Pregare è informare Dio dei nostri bisogni?
Ma se Dio è onnisciente, e conosce il percorso terreno di ogni uomo, che senso ha la preghiera?
Antonio Galati
Risponde padre Alessandro Clemenzia, Dottore in teologia sistematica
Pregare non è informare Dio dei nostri bisogni, ma un volgersi verso di Lui.
C'è un evento, descritto nel Vangelo di Matteo, in cui la pre-onni-scienza di Dio e la preghiera si incontrano, senza tuttavia far emergere quell'apparente contraddizione in cui ci si imbatte nell'affrontare una tale tematica. L'episodio è quello del Maestro che insegna ai Suoi in che modo pregare. Gesù antepone alla formulazione della preghiera la pre-onni-scienza del Padre: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8). Il «sapere di quali cose» e il «prima ancora» è espressione rispettivamente dell'onniscienza e della prescienza divine, che sono due modalità di intendere, proporzionate (fino alla coincidenza) all'essere stesso di Dio.
Eppure, proprio a partire da questa premessa, Gesù insegna a pregare: «Voi dunque pregate così: Padre nostro» (Mt 6,9). Dalla prima parola, Padre, «Abbà», emerge cosa sia la preghiera: più che un chiedere un qualcosa che da soli non si riesce a ottenere, è una dinamica comunicativa verso Qualcuno che mi sta di fronte, che insieme si fa mio interlocutore e, a sua volta, mi fa suo interlocutore.
In questo dialogo, l'esclamazione «Padre» indica un parlare da figli come il Figlio; anzi, dal momento che solo Gesù può rivolgersi a Dio con un tale appellativo, è un'esclamazione che può essere espressa solo da figli «nel Figlio»; così come unicamente «nello Spirito» si può riconoscere Dio come Padre; forse sarebbe teologicamente più opportuno affermare che è lo stesso Spirito a pronunciare nell'io orante «Abbà».
Ma di quale dinamica si parla a proposito della preghiera se non «del rimanere nell'intimo di Dio, del partecipare alla sua stessa vita» (Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, n.8)? In questo ambiente dialogico, l'essere stesso del credente di fronte al Padre viene superato da un movimento in profondità in cui l'orante viene trans-ferito e in-serito in Dio, come in una dimora; ciò avviene attraverso l'andamento in cui l'uomo si perde e si ritrova in Dio, e che ha nella Trinità il suo ritmo originario: il Padre si perde e si ritrova totalmente nel Figlio, il Figlio nel Padre, e lo Spirito è lo stesso trascendimento in Persona.