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Migranti: onere o fattore di sviluppo?

Mercato a Roma – © Roamingwab-CC – it

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 05/06/15

Il Rapporto immigrazione 2014 di Caritas e Migrantes pone in luce il contributo dei lavoratori stranieri per la crescita del Belpaese

“Migranti attori di sviluppo”: è chiara già dal titolo la prospettiva del 24° Rapporto Immigrazione 2014 di Caritas italiana e Migrantes presentato a Milano nei giorni scorsi. Da una interpretazione emergenziale e negativa del fenomeno, lo sguardo si sposta sugli aspetti di crescita anche per l’Italia della presenza di quasi 5 milioni di persone – provenienti prevalentemente da Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina e Filippine – che stanno costruendo nel Belpaese un futuro per sé e le proprie famiglie. Oggi gli stranieri, di cui il 53,7% è costituito da donne, rappresentano l’8,1% della popolazione italiana totale. Il lavoro è al primo posto tra i motivi che determinano la venuta nel nostro Paese, seguito da famiglia e richiesta di asilo e protezione umanitaria (4,8%). Le regioni più “gettonate” dai cittadini stranieri sono Lombardia (22,9%), Lazio (12,5%), Emilia Romagna e Veneto. Aleteia ne ha parlato con Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana.

La Caritas – non da ora – prova a far passare un altro messaggio sulla realtà del fenomeno migratorio nel nostro Paese: è così?

Forti: Soprattutto negli ultimi cinque o sei anni l’opinione pubblica ha affrontato la questione dell’immigrazione solo con riferimento agli sbarchi a Lampedusa e alle tragedie nel Mediterraneo, dimenticando la realtà di 5 milioni di migranti economici che vivono più o meno stabilmente nel nostro Paese divenuto ormai multiculturale. Questa realtà che aspetta ormai risposte a livello di investimenti, casa, cittadinanza viene messa in ombra, anche per motivi politici, trascurando la risorsa che rappresenta per lo sviluppo territoriale oltre che per lo sviluppo umano dei soggetti coinvolti. Il Rapporto intende raccontare i circuiti virtuosi attivati oltre agli aspetti drammatici.

Quanto “pesa” il contributo degli immigrati nell’economia dell’Italia?

Forti: Oggi rappresenta l’8,8% del Pil: 2, 4 milioni di occupati stranieri producono 123 miliardi di euro. Tra l’altro, trattandosi di una popolazione in genere molto giovane, oggi questi lavoratori incidono meno degli italiani su settori delicati quali sanità e pensioni. Contrariamente a quanto viene detto, quindi, la bilancia pende più sul contributo dato all’economia dagli immigrati, che sull’onere che questi rappresenterebbero. L’occasione dell’Expo con l’accento sul tema dell’alimentazione e del cibo, ci ha permesso di evidenziare come alcune comunità siano particolarmente legate a questi settori – pensiamo ai ristoranti etnici o ai banchi nei mercati o ai piccoli negozi di frutta e verdura nei quartieri gestiti dagli immigrati – oltre che a quello delle costruzioni. Non va dimenticato, peraltro, in agricoltura, il grave fenomeno dello sfruttamento della manodopera immigrata: l’opinione pubblica deve essere consapevole di quale sia, spesso, il prezzo della pasta al pomodoro che consuma. Per questo dieci Caritas in Italia sono impegnate nel progetto “Presidio” per vigilare e aiutare gli immigrati impiegati a volte in forme para-schiavistiche affinché il lavoro, oltre che necessario per racimolare risorse da spedire a casa, sia anche un’occasione effettiva di futuro per loro.

Oltre la metà degli immigrati sono donne: in che modo questa presenza caratterizza l’immigrazione in Italia?

Forti: Si tratta di un aspetto storico dell’immigrazione. Le prime ad arrivare sono state le donne per i lavori domestici e di pulizia. Negli anni ’90 c’è stato l’arrivo di uomini dall’Africa del nord in cerca di occupazione, ma si è tornati a una nuova maggioranza femminile in seguito all’ingresso delle immigrate dell’Europa dell’est impegnate soprattutto nei lavori di cura. Oggi c’è sempre più bisogno di loro come badanti a fronte di una popolazione italiana che invecchia, ma ci sono contraccolpi evidenti nelle storie familiari di queste persone che vivono separate dai figli – spesso affidati ai nonni – e dai mariti, che a volte lavorano a loro volta in altri paesi. Oltre ad essere spesso inserite in un mercato del lavoro irregolare e a volte vittime di molti abusi.

C’è anche un contributo di carattere culturale del lavoro degli immigrati?

Forti: E’ difficile far circolare i talenti, perché il mercato del lavoro è sfavorevole anche per gli autoctoni di questi tempi. Il lavoro immigratorio – tranne alcune eccezioni – viene di solito impiegato in professioni non qualificate, con bassi salari e anche esposizione a rischi per la salute. Tuttavia questo quadro è destinato a cambiare, anche per mezzo di scelte diverse da quelle di altri Paesi che nelle politiche migratorie favoriscono l’ingresso di coloro che hanno curriculum di prestigio. Avverrà con il tempo, anche perché non si deve sottovalutare l’aspetto demografico. L’immigrazione sta disegnando le società, con un’integrazione spesso silenziosa: nel bene e nel male, perché gli aspetti problematici esistono e non vanno dimenticati. L’impegno della Caritas, attraverso molte iniziative, è proprio quello di sostenere la fiducia che deve caratterizzare ogni progetto migratorio. 

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