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Ragazzi in carcere, ragazzi d’oratorio

Carcere minorile

© Public Domain

Elledici - pubblicato il 16/06/15

I ragazzi del carcere minorile Ferrante Aporti, con cui papa Francesco pranzerà a Torino, raccontati nel libro-intervista del cappellano "don Mecô"

Nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino il cappellano è un’istituzione; il suo nome è don Domenico Ricca, salesiano, ma per i “suoi” ragazzi è solo “don Mecô”. Da 35 anni accompagna il percorso in carcere di ragazzi difficili, frutto di storie difficili, con lo stile di san Giovanni Bosco che nella Torino di metà Ottocento non dimenticava chi stava dietro le sbarre de “La Generala” (come si chiamava a quel tempo il Ferrante Aporti), l’istituto “Correzionale de’ giovani discoli”, spesso i più poveri ed emarginati. Quando papa Francesco andrà a Torino, domenica 21 giugno, in occasione dell’Ostensione straordinaria della Sindone, si siederà a tavola con don Ricca e alcuni ragazzi del Ferrante Aporti per il pranzo all’Arcivescovado. Don Ricca considera il carcere minorile il suo oratorio perché anche lì ci sono ragazzi che attendono una mano amica, che sono capaci di bene, come diceva don Bosco: “In ogni giovane, anche il più disgraziato, avvi un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto”. Non a caso, proprio dalle visite alla Generala nacque il “Sistema preventivo”, pilastro dell’impianto educativo del “santo dei giovani” del quale quest’anno si celebra il bicentenario della nascita. Alcune delle tante storie ascoltate e vissute da “don Mecô” nel servizio di una vita sono state raccolte dalla giornalista Marina Lomunno nel libro-intervista“Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti” (Editrice Elledici) di cui pubblichiamo un estratto del prologo.

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Se non fosse per i cancelli di ferro che si aprono e si chiudono alle tue spalle quando entri, e per i controlli al metal detector, la nuova ala del Ferrante, molto luminosa e dipinta con colori pastello, non è molto diversa da alcuni centri parrocchiali delle periferie torinesi. La cappella poi, arredata sobriamente con un grande crocifisso, un tavolo come altare e una piccola statua della Madonna, è simile a tante cappelle feriali delle nostre parrocchie. Ci sono una trentina di sedie perché, anche se non tutti i 21 ragazzi presenti oggi al Ferrante (italiani, sud americani, magrebini e rumeni) sono cattolici, quando don Mecô celebra la Messa le porte sono aperte a chiunque chieda di partecipare.

Ma domenica 8 giugno 2014, solennità di Pentecoste, l’atmosfera è speciale.

Per la prima volta nella storia del carcere minorile di Torino un ragazzo detenuto, Luigi, riceverà i sacramenti dell’iniziazione cristiana, battesimo, comunione e cresima.
Con lui anche due suoi compagni, Jonny, peruviano, e Marius, rumeno, si accostano per la prima volta all’Eucarestia.

(…) Ci sono i parenti dei ragazzi, tra cui la mamma, un fratello e la fidanzata di Luigi, madrina e padrino del suo battesimo. C’è la giovane fidanzata di Jonny che abbiamo incontrato nel parlatorio prima della Messa, mentre allattava la loro figlioletta. 17 anni per ciascuno, un anno la bimba, oggi vestita a festa con un nastrino bianco tra i capelli nerissimi.

(…) Finalmente, accompagnati da un agente, spuntano, un po’ impacciati Luigi, Jonny e Marius: indossano gli abiti più belli, jeans e camicia firmati, sbarbati e pettinati con cura, un piccolo crocifisso al collo. Tre bei ragazzi, come se ne incontrano tanti nei nostri oratori di periferia. Il tempo di un abbraccio stretto stretto ai parenti e a don Mecô che li prende per mano e li fa sedere in prima fila. Appena Jonny vede la figlioletta la prende in braccio, la bimba agita le manine, sorride al papà. Jonny sussurra qualcosa alla sua ragazza, lei lo accarezza. Sembrano due fratelli, la piccola una sorellina minore.

La cappella è piccola, siamo in poco più di 40 persone, qualcuno non trattiene le lacrime. Piange Barbara, la mamma di Luigi: «Battezzarlo in carcere è triste, non l’avrei mai detto, ma spero che prima o poi cambi, il Signore ci aiuterà. Ho un altro figlio in carcere, è al Beccaria di Milano».

Anche don Mecô che ha la fama di prete «tosto», di frontiera, temprato da 35 anni accanto a giovani con vite difficili, alcune spezzate, al termine di questa «intensa» Pentecoste confesserà: «È stata un’esperienza esaltante e molto commovente e ho dovuto controllare la frizione più volte per la commozione… È stata una vera, autentica Pentecoste, come l’hanno vissuta i cristiani descritti negli Atti degli Apostoli. Chi l’avrebbe mai detto che potevamo arrivare a tanto, alla fine di una settimana un po’ difficile per via di alcuni problemi con i ragazzi? Oggi abbiamo toccato con mano che il Signore Gesù è venuto a salvare non i giusti, ma i peccatori: ce lo sta ripetendo anche papa Francesco che ci esorta in continuazione ad essere misericordiosi: sono i malati che hanno bisogno del medico, non i sani».

(…)«Tutto è nato – dice don Mecô nell’omelia –perché, frequentando la nostra Messa, mi avete chiesto di accostarvi alla Comunione. Poi Luigi ha scoperto di non essere ancora battezzato e così vi siete preparati per arrivare oggi qui a ricevere i sacramenti, vi siete confessati, avete fatto un cammino. Avete toccato con mano che il cambiamento è possibile, basta volerlo».

È il momento di battezzare Luigi, padrino e madrina gli stringono le spalle con affetto. Mentre si piega sul fonte battesimale, scoppia un applauso. Ma poi torna il silenzio, Luigi riceve la cresima, quasi in ginocchio (è alto due spanne più di don Mecô)… Al Padre nostro tutti si prendono spontaneamente per mano, procuratore, comandante, psicologa, vicedirettrice, ragazzi detenuti, celebrante, cronista, agenti, volontari… Strette di mano che sembrano non volersi sciogliere.

C’è ancora la Comunione: Jonny, Marius e Luigi ricevono per la prima volta il corpo di Gesù. Si fanno il segno della Croce. Anche loro sono commossi. Abbassano il capo, forse pregano. La ragazza di Jonny, seduta in fondo alla cappella, allatta di nuovo la bimba. Sembra un’india. Mi chiedo come una madre minorenne possa reggere tutto questo. Ma lei allatta la figlia con lo sguardo incollato al fidanzato-papà. Il suo mondo è tutto qui ma non sembra preoccuparsene.

Il canto finale, le firme dei registri dei padrini. Il piccolo rinfresco. Luigi bacia la fidanzatina-madrina. Il tempo stringe, i ragazzi devono tornare il cella, la direzione ha dato per oggi un permesso speciale ai parenti dei detenuti, non verrà contato nelle visite mensili. Questa volta è più difficile separarsi dalla propria famiglia. Le lacrime rigano i volti dei ragazzi ma ci pare non sia solo angoscia per il distacco, piuttosto rammarico perché la festa è già finita.


I diritti d'autore della vendita del libro-intervista saranno devoluti a chi opera per la riqualificazione umana e civile dei ragazzi del Ferrante Aporti

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