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Le nostre parole quotidiane

White letters isolated on white background © Andrea Crisante / Shutterstock – it

<a href="http://www.shutterstock.com/pic.mhtml?id=117895975&amp;src=id" target="_blank" />White letters isolated on white background</a> © Andrea Crisante / Shutterstock

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Felipe Aquino - pubblicato il 04/06/15

Creiamo una “Vetrina di parole gentili” per tutte le occasioni

Iniziamo questa meditazione con due frasi della Bibbia. Una è tratta dall'Antico Testamento, dal libro dei Proverbi: “Le labbra del giusto nutriscono molti” (Proverbi 10,21). L'altra, tratta dal Nuovo Testamento, è un consiglio di San Paolo ai colossesi: “Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno” (Colossesi 4,6).

Tutti i giorni pronunciamo parole, più o meno. Tutti i giorni comunichiamo, almeno un po', con gli altri. Cosa offrono loro le nostre conversazioni? Miele o fiele?

Stiamo meditando sul “rendere la vita amabile”. Pensiamo a cosa fare perché le nostre parole portino al prossimo più miele che fiele e corrispondano a ciò che dice il libro dei Proverbi: “Favo di miele sono le parole gentili, dolcezza per l'anima e refrigerio per il corpo” (Proverbi 16,24).

Vediamo vari tipi di “parole buone”, che trasmettono vita, aiuto e allegria agli altri.

Vetrina delle parole gentili

Parole di interesse
Le nostre parole mostrano sempre il cuore. Come diceva Gesù, la bocca parla di ciò che è pieno il cuore (Luca 6,45). Se valorizziamo gli altri, se – come cristiani che desiderano vivere d'amore – vogliamo bene agli altri, si noterà:

– nel modo di salutarli, non formale, né con un sorriso forzato, ma con sguardo e gesti affettuosi e pieni di interesse;

– in ciò che chiediamo loro, perché questo mostra che ci interessiamo a ciò che li riguarda: famiglia, lavoro, salute…;

– nel rispetto con cui ascoltiamo attentamente le loro opinioni, anche se sono diverse dalle nostre;

– nell'accompagnamento frequente di situazioni difficili e dolorose, manifestando interesse per la loro evoluzione e offrendo preghiere e aiuto.

Parole di affetto
Parole affettuose pronunciate senza esagerazione, con naturalezza sincera, senza gesti esagerati e con sostanza d'amore. Ricorderò sempre le lacrime di una donna che si è sentita spezzare il cuore il giorno in cui il marito, dopo molti anni, ha iniziato a salutarla in modo freddo, senza il diminutivo affettuoso che prima era abituale.

Convinciti che non c'è alcuna situazione piacevole o spiacevole nella quale non possiamo far sorgere dal buon tesoro del cuore (Luca 6,45) una parola affabile, confortatrice e costruttiva.

Parole di scusa
Può esserci affetto più autentico che chiedere perdono con una sincerità toccante? Nella vita, non solo l'educazione, ma il cuore dovrebbe spingerci a chiedere scusa – senza commedie né drammi – per ciascuno dei nostri errori, delle nostre dimenticanze e indelicatezze. “Scusa, mi sono dimenticato”, “Ho detto cose che non dovevo dire”, “Mi dispiace molto”, “Ho sbagliato”…

Parole di incoraggiamento
Quanto ci servono! Molte persone che si vogliono bene non capiscono quando un figlio, il marito o la moglie, un collega o un dipendente ha bisogno di una parola di incoraggiamento, di incentivo. Non di una frase fatta, ma di un vero stimolo che, se viene dal cuore, arriverà all'altro cuore.

Immagina come deve aver reagito la donna adultera, già sul punto di essere lapidata perché dicevano “Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa” (Giovanni 8,5), quando Gesù, dopo aver fatto andar via quelli che avevano le pietre in mano, le ha detto guardandola con fiducia: “Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più” (Giovanni 8, 11). Confido nel fatto che d'ora in poi vivrai onestamente!

E Zaccheo? Quel pubblicano poco onesto, disprezzato, che inaspettatamente vede Gesù che si rivolge a lui, vedendolo arrampicato su un sicomoro, una specie di fico, e gli dice (per lo scandalo dei farisei): “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Luca 19,5). Quella fiducia di Gesù ha fatto convertire Zaccheo e gli ha fatto cambiare vita.

