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Per questo non nascondo la mia depressione

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The Christian Review - pubblicato il 16/06/15

Cosa succede quando il segreto oscuro e profondo viene fuori?

di Mike Eisenbath

Nell'ultima dozzina di anni, molti mi hanno chiesto perché non tengo per me la mia depressione ma anzi la “pubblicizzo”. Fondamentalmente, dico, è perché non mi piace tenere un dono per me.

Sì, la definisco un dono.

Forse dovrei tenerla per me. Dopo tutto, c'è un vero stigma collegato a qualsiasi malattia mentale, anche a qualcosa di relativamente comune come la depressione. In America è stata diagnosticata a milioni di persone, ma milioni di altre non hanno cercato aiuto anche se hanno tutti i sintomi perché temono ciò che gli altri potrebbero dire.

E cosa potrebbero dire gli “altri”?

“È pigro”. “Non è abbastanza duro”. “Dovrebbe essere capace di superarla”. “Chiunque ha brutte giornate di tanto in tanto, e la maggior parte delle persone non deve prendere medicinali o andare da un terapeuta per affrontarle”.

Abbiamo tenuto segreta la mia malattia per un po' dopo che mi era stata diagnosticata nell'inverno 2001-2002. Solo i membri più stretti della famiglia sapevano che qualcosa non andava e quale fosse il problema. Mia moglie Donna ed io non ne abbiamo parlato ad amici e colleghi. So che alcuni di loro erano preoccupati perché in seguito ce l'hanno detto, ma non sapevano esattamente perché continuavamo a declinare gli inviti agli incontri sociali, perché non mi vedevano mai, perché avevo lasciato il lavoro dei miei sogni e perché in quello nuovo mi perdevo un bel po' di cose.

Non sapevano delle mie paure e della mia incapacità di uscire dal letto certi giorni. Non sapevano della mia ansia e dei pensieri suicidi.

Alla fine Donna e io abbiamo deciso che non potevamo più tenere la questione privata – in parte per via dei nostri figli. Vedevamo come lo stress causato dal mantenere il segreto ad ogni costo stesse facendo pagare loro un prezzo troppo alto.

Come abbiamo scoperto, i benefici legati al condividere la propria vita con gli altri hanno superato di gran lunga gli aspetti negativi.

La maggior parte delle persone ci ha dato subito il proprio sostegno. Non è che tutti abbiano capito – e sospetto che alcuni di loro ancora non capiscano. Molti non ne hanno mai fatto parola con me o con Donna. Qualcuno ha detto che non comprendeva del tutto la malattia e cosa provassi, ma che ha imparato la compassione cercando di riuscirci.

La gente tiene segrete cose di ogni tipo nella propria vita. Aprirsi al giudizio può essere difficile. Detto questo, la decisione migliore che abbiamo mai preso è stata quella di far conoscere la nostra situazione non solo a familiari e amici, ma a tutti. È così che sono arrivato a considerare la malattia un dono.

Non sono la prima persona a guardare in faccia qualche tipo di avversità e ad abbracciarla. In genere c'è un'esitazione iniziale. Si combatte con il cancro, ci si lamenta dell'amore perduto, ci si affligge per il lavoro andato male, ci si chiede se si supererà mai una dipendenza. Con il tempo, diventa una lotta.

E poi si vince. La vittoria può non essere completa. Potrebbero esserci cicatrici, tentazioni, dubbi.

La vittoria potrebbe essere più simile alla sopravvivenza. È lì che il dono si svela. Ci sono innumerevoli persone nel mondo affette dal cancro, con un amore perduto, che hanno perso il lavoro, con una dipendenza – con la depressione. Devono sapere che sopravvivere è possibile.

Hanno bisogno di speranza. Di fronte all'avversità, hanno bisogno di speranza.

A un certo punto, mi sono ritrovato a pregare chiedendomi perché Dio avesse permesso che mi colpisse la depressione. È molto difficile. La sofferenza può non essere tanto forte a livello fisico come quella collegata ad altre malattie. Non ho dovuto sopportare la chemioterapia, ma ci sono effetti collaterali alla cura, e molti di questi non hanno funzionato affatto. Non ho perso le funzioni muscolari come fanno le persone affette da sclerosi multipla, ma c'è un altro tipo di paralisi che si può presentare.

