Una collana dell’Editrice Ave sulle “Parole di Francesco”, i temi che più caratterizzano il pontificato di Bergoglio"Fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito”. Sono le parole di papa Francesco all’Angelus della domenica 17 marzo 2013, il primo dopo l’elezione a pontefice il 13 marzo. Da allora il tema della misericordia è diventato un leit motiv del pontificato di Bergoglio fino all’indizione del Giubileo straordinario della Misericordia che avrà inizio l’8 dicembre del 2015. Alla “Misericordia” la casa editrice Ave dedica un volumetto della collana “Le parole di Francesco” che raccoglie temi e "parole" cari a papa Francesco e che ne caratterizzano il pontificato. Ogni volumetto prevede un'introduzione di un esperto e un'antologia con testi, interventi ed omelie di Bergoglio che dimostrano come la sensibilità ad alcuni temi particolari fosse al centro della sua predicazione e della sua azione pastorale già da arcivescovo di Buenos Aires. Pubblichiamo di seguito un estratto dall’introduzione di Piero Pisarra, giornalista e docente di Sociologia generale e Sociologia dei media all'Institut catholique (Facoltà di Scienze sociali ed ecomomiche) di Parigi.
Se c’è un’idea guida, una stella che illumina e orienta il cammino di papa Francesco, questa è la misericordia, la stella della misericordia. Nelle omelie mattutine a Santa Marta, nei discorsi e nei documenti, in particolare nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, la misericordia è il tema centrale. La chiave di un messaggio che obbliga a fare i conti con le nostre immagini di Dio e a sbarazzarsi di troppi clichés ancora in voga. Perché il Dio della Bibbia non è il castigamatti di tante rappresentazioni caricaturali, un sovrano vendicativo o un giudice impassibile. È, in primo luogo, il Signore «paziente e misericordioso, lento all’ira e ricco di grazia» che Israele invoca nella sua preghiera (Sal 145), «il padre amorevole e il pastore che raduna e custodisce il suo gregge» (Ger 31,10), padre e madre insieme.
La misericordia è dunque la bussola, anzi il metro della giustizia divina, il filo rosso che si dispiega lungo tutta l’economia della salvezza. Una piccola stella che brilla anche nell’animo di Alëša, come racconta Fëdor Dostoevskij in una delle pagine più belle dei Fratelli Karamazov. Il giovane novizio si raccoglie in preghiera durante la veglia funebre per il suo maestro, lo starec Zosima, ed ecco che si affollano i ricordi:
«Brandelli di pensieri gli balenavano nell’anima, si accendevano come piccole stelle, e subito si spengevano cedendo il posto ad altri; ma in compenso l’anima era dominata da una sensazione di pienezza, di sicurezza, di pace, ed egli ne aveva coscienza. Ogni tanto cominciava con fervore una preghiera, aveva un gran bisogno di ringraziare, di amare…». Tra queste piccole stelle, una in particolare si impone con evidenza, mentre Alëša ascolta il brano evangelico delle nozze di Cana davanti al feretro di Zosima: «“Chi ama gli uomini ama anche la loro gioia”… Lo starec lo ripeteva continuamente, era una delle sue idee fondamentali… “Senza gioia non si può vivere”, dice Mitja… Già, Mitja… “Tutto ciò che è vero e bello è sempre pieno di misericordia infinita” diceva anche questo…».
In poche righe, Dostoevskij ci offre qui un trattato di teologia, una sintesi della fede cristiana, secondo la quale bellezza e verità sono indissociabili dall’amore, dalla misericordia infinita e dalla gioia. Perché il Vangelo non è un galateo ante litteram, un compendio di morale o un codice di comportamento, è la buona, gioiosa novella della misericordia.
Altro che “buonismo” superficiale e alla moda. Da lettore di Dostoevskij, come ha confessato nell’intervista a «La Civiltà Cattolica», il Papa sembra far suoi i pensieri di Alëša, tanto da sottolineare in una riflessione sulle tre parabole della misericordia (la pecora smarrita, la moneta perduta e il “figliol prodigo”) la gioia stessa di Dio: «Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! È la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo!» (Angelus del 15 settembre 2013).
Nella predicazione di Francesco il legame tra la misericordia e la gioia è un leit motiv o, secondo un’altra metafora musicale, il basso continuo che accompagna l’annuncio del Vangelo. Come nell’omelia per la domenica delle Palme del 2013, quando il Papa rivolse l’appello a non lasciarsi rubare la speranza: «Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili». O come nella riflessione sul Vangelo del giorno, il 17 marzo del 2014 a Santa Marta, con l’invito ad allargare il cuore, perché «un cuore piccolo ed egoista è incapace di misericordia».
Ma già al momento della consacrazione episcopale, Jorge Mario Bergoglio aveva mostrato questa predilezione per il tema della misericordia, scegliendo il proprio motto dalla frase con la quale Beda il Venerabile (VII secolo), monaco e primo grande storico della nazione inglese, commenta il brano evangelico della vocazione di Matteo: «Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere» («Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”»).
Miserando atque eligendo. Tutto il programma del pontificato è già qui, in quel «miserando» che in italiano e in castigliano è difficile da tradurre e che il Papa ha proposto scherzosamente di rendere con il neologismo «misericordiando».