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5 virtù deboli che rendono grande la gente

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© Public Domain

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Catholic Link - pubblicato il 13/06/15

Stimolare la nostra bontà, ecco cosa ci manca...

Jackeline Yagual

Di recente David Brooks, famoso articolista per il New York Times, docente della Yale University ed ebreo, ha scritto che pur avendo raggiunto molti degli obiettivi che si era prefissato nella vita con un certo livello di successo mondiale ha capito che mancava ancora qualcosa.

Cosa glielo ha fatto capire? Brooks afferma:

Circa una volta al mese mi imbatto in una persona che irradia una luce interiore. Queste persone si possono trovare in qualsiasi situazione. Sembrano profondamente buone. Ascoltano bene. Ti fanno sentire divertente e valorizzato. Spesso le vedi mentre si occupano di altre persone, e mentre lo fanno la loro risata è musicale e i loro modi pieni di gratitudine. Non pensano a quale splendido lavoro stanno svolgendo. Non pensano affatto a se stessi.
Quando incontro una persona di questo tipo, mi illumina tutta la giornata, ma confesso che spesso ho un pensiero più triste: che ho raggiunto un livello dignitoso di successo nella carriera ma non ho raggiunto quello. Non ho raggiunto quella generosità di spirito, o quella profondità di carattere”.

Brooks non usa la parola “santo”, ma il tipo di persona che descrive condivide molto con quella che potremmo definire una persona “santa” (cercherò di spiegare qualche distinzione nel corso di questo post). Un giorno ha capito che voleva essere un po’ più come loro.

Ho capito che se volevo fare quello dovevo lavorare più sodo per salvare la mia anima. Dovevo vivere il tipo di avventure morali che producono quel tipo di bontà. Dovevo migliorare nell’equilibrare la mia vita”.

Ecco allora la domanda importante: come riuscirci?

Mi è venuto in mente che c’erano due tipi di virtù, le virtù riassunte e le virtù di elogio. Le virtù riassunte sono le capacità che si portano sul mercato. Le virtù di elogio sono quelle di cui si parla al tuo funerale – se eri gentile, onesto o fedele. Sei stato capace di amore profondo?

Oggi vorremmo condividere la lista di “virtù di elogio” di Brooks esaminando dove si armonizzano con la fede cristiana e dove mancano. Come cattolici, capiamo che la nostra vita ha significato solo se la viviamo in base al progetto di Dio. L’unico modo per raggiungere la vera felicità è mettere al centro Dio, non noi stessi. Vivere per raggiungere le cose puramente esteriori significa che si permette agli anni di passare senza esplorare le parti più profonde di noi stessi.

1. Il cambiamento dell’umiltà


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Viviamo nella cultura del Grande Me. La meritocrazia vuole che tu promuova te stesso. I social media vogliono che tu diffonda i momenti salienti della tua vita. I tuoi genitori e i tuoi insegnanti ti hanno sempre detto quanto fossi fantastico.
Ma tutte le persone che ho ammirato profondamente sono estremamente oneste circa la loro debolezza. Hanno identificato il loro peccato fondamentale, sia esso egoismo, disperato bisogno di approvazione, codardia, durezza di cuore o qualsiasi altra cosa. Hanno visto come quell’aspetto fondamentale porti al comportamento che li fa vergognare. Hanno raggiunto una profonda umiltà, che è stata definita al meglio come un intensa consapevolezza di sé da una posizione di centralità sugli altri”.

Non potremmo essere più d’accordo. Se molti criticano la visione cattolica dell’umiltà e la costante enfasi sul miglioramento di sé, la storia rivela che le persone più consapevoli e più disposte ad accettare le proprie mancanze (in un modo salutare) sapevano dove trovare l’aiuto di cui avevano bisogno per fare davvero cose grandi. San Paolo lo dice bene nella Lettera ai Filippesi (3, 13): “Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro
”. O ancora nella Seconda Lettera ai Corinzi (12, 10): “Quando sono debole, è allora che sono forte”.

