Polemiche dei laicisti che si improvvisano storici o teologi
A volte ritornano, direbbe Stephen King. Parliamo della schiera degli orgogliosi laici di Repubblica ossessionati dal cristianesimo. Pensiamo, ad esempio, alla coppia Augias-Flores D’arcais, autori di molteplici libri scandalistici intenti a convincere della falsità delle origini del cristianesimo, resuscitando le tesi degli oppositori pagani dei primi secoli.
In questi giorni è riemerso anche Eugenio Scalfari, un altro fanatico del laicismo che ha trascorso la sua vita a parlare di religione. In un articolo per l’Espresso ha elogiato l’ultimo libro dello scrittore e regista Emmanuel Carrère,Il Regno (Adelphi 2015), una rivisitazione romanzata delle origini del cristianesimo. Un altro non studioso, dunque, oltretutto distrutto dalla critica: Gesù viene paragonato a Che Guevara e sono talmente tante le sciocchezze scritte che perfino chi ha recensito il libro ha ammesso di aver «fatto un po’ fatica, a finirlo» (senza contare, tra un commento e l’altro sull’evangelista Giovanni, la descrizione dettagliata del suo video pornografico preferito). Luigi Walt, ricercatore a Ratisbona, ha sottolineato la «distanza di Carrère da un approccio realmente critico, e dunque storico, al problema delle origini cristiane». «Una specie di sufflé moscio e insipido»è stato definito da un altro recensore.
Tornando a Scalfari, osserviamo la sua calcolata insistenza a definire i Vangeli dei “romanzi” e, sopratutto, a sostenere che San Paolo«si autonominò apostolo e fu quello che dettò legge su tutti gli altri, a cominciare da Pietro, al quale secondo i Vangeli Cristo aveva affidato la Chiesa. Quella designazione fu da tutti rispettata, ciononostante la prima polemica di Paolo avvenne proprio con Pietro che guidava la comunità ebraico-cristiana di Gerusalemme», il quale concepiva la «comunità cristiana di Gerusalemme come una delle varie “letture” dell’ebraismo. Il cristianesimo era visto da Pietro come una delle varie sette, innestata come le altre sul robusto tronco della tradizione mosaica e del racconto biblico su Abramo e la sua discendenza. Fino a quando arrivò Paolo. La sua polemica con Pietro fu proprio su quel punto: secondo Paolo il cristianesimo era una religione del tutto diversa dall’ebraismo e doveva essere predicata e diffusa tra i “Gentili”, cioè i pagani, a Roma, in Egitto, in Grecia, nelle città greche della costa anatolica. Pietro accettò, uscì dall’ebraismo ed anche da Gerusalemme, fondò anche lui come Paolo comunità nel Medio Oriente e sulla costa africana; arrivò a Roma come Paolo e lì, come Paolo ma in anni diversi, fu giustiziato. Da allora il vero fondatore del Cristianesimo è stato considerato Paolo. E lo fu». La fiction di Scalfari finisce così.
Quella di Paolo come il vero fondatore del cristianesimo è una tesi vecchissima, con il preciso scopo di convincere che il cristianesimo è una religione nata “a tavolino”, del tutto aliena alla predicazione di Gesù (la sosteneva anche Nietzsche e perfino Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista di Hitler). Oggi è forse la convinzione più diffusa tra gli scettici appassionati del cristianesimo (nessuno studioso vero, ovviamente), tanto che perfinoBenedetto XVIne ha parlato: «L’importanza che Paolo conferisce alla Tradizione viva della Chiesa, che trasmette alle sue comunità, dimostraquanto sia errata la visione di chi attribuisce a Paolo l’invenzione del cristianesimo: prima di evangelizzare Gesù Cristo, il suo Signore, egli l’ha incontrato sulla strada di Damasco e lo ha frequentato nella Chiesa, osservandone la vita nei Dodici e in coloro che lo hanno seguito per le strade della Galilea».
Il prof.