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Il Concilio Vaticano I e la modernità

First Vatican Council – it

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 03/06/15

Regoli (Università Gregoriana): “Il Vaticano I deve essere compreso come risposta alla sfida culturale del tempo”

Un’assise aperta nel 1868 e interrotta dall’avanzata delle truppe italiane verso Roma e lo Stato pontificio: il Concilio Vaticano I ebbe il tempo per affermare il dogma dell’infallibilità del papa in materia di fede e di morale e il dogma della conoscenza di Dio con la sola ragione e poi interruppe i lavori, senza essere stato ufficialmente chiuso. La chiusura ufficiale arrivò solo un secolo dopo quando Giovanni XXIII annunciò la volontà di indire il Concilio Vaticano II e si decise che sarebbe stato un nuovo Concilio e non la prosecuzione del primo. In che modo questo breve concilio influenzò la storia successiva della Chiesa? Aleteia lo ha chiesto a don Roberto Regoli, docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea nella Facoltà di Storia e Beni culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana che ha promosso il Seminario internazionale  “Il Concilio Vaticano I e la modernità: storiografia e semantica”.

Oggi ci meravigliamo delle discussioni tra vescovi al Sinodo sulla famiglia, ma all’epoca, di fronte alla questione dell’infallibilità del papa, in molti andarono via “sbattendo la porta”: perché?  

Regoli: Si confrontavano posizioni molto diverse. Una sosteneva che l’infallibilità del pontefice riguardasse qualsiasi atto pontificio, ma alla fine, nella mediazione anche ardua tra maggioranze e minoranze, passò una nozione di infallibilità “moderata”. Ci sono due punti centrali della costituzione dogmatica Pastor Aeternus: uno relativo all’infallibilità dell’insegnamento papale ex cathedra in materia di fede e di morale e l’altro relativo al primato di giurisdizione del papa, ritenuto un primato ordinario, immediato ed episcopale: l’autorità che ha il papa su tutti i cattolici nella chiesa, vescovi compresi, in quanto vescovo di Roma e successore di Pietro, raggiunge tutti i singoli fedeli senza passare per altre mediazioni.

Siamo di fronte alla solita contrapposizione tra tradizionalisti e aperturisti?

Regoli: Anche rispetto ad allora non ha molto senso parlare di rigidità o di apertura. C’è un problema culturale: di fronte al nuovo mondo di stampo liberale, frutto della Rivoluzione francese, in cui si andavano costituendo Stati che si davano Costituzioni per la regolazione dei rapporti sociali e politici e che intraprendevano nuovi percorsi in nome di una scienza che assumeva un ruolo di primo piano, quale posizione era chiamata ad assumere la Chiesa? C’era una tendenza che voleva la Chiesa più vicina a un regime costituzionale, come quello dei Parlamenti nazionali, e un’altra che sosteneva più un approccio di natura gerarchica. Il Vaticano I adotta una linea chiara che doveva essere completata, ma subisce l’interruzione dovuta all’occupazione di Roma del 1870. Gli schemi già impostati di altre costituzioni conciliari oltre a quelle adottate – Pastor Aeternus e Dei Filius – non hanno mai visto la luce. Tutta la storia della Chiesa successiva al 1870 ha riguardato il portare a compimento ciò che si era detto in qualche maniera al Vaticano I e non attuato. Da qui arriveranno i cambiamenti legati al catechismo, che diventa universale, accogliendo quello di Pio X come modello per tutta la Chiesa e il varo del codice di diritto canonico che non esisteva, c’era solo una giurisdizione dispersa di norme plurisecolari. La Chiesa in questo imita lo Stato e si dà anch’essa un codice come aveva fatto a suo tempo Napoleone per i suoi domini, solo con un secolo di ritardo.

Il Vaticano I, tuttavia riprende la condanna della modernità contenuta nel Sillabo…

Regoli: E’ la Chiesa del Sillabo quella che arriva a celebrare il Vaticano I, ma bisogna guardare sia ciò che finisce nel Sillabo, sia ciò che viene tolto: nelle proposizioni da condannare, per esempio, ce n’era una relativa alle costituzioni dei regimi liberali di quel momento che fu eliminata poco prima della pubblicazione. La modernità – che tra l’altro ha varie declinazioni: politica, giuridica, filosofica – non è respinta in toto, ma anzi alcuni elementi vengono fatti propri nella sfida culturale del tempo. E qui si può tornare proprio al codice di diritto canonico con il quale si imita lo Stato con gli strumenti dello Stato per difendersi dallo Stato: un elemento molto moderno. Anche il voler essere anti-moderni in alcuni casi ha come contesto di riferimento la modernità stessa; il mio essere “anti” è moderno. Il professor Paolo Prodi ha dimostrato nei suoi studi come la Chiesa sia stata anche un modello per lo stato moderno. Si può quindi parlare di contaminazione, di osmosi, non sono mai due mondi separati: è chiaro che tutto questo si può cogliere solo in una prospettiva storica di lungo periodo. Il Vaticano I non può essere limitato alla sola questione ecclesiologica: la questione ecclesiologica è la risposta a una sfida culturale moderna.

Come ha influenzato il Concilio Vaticano I il cammino successivo della Chiesa?

Regoli: La costituzione Dei Filius sul rapporto tra religione e fede ha caratterizzato la riflessione teologica fino ai nostri giorni: basti pensare all’enciclica di Giovanni Paolo II, Ratio et fides, o al magistero di Benedetto XVI e all’accento sul rapporto tra fede e ragione come elementi di reciproca purificazione. Nella storia, tuttavia, la costituzione Pastor Aeternus è quella che è stata maggiormente recepita a livello di base. Il riferimento alla figura del papa è tipica del cattolicesimo: con una battuta si può dire che tanti cattolici conoscono il nome del papa, ma non quello del proprio vescovo. Questa impostazione ecclesiologica è rimasta in realtà anche dopo il Vaticano II nella prassi del popolo di Dio. Nel cattolicesimo contemporaneo la devozione al papa è un elemento caratterizzante.

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