2. Autodifesa


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Il successo esteriore si raggiunge attraverso la competizione con altri, ma il carattere si costruisce nel confronto con la propria debolezza. Dwight Eisenhower, ad esempio, capì presto che al cuore del suo peccato c’era il suo temperamento. Sviluppò un’esteriorità moderata, cordiale, perché sapeva che per guidare aveva bisogno di proiettare ottimismo e fiducia. Fece cose sciocche per contenere la sua ira. Prendeva i nomi delle persone che odiava, li scriveva su dei pezzetti di carta e poi li strappava e li gettava nella spazzatura. In una vita di confronto con se stesso, sviluppò un temperamento maturo. Divenne forte nei suoi luoghi più deboli”.

La virtù non è ai primi posti nella lista delle cose popolari da… quando? Parlare delle nostre debolezze non è esattamente il modo per farsi amici e influenzare le persone. C’è di più. Molti tendono a ridurre la vita cristiana ad atti esteriori di servizio e solidarietà. Al cuore della vita cristiana c’è l’autotrasformazione: diventare sempre più simili a Cristo. Quando cadiamo, chiediamo perdono e sappiamo che non raggiungeremo mai la perfezione in questa vita, ma la vera trasformazione inizia, in cooperazione con la grazia di Cristo crocifisso e risorto, qui e ora.

3. Il salto della dipendenza

Molte persone regalano il libro ‘Oh, the Places You’ll Go!’ come dono di laurea. Questo libro suggerisce che la vita è un viaggio autonomo. Dominiamo certe capacità ed esperienze e alcune sfide nella nostra via verso il successo individuale. Questa visione del mondo individualista suggerisce che il carattere è la piccola figura di ferro della forza di volontà interiore, ma tutti capiscono che nessuno può raggiungere il dominio di sé per conto proprio. La volontà, la ragione e la compassione individuali non sono abbastanza forti da sconfiggere consistentemente l’egoismo, l’orgoglio e l’illusione. Tutti abbiamo bisogno di un’assistenza redentrice dall’esterno.

La gente che fa questo percorso vede la vita come un processo di presa di impegni. Il carattere è definito da quanto si è profondamente radicati. Avete sviluppato profondi legami che vi tengono su nei momenti di difficoltà e vi spingono al bene? Nel regno dell’intelletto, una persona di carattere ha raggiunto una filosofia solida sulle cose fondamentali. Nel regno dell’emotività, è radicata in una rete di amori incondizionali. Nel regno dell’azione, è impegnata in compiti che non possono essere completati in un’unica vita”.

È importante capire che per raggiungere il dominio di sé abbiamo tutti bisogno dell’assistenza redentrice dall’esterno. È lì che Dio, la Chiesa e il sacramento della confessione lavorano su di noi. Non ci impegniamo nel combattimento spirituale da soli.

In questo c’è tuttavia il pericolo di considerare gli altri come un semplice mezzo per raggiungere la mia forma distinta. Secondo la visione cristiana, l’obiettivo non è tanto la perfezione di sé quanto la comunione. Cerchiamo di migliorarci non per raggiungere uno status sociale, o anche morale; il nostro obiettivo finale è purificare il nostro cuore per accogliere l’eterno abbraccio della Divina Trinità, Comunione d’Amore.

Non temere, perché io sono con te; 
non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. 
Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto 
e ti sostengo con la destra vittoriosa – Isaia 
41, 10

4. Amore stimolante


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Dorothy Day ha condotto una vita disordinata quando era giovane: beveva, faceva baldoria, ha provato a suicidarsi una volta o due, seguiva i suoi desideri, incapace di trovare una direzione. La nascita della figlia, però, l’ha cambiata. Ha scritto di quella nascita: ‘Se avessi scritto il libro più, grande, composto la sinfonia più bella, dipinto il quadro più splendido o scolpito la statua più bella non avrei potuto sentirmi creatrice più esaltata di quando mi hanno messo la mia bambina tra le braccia’.

Quel tipo di amore decentra il sé. Ti ricorda che le tue vere ricchezze sono in un’altra persona. E soprattutto, questo amore elettrizza. Ti mette in uno stato di necessità e rende splendido servire ciò che ami. L’amore della Day per la figlia emergeva in tutto. Come ha scritto, ‘Nessuna creatura umana potrebbe ricevere o contenere un tale mare di amore e di gioia come quello che ho provato spesso dopo la nascita di mia figlia’. Con questo è venuta la necessità di adorare.
Ha preso impegni incrollabili in tutte le direzioni. È diventata cattolica, ha avviato un giornale radicale, ha aperto rifugi per i poveri e ha vissuto in mezzo a loro, abbracciando la povertà come modo per costruire la comunità, non solo per fare il bene, ma per essere buona. Questo dono d’amore a volte ha superato il fatto naturale di essere centrati su di noi che tutti proviamo”.