Parole di gratitudine
La persona che riceve riconoscimento, gratitudine, diventa ben disposta, ed è più facile che in lei sbocci il desiderio di essere migliore. Non dobbiamo rincorrere il riconoscimento e la ricompensa quando compiamo il nostro dovere o facciamo il bene, come insegna Gesù (cfr. Matteo 6,1), ma l'amore ci deve portare a ringraziare per tutto il bene che riceviamo da Dio e dagli altri. Gesù si è rattristato quando ha capito che dei dieci lebbrosi che aveva curato solo uno era tornato per ringraziarlo (Luca 17, 17-18).

Parole degne
A volte sembra che il linguaggio, nei vari ambienti, si stia deteriorando rapidamente, non solo per la povertà grammaticale, ma soprattutto per l'ammissione massiccia della grossolanità.

Concordiamo tutti sul fatto che le parole attente e delicate – senza artificio né barocchismo – creano un clima gradevole e danno allegria al convivio. Quando le parole scivolano nella bassezza, si deteriora anche il trattamento reciproco, e il senso morale e la finezza della coscienza affondano.

Negazioni gentili
Ci sono persone che non sanno dire di no, e così complicano la propria vita e quella altrui, perché a volte è necessario dire di no. Oltre alla negazione energica davanti a chi offende Dio e macchia la coscienza, ci sono altre negazioni necessarie in relazione a cose buone in sé, ma che – tenendo conto del tempo e delle circostanze del momento – possono provocare un disordine, un abbandono del dovere o un pregiudizio ad altri.

È il caso, ad esempio, degli inviti o impegni – anche relativi a questioni positive o perfino religiose – che, se accettati, impedirebbero di compiere in modo adeguato doveri familiari o professionali importanti. È significativo un vecchio detto ispanico: “La donna che per la chiesa fa bruciare la pentola ha la metà d'angelo e l'altra metà del diavolo”. È chiaro che questo non può essere addotto come scusa per sfuggire da compiti apostolici o caritatevoli che, se avessimo più ordine e spirito di sacrificio, sarebbero perfettamente compatibili con gli altri doveri.

L'importante è saper dire di no in modo gentile. Ricordo il caso di quel sacerdote ottantenne, mio amico, che quando una persona andava a chiedergli la confessione nel momento esatto in cui si stava incamminando già con i paramenti verso l'altare per celebrare la Messa non rispondeva con asprezza. Sorrideva e diceva, in tono affettuoso: “Certo! Con piacere! Guarda, ora sto andando a celebrare la Messa, ma dopo, alla fine, la accoglierò con il massimo piacere in questo confessionale qui”.

Parole che portano Dio
Sono le più “gentili”, a patto che non si tratti di un sermone inopportuno. Saranno buone e amabili se sbocceranno da un affetto conosciuto e sentito per la persona che ascolta, se saranno pronunciate al momento giusto e non in modo non tempestivo e se corrisponderanno a un esempio personale accattivante. Allora sì che è immensamamente amabile cercare di risvegliare negli altri – in confidenza, da soli – la sete di Dio, il desiderio di conoscere la sua Parola, il proposito di pregare, di leggere un libro di formazione cristiano, di partecipare alla Santa Messa e a un gruppo di spiritualità, di cercare una guida spirituale…

Parole senza voce
Non mi sto riferendo a e-mail, WhatsApp o lettere, che alla fine sono parole con voce scritta. Mi riferisco a un altro tipo di linguaggio. Quante cose possono essere dette con l'espressione del volto, con uno sguardo, un sorriso, un gesto!

Tutte queste forme di comunicare, molto vive, sono coltelli a doppio taglio. Possiamo “dire” cose orribili (di odio, di disprezzo, di ripudio) o cose gentili (di amore, di pena, di serenità).

Vale la pena di pensare a una di queste forme di linguaggio senza parole che per gli stranieri è tipicamente brasiliana: il sorriso aperto. Chiedo a Dio che il nostro popolo non lo perda mai, anche se non mancano quanti vogliono promuovere – a livello ideologico o pratico – l'odio, la discordia e le lotte fratricide.

Ricordiamo sempre quello che diceva un santo dei nostri giorni, San Josemaría Escrivá: “Non dimenticare che a volte ci manca di avere accanto volti sorridenti”.

Che sguardo gentile, che sorriso, che gesto di bontà ricevono da te quelli che ti incontrano tutti i giorni?

(Estratto dal libro "Tornar a vida amável", di Francisco Faus)

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[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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gentilezza
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