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Il Miracolo dei genitori di santa Teresa di Lisieux

Martin couple

© Family Martin

Punto Famiglia - pubblicato il 26/05/15

Il libro di Mariarosaria Petti sulla guarigione del piccolo Pietro Schilirò
Un santo (riconosciuto dalla Chiesa come tale) in famiglia è già un segno straordinario, ma quando un santo è figlio di genitori santi, l'accadimento ha i connotati del prodigio. E' il caso del papà e della mamma di Santa Teresa del Bambino Gesù – i coniugi Louis Martin e Zélie Guérin – che saranno presto canonizzati. Nel marzo scorso, la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il relativo decreto, su autorizzazione di papa Francesco, dopo il riconoscimento come autentico di un miracolo attribuito all'intercessione dei Beati coniugi. Non meraviglia che con il primo miracolo (necessario alla beatificazione) i due santi sposi, genitori di nove figli di cui quattro deceduti in tenera età, siano “intervenuti” impetrando la guarigione di un neonato, come racconta il delicato libro “Diario di un prodigio. La guarigione del piccolo Pietro, il miracolo di Luigi e Zelia Martin” (Edizioni Punto Famiglia, 2015) di Mariarosaria Petti. Il volume, di cui proponiamo un estratto, ricostruisce il periodo che dalla nascita dell’ultimo figlio di Adele e Valter Schilirò ha portato alla sua guarigione.
* * *

Appesi ad un filo
Dopo qualche ora dal parto (n.d.r. il 25 maggio 2002) la comunicazione di un’infermiera dell’Ospedale San Gerardo dei Tintori di Monza (Milano) informa Adele e suo marito Valter che il neonato ha una grave insufficienza respiratoria. Probabilmente, ha inalato del meconio, un liquido intestinale, e deve essere sottoposto alle cure necessarie. In questo minuscolo spazio di tempo, intercorso tra la nascita e il trasferimento al reparto di terapia intensiva neonatale, inizia la partita di Pietro, quinto arrivato della famiglia Schilirò (…).

Il battesimo
Il 3 giugno arriva una telefonata a padre Antonio Sangalli, guida spirituale dei coniugi Schilirò. I medici hanno dichiarato il piccolo in pericolo di vita. Padre Sangalli è sorpreso, stenta a crederlo. Non c’è un minuto da perdere, il rito del battesimo è fissato per la sera stessa, alle ore 20:00.

Il 4 giugno viene effettuata la biopsia sui piccoli polmoni di Pietro. Il risultato dell’esame istologico non tarda ad arrivare: “malformazione congenita maturativa del polmone”. Una diagnosi infausta che non lascia posto ad alcuna speranza. Tutto sembra giunto al termine.

Chiedere l’impossibile
Qualche ora prima della celebrazione del battesimo, padre Antonio aveva consegnato ad Adele e Valter un’immaginetta dei coniugi Martin, i genitori di Santa Teresa di Lisieux. Il religioso aveva posto nelle mani dei genitori di Pietro l’esperienza degli allora Venerabili Zelia e Luigi. Lungo il tragitto di ritorno verso il Carmelo, la guida spirituale degli Schilirò invita la famiglia a iniziare subito la novena ai Martin. I coniugi di Monza accolgono l’invito. Al rientro a casa la Fraternità ecclesiale di cui fanno parte, Comunione e Liberazione, attende tutti loro per la recita del Santo Rosario. Quella notte il loro sguardo sulla vicenda che li ha colpiti cambia. Il giorno seguente al primario che li riceve diranno: «Noi poniamo la nostra speranza nel Signore e osiamo chiedere il miracolo. Vi chiediamo di sostenere, con la vostra professionalità, i macchinari e la tecnologia la condizione di Pietro, perché ci sia un tempo ragionevole in cui il Signore ci faccia comprendere cosa abbia deciso. Noi chiediamo il miracolo per intercessione di Zelia e Luigi Martin».

E così nella fede e nella preghiera s’instaura un dialogo profondo tra due coppie di coniugi lontane nel tempo ma vicino nello spirito.

La macchina della speranza
Il conforto che i coniugi Schilirò ricevono li ammanta e mette in moto una “macchina della speranza”: le persone che incontrano, i conoscenti, tutti vengono spronati a recitare la novena per i Martin. Un vero e proprio popolo in cammino.

