tentato una schematizzazione esemplificatrice a scopo didattico (Madre Facilitante, Madre Regolatrice, Madre Orientata alla Reciprocità, Madre Conflittuale) – e ciò dà ragione di possibili atteggiamenti materni diversificati assunti dalla figlia adulta; ma il dato importante è che la madre ha la corporeità femminile ed è questa che veicola il modello di personalità materna.”

Finché giungiamo al tema, delicato ma importantissimo, della cogenitorialità: un processo bidirezionale – intersoggettivo ed interattivo – in cui le azioni di un soggetto influenzano e sono influenzate da quelle dell’altro e/o degli altri due. “Va detto – spiega Gandolfini – che si può parlare di cogenitorialità anche quando ci riferiamo ad un singolo genitore e un bambino: in questo caso il genitore assente può essere solo simbolico, rappresentato, ricordato o negato, ad opera del genitore presente. È evidente che si tratta di una condizione non favorevole per il bambino, spesso necessitata e non riparabile, che presenta oggettivamente un grosso elemento di rischio: la rappresentazione del genitore assente viene affidata al genitore presente, che può avere mille motivi diversi per darne – anche inconsapevolmente – una rappresentazione forviata e forviante.”

I bambini ci guardano fin dai primissimi mesi e scrutano le nostre relazioni e il modo con cui interagiamo con essi, assai più di come i genitori interagiscono tra di loro. Davvero i bambini ci guardano anche quando sono di spalle…


“A due mesi il neonato è in grado di riconoscere il viso della propria madre, riconoscendolo fra i volti di altre persone. Le interazioni “faccia a faccia” sono precocissime, bidirezionali e caratterizzate da intense esperienze di rispecchiamento, che creano una sorta di fusione all’interno della diade, che plasma il legame affettivo di attaccamento”

In questo viaggio nel rapporto tra madre-padre-figlio c’è tutta la necessità di non aprire un vaso di Pandora di cui non si conosce il contenuto o peggio, conosciutolo, ignorato. I rapporti genitori-figli sono rapporti fisici ed emotivi insieme, e nel bambino la differenza tra l’uno e l’altro è labile quanto insignificante, i rischi di uno stravolgimento dei rapporti di parentela come – ad esempio – sono quelli possibili attraverso la fecondazione eterologa dovrebbero lasciare tutti noi a disagio con questa eventualità.

In un percorso circolare Gandolfini – che era partito dalle questioni delle adozioni per parlare di genitorialità – ci torna per sfatare un mito anch’esso molto usato dalla propaganda:

“Per concludere, è necessario sgombrare il campo da un equivoco, tanto divulgato quanto totalmente insostenibile: non c’è differenza fra chi sceglie la via della fecondazione eterologa e chi sceglie la via dell’adozione di un bimbo abbandonato. Si afferma, infatti, che anche nel caso dell’adozione non esiste alcun legame biologico fra il bimbo e i genitori adottanti e, quindi, il bimbo è privato delle proprie radici, così come avviene nell’eterologa. La realtà è un’altra: è il punto di partenza che è ben diverso e che connota la moralità o meno dell’atto. Nel caso dell’adozione – strumento giuridico apprezzato in tutto il mondo come segno di nobiltà civile di un popolo – il dato di fatto è rappresentato dalla presenza di un bimbo abbandonato, privato del proprio diritto (questo sì è un diritto!) di avere una famiglia che lo accudisca e cresca. Per riparare questo grave danno per il bimbo e questa ferita per la società si è dato vita all’istituto giuridico dell’adozione: una coppia di genitori, una mamma ed un papà, si rendono disponibili ad accogliere come loro figlio quel bimbo abbandonato. Si tratta, quindi, di un nobile strumento di riparazione di un danno già in atto, che richiede un rimedio. Nel caso dell’eterologa, la condizione di partenza è totalmente opposta: una coppia – ed oggi si preconizza addirittura la possibilità che si tratti di una coppia omosessuale – esige che si realizzi il proprio desiderio di avere un figlio e, a tal fine, pone in atto il concepimento di un bimbo ricorrendo alle tecnologie sul mercato. Quindi, in questo caso, il bimbo è preordinato e programmato per appagare il desiderio della coppia committente, nel primo caso, al contrario, è la presa coscienza di una danno esistente, che certamente non ha preordinato la coppia adottante e che esige una soluzione civile.”

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