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Perché è bene rispettare la Liturgia?

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Ignacio Centenera Crespo - pubblicato il 26/05/15

Ci sono sacerdoti che con un affanno (positivo) di attirare più gente a Messa spesso improvvisano durante le celebrazioni

Succede raramente, ma succede. Mi sono imbattuto a volte in sacerdoti che con l’affanno (positivo) di attirare più persone a Messa ricorrono spesso all’improvvisazione durante la celebrazione del Santo Sacrificio. Situazioni in cui il sacerdote scende a dare la pace ai fedeli o permette che chiunque possa aiutare a distribuire la Comunione, o addirittura varia leggermente le parole che Cristo stesso ha pronunciato nell’Ultima Cena creano tra i membri dell’assemblea un certo “shock”, perché non è quello che “ascoltiamo di solito”.

Non è mia intenzione negare il senso apostolico di questi atti, ma cosa dice la Chiesa al riguardo?

Sulla questione, la Chiesa si è già pronunciata. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha redatto l’istruzione apostolica Redemptionis Sacramentum, nella quale si descrive dettagliatamente come dev’essere celebrata la Messa per non “passare sotto silenzio gli abusi, anche della massima gravità, contro la natura della Liturgia e dei sacramenti, nonché contro la tradizione e l’autorità della Chiesa, che non di rado ai nostri giorni in diversi ambiti ecclesiali compromettono le celebrazioni liturgiche”, visto che la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, pur avendo portato innumerevoli vantaggi, non è esente da ombre che impediscono di agire con “testa e cuore”, trasformando gli abusi in costumi.

Ma qual è il motivo di questi abusi? Come dice l’istruzione, hanno origine in un falso concetto di libertà. Falso per un duplice motivo: non aiutano a intravedere ciò che è retto e giusto ed eliminano la grandiosità dell’Eucaristia. “Il dono dell’Eucaristia, tuttavia, è troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni”, ovvero l’Eucaristia è troppo grande perché chiunque possa permettersi di trattarla a proprio arbitrio personale, il che non rispetterebbe né il suo carattere sacro né la sua dimensione universale, e chi agisce contro questo, cedendo alle proprie ispirazioni, pur essendo sacerdote, attenta contro l’unità sostanziale del Rito romano.

È quindi una questione di ripercorrere situazioni comuni nelle quali ci imbattiamo celebrando la Santa Eucaristia. Mi concentro su due momenti molto comuni della Messa: il segno della pace e la distribuzione della Comunione.

1. Distribuzione della Comunione

Citando l’istruzione apostolica, si dice che spetta al sacerdote celebrante distribuire la Comunione, se è il caso accompagnato da altri sacerdoti o diaconi. Esistono tuttavia situazioni speciali o di urgente necessità nelle quali non c’è un altro sacerdote o un diacono che aiuti a distribuire la Comunione quando l’assemblea è tale che se la distribuisse un solo sacerdote si allungherebbe in modo eccessivo la durata della Messa. In questi casi si ricorre a quello che il Diritto Canonico stabilisce come Ministro straordinario, definito al canone 230.3 come il laico che, “ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di ministri”, può supplire in alcune delle funzioni del sacerdote, tra le quali spicca la distribuzione della Comunione. Per questo dovrà acquisire la formazione idonea allo svolgimento della sua funzione.

Per questo, attenendoci al Codice di Diritto Canonico osserviamo che questa figura del ministro straordinario non deve essere presa alla leggera, evitando che si verifichino abusi di diritto nell’applicazione della norma. Solo il sacerdote validamente ordinato è ministro capace di offrire il sacramento dell’Eucaristia, agendo in persona Christi, e solo il vescovo diocesano può delegare un altro fedele laico come ministro straordinario, sia per quel momento che per un tempo determinato. Questo atto, tuttavia, non ha necessariamente una forma liturgica, né si equipara in alcun modo al sacro Ordine. Solo in casi speciali e imprevisti il sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica può dare un permesso ad actum.

2. Segno della pace

La stessa istruzione apostolica dice che “conviene che ciascuno dia la pace soltanto a coloro che gli stanno più vicino, in modo sobrio. Il Sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualche motivo ragionevole, vuol dare la pace ad alcuni fedeli. (…) Per ciò che riguarda il modo di compiere lo stesso gesto di pace, esso è stabilito dalle Conferenze dei Vescovi […] secondo l’indole e le usanze dei popoli e confermato da parte della Sede Apostolica”. Seguendo il senso dato dalla Congregazione per il Culto Divino a la Disciplina dei Sacramenti, il sacerdote non deve (se non per cause ragionevoli) scendere a dare la pace ai fedeli. Il motivo è semplice: con quelle stesse mani, il sacerdote ha portato Cristo al momento della consacrazione, ovvero è stato colui che ha trasformato il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Non si deve trascurare il senso del sacrificio. Se il sacerdote crede fermamente di aver avuto Cristo tra le mani, deve avere la massima diligenza durante la celebrazione per tenere pulite le proprie mani. Per fare un esempio più semplice, se io per uscire con la mia fidanzata cerco di curare al massimo i dettagli, come andare ben vestito, mettermi l’acqua di colonia che le piace o cose simili, tanto più deve farlo il sacerdote nella celebrazione dell’Eucaristia, perché è in quell’“appuntamento” che deve porre tutto il cuore e i dettagli possibili.

Come si è detto, il segno di dare la pace resta riservato nella sua forma a quanto disposto da ogni vescovo, di modo che l’istruzione dà libertà a chi governa in ogni chiesa particolare, tenendo conto di alcuni principi di base.

Senza volermi dilungare troppo, restano solo da porre due domande. Se il papa, il Romano Pontefice, successore di Pietro, ha indicato queste linee di condotta, credo che seguirle non implichi altro che rafforzare il legame che unisce il sacerdote a Cristo e avvicinare il laico al momento dell’Eucaristia. Non è banale considerare che anteporre l’affanno di cercare Dio nella quotidianità non esime dal compiere una liturgia che non è stata indicata dall’uomo a suo libero arbitrio. Questo impulso apostolico deve essere equilibrato. In caso contrario, cadremmo nell’errore di giustificare il mezzo con il fine e si darebbe un’immagine che non ha nulla a che vedere con quello che è la Chiesa. È, come dicevo in precedenza, una falsa libertà.

Quando si commette un abuso nella celebrazione della Sacra Liturgia, quindi, si compie davvero una falsificazione della liturgia cattolica. Ha scritto San Tommaso: “incorre nel vizio di falsificazione chi per conto della Chiesa manifesta a Dio un culto contro la modalità istituita per autorità divina dalla Chiesa e consueta in essa”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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