Sono stato sufficientemente fortunato da rimanere sposato e da mantenere il mio lavoro, ma i miei rapporti sono stati messi alla prova e le mie performance lavorative a volte ne hanno risentito. La mia vita è stata poi in reale pericolo varie volte.

Non sono solo in questo. Ho incontrato molte persone che hanno preso in considerazione il suicidio, che non hanno trovato aiuto nelle cure, che hanno tagliato tutti i rapporti sociali, che non sono riuscite a lavorare per la loro depressione grave.

È per questo che considero la malattia un dono. Chiedendo a Dio “Perché?”, ho capito che posso usare questa esperienza per aiutare qualcun altro. Ne parlo, anche se a volte è molto difficile. Mi sono reso disponibile a parlare con qualsiasi gruppo possa essere interessato al tema – da 10 persone nel seminterrato di una chiesa a 100 persone in una conferenza sulla salute mentale. Sono andato alla radio per parlare di questa malattia. Ho scritto un libro sul mio percorso, e mi sono riferito alla depressione in alcune altre cose che ho scritto.

Lungo la via ho conosciuto molte persone sofferenti, uomini e donne con percorsi simili. Nel vedere che non si è soli si provano sollievo e incoraggiamento.

Dopo un incontro in cui Donna ed io avevamo parlato delle nostre esperienze per circa un'ora, ognuno di noi aveva una diversa fila di persone che volevano parlare con noi e porci delle domande. Le persone che avevano un familiare affetto da depressione si mettevano in fila per parlare con Donna, quelle affette dalla malattia aspettavano per parlare con me. Ricordo una giovane coppia che mi si è avvicinata. Lei era tranquilla, anche se sembrava un po' nervosa e quasi spaventata. “A mia moglie è stata diagnosticata la depressione due settimane fa”, mi ha detto il marito, sopraffatto dalla preoccupazione. “Non sappiamo cosa aspettarci”.

Durante i programmi radiofonici, alcuni chiamano tra i singhiozzi confessando di combattere con la depressione da molto tempo. Cercano consigli. Ogni tanto, un familiare di qualcuno mi contatta e mi chiede se quella persona può chiamarmi per condividere la sua storia, per trovare un po' di aiuto e di sollievo.

Sarò onesto, può intimidire. Cosa mi rende degno di entrare nella storia di vita di queste persone e di pretendere di avere parole o pensieri che potrebbero guidarli attraverso l'oscurità? Non sono un medico o un terapeuta. Diamine, io stesso lotto ancora con la malattia.

Ma sono ancora qui. Sono un esempio di qualcuno che è sopravvissuto. Sono caduto e mi sono rialzato – in gran parte grazie alla forza donatami da Dio, ma mi sono rialzato. Quello che ho da offrire è la speranza.

Tutti noi abbiamo un dono, qualcosa che Dio ci ha dato perché lo condividiamo con almeno un'altra persona in un modo che migliorerà la sua vita. Una sopravvissuta al tumore al seno può servire da esempio a qualcuno a cui è stata diagnosticata di recente questa malattia. Un alcolista recuperato è l'aiuto ideale per chi cerca di superare quella dipendenza. Ciò non rende nessuno un eroe. In genere non si hanno le risposte giuste ai problemi, ma si può essere presenti nella vita di un altro essere umano. Si può essere un simbolo di speranza.

Per chiunque soffra, è un dono impagabile.

——
Mike Eisenbathè sposato con Donna da 30 anni e ha quattro figli adulti e due nipoti. È stato scrittore sportivo per 23 anni e ha vinto vari premi. Una grave forma di depressione lo ha costretto ad abbandonare quella carriera. Continua a scrivere con un articolo mensile sul St. Louis Review e sul suo sito www.eisenbath.com. È oratore e scrittore.

[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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