La cosa giusta per Pietro
Un giorno una dottoressa continuava a passare davanti alla culla di Pietro. Dalle sue movenze era chiaro che in lei ci fosse confusione. Una divisione interna tra l’umanità di chi non registrando nessuna ripresa non sa come agire e la professionalità di chi – affidandosi alla scienza – propende per la sospensione degli interventi di salvataggio della vita di Pietro.

Alla perplessità della specialista si impone la fiducia di Valter: «Stia serena, qualunque cosa decida di fare sarà la cosa giusta per Pietro». Non è la risposta che immaginava, ma è lo sprone a seguire la luce della speranza. La dottoressa interviene immediatamente per l’ennesimo drenaggio al polmone del neonato. Ancora una volta la mano della scienza segue sentieri inediti.

È un miracolo!
Nel frattempo è trascorso circa un mese dalla nascita di Pietro. È il 26 giugno e il bambino ha delle forti crisi respiratorie, che si protraggono per il giorno successivo. Il primario dell’ospedale, il dottore Paolo Tagliabue, convoca Adele e Valter. Il colloquio ha il sapore dell’epilogo. I polmoni di Pietro resistono più ai macchinari, bisogna prepararsi alla sua morte. Adele chiama tutti i conoscenti a raccolta: è necessario intensificare la preghiera. Nessun cedimento alla speranza. Il 28 giugno il quadro clinico resta grave, seppure stazionario.

Con tre giorni simili alle spalle, il timore blocca ogni passo che conduce gli Schilirò all’ospedale. Le ore di agonia di Pietro raggelano pian piano le loro flebili attese. Ormai era necessario aspirare continuamente dai polmoni del neonato: un’operazione difficile e molto dolorosa. Il 29 giugno, giorno del primo onomastico di Pietro, Adele e Valter varcano la soglia della terapia intensiva: è sabato e sono insieme per fronteggiare il peggio. Sul volto la tensione. «Perché fate quella faccia?». L’infermiera continua: «Per me oggi è già successo un miracolo!».

L’ossigeno era stato ridotto dal 100% al 70%: Pietro iniziava a dare i primi segni di voler respirare da solo. Lo shock è grande. L’emozione immensa. Tre giorni dopo Pietro viene estubato, comincia a respirare autonomamente: i suoi polmoni funzionano.

Dopo un mese, il 27 luglio, Pietro torna a casa, tra lo stupore di tutti.

Chiamati alla santità
«Quando sono nato avevo una brutta malattia e i miei genitori hanno domandato a Luigi e Zelia, che sono andati da Gesù e gli hanno chiesto: “Guarisci Pietro?”. E io sono guarito». È così che Pietro racconta il miracolo che ha ricevuto dal Signore, per intercessione dei coniugi Martin.

Dopo 33 giorni di permanenza in ospedale, Pietro, il 27 luglio 2002, è dimesso.

Il 10 giugno il cardinale Tettamanzi, allora arcivescovo della Diocesi di Milano, chiude la fase diocesana del processo sul miracolo. Hanno assistito il sacerdote postulatore carmelitano della causa dei Martin; Simeone della Sacra Famiglia; mons. Angelo Amadeo, istruttore del processo; mons. Guy Gaucher, vescovo ausiliare di Bayeux e Lisieux; la famiglia Schilirò, con Pietro e un centinaio di persone.

Il cardinale informava la Congregazione per le Cause dei Santi e il 7 luglio 2003 Papa Giovanni Paolo II veniva a conoscenza dei fatti. Il processo è così consegnato a Roma: ci vorranno 5 anni di ulteriori indagini della Congregazione per la Causa dei Santi per appurare la veridicità delle testimonianze raccolte.

Per diventare beati non era sufficiente dimostrare di aver invocato singolarmente Luigi o Zelia, ricevendo dall’uno o dall’altra il miracolo. L’elemento che si andava ricercando era l’invocazione di entrambi, in quanto coppia. Insieme, come sposi, hanno interceduto per Pietro.

Il riconoscimento del miracolo apre le porte alla beatificazione, che avverrà il 19 ottobre 2008 a Lisieux.

http://www.famigliamartin.com/

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