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Cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico?

Vito Mancuso firma libro

© Flickr/Daniele Devoti/Creative Commons

Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 26/05/15

In realtà quel che principalmente gli manca è proprio la fede cattolica

Se ponessimo la domanda: “Che cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico”, molti risponderebbero ricordando il rifiuto dei principali teologi – come abbiamo mostrato– a considerarlo tale (compresi i suoi formatori). Altri ricorderebbero il suo credo gnostico e panteista: proprio recentemente ha sostenuto che «occorre approdare alla convinzione che la Terra sia un unico organismo vivente chiamato Gaia». Altri ancora si soffermerebbero sul suo ateismo filosofico dato che l’editorialista di Repubblica sostiene che i miracoli, compresi quelli evangelici, non sono opera di Dio ma «sorgono dal basso, dall’energia della mente umana».

In realtà quel che principalmente manca a Mancuso è proprio la fede cattolica, non aderendo a nessun fondamento del cattolicesimo (dal peccato originale al principio di autorità della Chiesa e della lettera biblica, fino alla negazione di «circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica» come ha scrittoLa Civiltà Cattolica). In secondo luogo manca a Mancuso la capacità di essere teologo, come ha scritto il teologo e filosofo Antonio Livi«è teologo nel senso che insegna Teologia ma l’effettivo contenuto e l’impianto metodologico» del suo pensiero «sono in netta contraddizione con l’idea stessa di teologia».

Un esempio è il suo ultimo articolo/relazione intitolato “Cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità” nel quale ha tentato di confutare gli argomenti delle religioni contrari ai comportamenti omosessuali. Un tentativo non riuscito, nel quale in realtà si è continuamente confuso tra persone omosessuali, inclinazione omosessuale e comportamento omosessuale. Prendiamo in considerazione la sua obiezione alla posizione della Chiesa cattolica: «In ambito cristiano gli argomenti contro l’amore omosessuale sono due: la Bibbia e la natura. Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l’omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10. L’argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare».

L’obiezione del teologo di Carate Brianza è molto debole: mentre i padri della Chiesa (partendo già dall’apostolo San Paolo) non hanno dato applicazione letterale alle immagini violente della Bibbia, mentre hanno progressivamente abbandonato un giudizio negativo sulla donna frutto della mentalità dell’antichità (extracristiana), non hanno invece mai attenuato la forte condanna dell’Antico Testamento verso i comportamenti omosessuali. C’è dunque un giudizio negativo continuo ed ininterrotto nella storia della Chiesa sull’omosessualità e non sarà certo il teologo di Repubblica ad interromperlo. Tanto meno va preso sul serio quando si erge a giudice universale su ciò che andrebbe superato o meno degli scritti biblici. Per quanto riguarda invece l’obiezione rispetto alla non menzione di Gesù, invece, ricordiamo che il Messia non parlò mai nemmeno contro poligamia e incesto, non condannò mai la schiavitù, la massoneria o l’uccisione deliberata degli animali ecc. Questo ovviamente non comporta che i cattolici debbano mettere in pratica questi comportamenti.

Passando al secondo argomento contro cui cerca di opporsi, ha affermato: «c’è un imprescindibile dato naturale che si impone alla coscienza al punto da diventare legge, legge naturale, il quale mostra che il maschio cerca la femmina e la femmina cerca il maschio, sicché ogni altra ricerca di affettività è da considerarsi innaturale. Personalmente non ho dubbi sul fatto che la relazione fisiologicamente corretta sia la complementarità dei sessi maschile e femminile, vi è l’attestazione della natura al riguardo, tutti noi siamo venuti al mondo così. Neppure vi sono dubbi però che anche il fenomeno omosessualità in natura si dà e si è sempre dato. Occorre quindi tenere insieme i due dati: una fisiologia di fondo e una variante rispetto a essa. Come definire tale variante? Le interpretazioni tradizionali di malattia o peccato non sono più convincenti: l’omosessualità non è una malattia da cui si possa guarire, né è un peccato a cui si accondiscende deliberatamente. Come interpretare allora tale variante: è un handicap, una ricchezza, o semplicemente un’altra versione della normalità? Questo lo deve stabilire per se stesso ogni omosessuale. Quanto io posso affermare è che questo stato si impone al soggetto, non è oggetto di scelta, e quindi si tratta di un fenomeno naturale. E con ciò anche l’argomento contro l’amore omosessuale basato sulla natura viene a cadere».

Ecco la confusione di Mancuso: è partito parlando di “ricerca dell’affettività”, dunque di comportamento omosessuale, ed è finito parlando di omosessualità come inclinazione che non è frutto di una scelta. Ha mischiato i piani probabilmente non conoscendo nemmeno la posizione della Chiesa: è vero che l’omosessualità è un’inclinazione della persona ma non è affatto ritenuta un peccato dalla Chiesa. Il problema sono invece i comportamenti omosessuali, quelli sì frutto di una scelta, e sono essi ad essere ritenuti un disordine affettivo dalla Chiesa, un’esplicita contraddizione tra l’orientamento fisiologico/anatomico della propria corporeità e la propria psicologia. Un peccato, cioè un inciampo al bene dell’uomo, vivere con questa dicotomia interna è un ostacolo alla propria realizzazione. Banale anche l’argomentazione del sedicente teologo sul fatto che l’omosessualità è presente in natura e dunque sarebbe una variante naturale dell’ordinario: in natura esistono anche un’infinità di inclinazioni dannose, disturbi e perversioni (anche sessuali) e non certo per il fatto che esistano debbono essere ritenute varianti naturali e/o equivalenti dell’ordinario.

La conclusione di Mancuso è la «piena integrazione sociale di ogni essere umano a prescindere dagli orientamenti sessuali. Accettare una persona significa accettarla anche nel suo orientamento omosessuale. Non si può dire, come fa la dottrina cattolica attuale, di voler accettare le persone ma non il loro orientamento affettivo e sessuale, perché una persona è anche la sua affettività e la sua sessualità». Ancora una volta Mancuso si confonde: la Chiesa accoglie qualunque persona con orientamento omosessuale, che compia atti omosessuali o meno. Il comportamento omosessuale, tuttavia, lo considera un peccato e invita il soggetto all’astinenza per un cammino ordinato con la sua vera identità, proposta accolta da tanti omosessuali che infatti hanno scoperto così la loro felicità (si veda, ad esempio, la testimonianza di Philippe Ariño).

Nessuna confutazione dunque, anche perché la posizione cristiana è il rispetto della volontà Dio nel crearci maschi e femmine e di donare all’uomo la compagnia della donna, e alla donna la compagnia dell’uomo perché fossero una cosa sola nel cammino della vita. Come ha spiegatoPapa Francesco,«la Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità». In ogni caso non ci aspettavamo poi molto da Vito Mancuso. Se un teologo è colui che è capace di «mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione», secondo la definizione data recentemente da Benedetto XVI, allora hanno ragione tutti coloro che rifiutano di riconoscerlo come tale.

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