Non c’è dono più grande dell’opportunità di amare. Ci sono moltissime idee e concezioni sull’amore che i cattolici condividono con molti; suppongo che una delle differenze principali sia però il fatto che l’amore umano è essenzialmente e necessariamente ricevuto prima che dato. Qualsiasi concezione dell’amore che ignori questa dimensione ricettiva non è cristiana. Questo amore che decentra di cui parla Brooks si verifica solo quando abbiamo sperimentato lo stesso: creazione, crocifissione e resurrezione sono tutti momento del decentramento di Dio (kenosis).

Giovanni lo dice nel miglior modo possibile: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Giovanni 13, 34). Come umani, siamo stati creati dall’amore e per l’amore. È solo in questa luce che possiamo comprendere le parole “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20, 35).

5. La chiamata nella chiamata


© Hamed Parham/ Flickr

Tutti noi cerchiamo di guadagnare una professione per molti motivi: denaro, status, sicurezza, ma alcuni hanno esperienze che trasformano una carriera in una chiamata. Queste esperienze calmano il sé. Tutto ciò che conta è essere all’altezza dello standard di eccellenza inerente al loro compito.

Frances Perkins era una giovane attivista per le cause progressiste all’inizio del XX secolo. Era educata e distinta, ma un giorno si imbatté nell’incendio della fabbrica Triangle Shirtwaist e vide dozzine di lavoratori gettarsi al suolo piuttosto che finire arsi vivi. Quell’esperienza modellò il suo senso morale e purificò la sua ambizione. Era la sua chiamata all’interno della chiamata.

Dopo quell’episodio, divenne uno strumento della causa dei diritti dei lavoratori. Voleva lavorare con chiunque, impegnarsi con chiunque, vincere le esitazioni. Cambiò perfino il suo aspetto per diventare uno strumento più efficace per il movimento. Divenne la prima donna di gabinetto degli Stati Uniti, sotto Franklin D. Roosevelt, ed emerse come una delle più grandi figure civiche del XX secolo”.

La diffedrenza tra qualcuno che sta facendo il proprio “lavoro” e qualcuno che sta vivendo la propria “vocazione” è ovvia a chiunque abbia gli occhi per vedere, e questo si applica anche alla vita cristiana. La chiamata esiste fin dalla nostra nascita: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Geremia 1, 5). Spesso, però, ci sono eventi, a volte tragedie, che ci aiutano a percepire la chiamata con maggiore chiarezza e intensità. Vale la pena di notare che secondo la visione cristiana la chiamata è sempre, alla fin fine, una chiamata a entrare in una relazione. La nostra missione, più che combattere “contro” qualche tipo di sistema, è sempre combattere a favore dei nostri fratelli uomini. Man mano che ci avviciniamo a Cristo, scopriamo cosa ci chiede insieme all’energia di assumere i compiti che ci affida, e così siamo capaci di diventare artefici di grandi cambiamenti in questo mondo.

Vista da un’altra angolazione, la nostra prima vocazione è diventare santi, ma la “chiamata dentro la chiamata” è il modo specifico in cui Dio vuole che raggiungiamo la santità (vita matrimoniale, vita consacrata, sacerdozio…). Ancora una volta, la vita cristiana inizia con l’azione di Dio, non con la nostra. Dio chiama, noi rispondiamo. La grandezza, allora, si trova non tanto in ciò che si fa, ma nella grandezza della chiamata che si serve.

Cari giovaninon accontentatevi di una vita mediocreLasciatevi affascinare da ciò che è vero e bello, da Dio!” – Papa Francesco

Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è ‘godere’ il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, ‘per sempre’, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare contro corrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il coraggio di ‘andare contro corrente’. E abbiate anche il coraggio di essere felici” – Papa Francesco, XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, Incontro con i volontari, 28 luglio 2013.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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