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Irlanda? Una crisi causata dal clericalismo

Dublin Pride Parade 2013 – it

Daniel Dudek-Corrigan-cc

Aleteia - pubblicato il 25/05/15

Per capire meglio cosa sta accadendo ai paesi a maggioranza cattolica dopo la caduta del Muro di Berlino

All'indomani del referendum irlandese circa i matrimoni gay proponiamo una riflessione del professor Massimo Borghesi, ordinario di filosofia morale all'università di Perugia, tratta dal suo volume "Critica della Teologia politica" (edito da Marietti nel 2013), decisamente attuale. 

"L’89 ha segnato il tramonto di quella identificazione tra religione e nazione che trovava il suo punto di forza nell’opposizione al totalitarismo comunista. Il caso della Polonia è certamente emblematico. Assurta a valore di modello negli anni di Solidarnosc la Polonia cattolica, posta sotto l’insegna della Madonna di Czestochowa, pareva rivivere il sogno messianico di Adam Mickiewicz. Raccolta sotto il mantello ecclesiale la società polacca ritrovava una sua unità, di credenti e non credenti, nella comune opposizione al potere comunista. Tutto questo doveva però declinare con la disgregazione di quel potere. La Polonia, dagli anni ’90 in avanti, si è avviata verso un processo sociale e di costume del tutto analogo a quello degli altri Paesi europei. Il consenso accordato in precedenza alla Chiesa, dovuto al fatto che era l’unica autorità morale in grado di opporsi al regime, è venuto meno nel nuovo quadro democratico-liberale. Il modello nazional-religioso della fede va in crisi trovando, in ciò, la Chiesa largamente impreparata. Come ha osservato il filosofo Karol Tarnowski la difficoltà presente della Chiesa polacca risiede nella «paura della libertà», nella «pigrizia mentale», nell’incapacità di superare la posizione di rendita che le derivava dall’occupare lo spazio dell’opposizione .

Il clericalismo, favorito dall’indebita identificazione tra Chiesa e nazione, determina, nel contesto nuovo, un processo di autochiusura, una incapacità di dialogo e di incontro documentata dal fatto che la gran parte del mondo giovanile risulta non sensibile, o addirittura avversa, ai richiami ecclesiali. Il risultato è che il cattolicesimo tradizionale diviene sempre più una mondo a parte, sequestrato, in qualche modo, dai richiami nostalgici e autoritari di Radio Maryja. Il modello nazional-religioso dimostra il suo limite, la sua incapacità a confrontarsi con un orizzonte aperto e pluralista di società favorito dal moto di globalizzazione.

Nell’Europa del post-’89 un caso analogo a quello della Polonia è stato quello dell’Irlanda «cattolica». Anche in questo caso una nazione fortemente connotata in senso identitario-religioso, per la sua tradizionale lotta di indipendenza contro l’Inghilterra protestante, ha assistito, nel corso degli ultimi anni, ad una crisi ecclesiale senza precedenti. Un Chiesa che aveva consegnato la sua appartenenza all’identità irlandese e ad un messaggio incentrato soprattutto sulla dottrina morale si è trovata allo scoperto sia per gli scandali che hanno investito il clero, sia per il venir meno della polemica antiprotestante privata del suo terreno dagli accordi tra cattolici e protestanti, nell’Irlanda del Nord, favoriti dal presidente americano Clinton e dal governo inglese di Tony Blair. Il risultato è l’abbandono della Chiesa e la crisi della fede nelle giovani generazioni.

Il caso polacco così come quello irlandese documentano, pertanto, la crisi dei modelli nazional-religiosi, eredità, in qualche modo, del romanticismo dell’800" (pagine 278-279).

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