"Gli racconterei dell'esperienza di solitudine, dell’isolamento ma anche della tenacia"
Se incontrassi Papa Francesco, sia pure per pochissimo tempo, gli direi: “Grazie, Santo Padre”. Sin dall’inizio del pontificato non ha mai fatto mancare parole di incoraggiamento, sostegno spirituale e indicazioni per operare bene a favore e a tutela dell’infanzia contro ogni forma di schiavitù. Gli consegnerei un libro con la raccolta dei “saluti speciali” che lui, Benedetto XVI, e centinaia di Vescovi (italiani e di altri Paesi) hanno costantemente inviato per la Giornata Bambini Vittime della violenza, dello sfruttamento, della indifferenza contro la pedofilia che organizziamo ormai da oltre 20 anni.
In quel breve incontro in mezzo alla folla gli direi: “sono con una piccola delegazione di Meter, tra cui ci sono delle vittime di abusi (anche un bambino in rappresentanza dei 1.300 che negli ultimi dieci anni abbiamo aiutato, accolto, accompagnato in un percorso di guarigione e di vita). Se me lo permettesse Papa Francesco, lo prenderei per mano e lo porterei da loro. Per una carezza, per una lacrima da versare insieme. Segno di partecipazione per centinaia di migliaia di piccoli; i nuovi schiavi degli abomini disumani”.
Al Papa consegnerei un cappellino e una maglietta di colore giallo. E lo abbraccerei, dicendogli che preghiamo per lui, lo sosteniamo e gli vogliamo bene. Che è il “buon e bel pastore” che ci ammonisce affinché i bambini siano accolti, amati, accuditi, sostenuti, difesi. E con lui ribadiamo una profonda e triste verità: La pedofilia, la pedopornografia, gli abusi sono un problema grave. Un abominio che tradisce Dio. Dove nessuna categoria sociale è esclusa. Per noi – cattolici e cristiani – più grave se è compiuta da un vescovo, un sacerdote, un religioso, un catechista e operatore pastorale. Come è grave se compiuta da un genitore, un tutore, un parente prossimo; da chi riveste ruoli pubblici e privati con responsabilità dirette sui minori.
E se avessi ancora tempo gli racconterei la storia di un prete di periferia del sud, che accogliendo il dolore e la sofferenza dei bambini nel lontano 1989, quando per la prima volta Internet si affacciava per il suo straordinario potenziale comunicativo e di libertà, vide, si immerse nel dolore della tragedia degli abusi sessuali consumati, fotografati e ostentati come trofei di conquista della perversione criminale di un umano impazzito. Gli racconterei anche delle “periferie digitali”, delle “favelas tecnologiche” dove sono presenti le nuove forme di schiavitù.