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Apologia del galateo liturgico perduto

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Jeffrey Bruno 2013

Liturgia "Culmen et Fons" - pubblicato il 22/05/15

Perché andare a Messa non è come andare al cinema!

di don Riccardo Pane, cerimoniere arcivescovile di Bologna

Sulla sigla dei film e i fedeli ritardatari
Nella parrocchia ideale di una diocesi ideale di un mondo ideale che esiste solo nei sogni dei parroci, i fedeli arrivano in chiesa almeno 10’ minuti prima dell’inizio della santa Messa, si inginocchiano devotamente in silenziosa adorazione, preparandosi in questo modo alla celebrazione. Ma nella parrocchia reale di una diocesi reale di questo realissimo mondo contemporaneo i fedeli arrivano trafelati e ansimanti allo scoccar della campana, quando va bene… perché molti tendono ad arrivare sistematicamente in ritardo, durante la proclamazione delle letture o – già che ci siamo – dopo l’omelia. Come si spiegano questi ritardi? Con l’equazione chiesa = cinema. Diciamo la verità: chi di noi ha mai provato qualche interesse per la sigla di un film o per i titoli di coda? Alle volte si ha l’impressione che la Parola di Dio sia percepita un po’ come la sigla di un film: una rassegna monotona e inutile di tutti i protagonisti e di coloro che hanno preso parte alla realizzazione dello spettacolo, dal costumista al tecnico di regia. Bisogna nominarli, per correttezza, ma quello che conta arriva dopo… E come se non bastasse, il ritardatario passa gran parte del tempo delle letture a guardarsi attorno per scegliere il posto ideale, quasi dovesse trascorrervi il resto della sua esistenza: non troppo vicino all’altare per non passare per bigotto, sufficientemente vicino all’uscita per accelerare le operazioni di sbarco come in aereo, possibilmente vicino a qualche amico, per non correre il rischio di dover scambiare la pace con uno sconosciuto o, peggio, per rompere la monotonia della celebrazione con qualche commento. Il grado di attenzione aumenta sensibilmente al momento del vangelo, ma per la lettura dell’antico testamento e per l’epistola gli ascolti crollano a picco. Per fortuna nessuno ha ancora pensato a legare le letture della Parola di Dio allo share, altrimenti saremmo costretti a tagliare le prime due letture.

Signor Rossi … “presente!”
Prima dell’inizio della Messa dovremmo introdurre l’appello nominale dei fedeli, come a scuola, ma per un motivo completamente diverso, non disciplinare e burocratico, ma teologico. Molte delle persone che arrivano sistematicamente in ritardo, o che fanno turismo religioso, cambiando sempre Messa, rivelano un’idea del tutto distorta della liturgia eucaristica: che io ci sia o che non ci sia, la Messa inizia lo stesso, e nessuno se ne accorge; come del resto uno spettacolo teatrale inizia anche se manca qualcuno di coloro che hanno comprato il biglietto. Dal punto di vista della realtà visibile, questo avviene anche per la Messa: il parroco non aspetta certo me; ma dal punto di vista teologico, se guardiamo al mistero che sta sotto, le cose sono molto diverse. Io non sono un individuo anonimo e sconosciuto che si presenta a un appuntamento nel quale rimarrà isolato nella sua anonima individualità, ma sono membro di un corpo ecclesiale che si ricompone nella celebrazione Eucaristica e in essa si edifica: che io ci sia, o non ci sia, cambia tutto! Senza di me il corpo ecclesiale inizia la celebrazione monco, perché l’Eucaristia è per eccellenza il sacramento di comunione, il sacramento del Corpo di Cristo: nutrendoci del Corpo di Cristo siamo edificati e riedificati nella comunione del Corpo mistico di Cristo. Questo è anche il motivo per il quale una grave frattura sul piano orizzontale della comunione ecclesiale rende la mia comunione eucaristica un atto profondamente contraddittorio. Dovremmo allora cercare di superare la nostra concezione individualistica della liturgia e metterci in testa che arrivare puntuale e partecipare alla Messa nella mia comunità parrocchiale o di riferimento, e non dove capita, non è un atto di cortesia e di galateo clericale, ma è costitutivo all’interno della verità stessa di quello che celebro.

Corridoio o finestrino?
Avete mai provato a osservare la gente che entra in chiesa? La scelta dei posti è uno spettacolo sempre molto istruttivo. I giovani e gli adolescenti si mettono assieme tutti da una parte: guai sedersi vicino a un anziano o mischiarsi con gli altri; piuttosto stanno in piedi. Alcuni anziani hanno il posto fisso, e se qualche malcapitato pellegrino ha avuto la ventura di sedersi al loro posto, viene squadrato in modo torvo. Molti stanno in piedi, a braccia conserte, nei pressi della porta, anche se c’è posto nelle panche, quasi in prestito, quasi a voler dire: “non pensate mica che io sia venuto a Messa: sono qui solo di passaggio!”. Le panche, poi, si riempiono inesorabilmente a partire dal fondo, e rimangono vuote quelle vicino all’altare, come a scuola. A scuola, tuttavia, la cosa ha una sua logica: in fondo è più facile leggere i fumetti sotto banco e sfuggire alle interrogazioni. In chiesa questo comportamento ha dell’irrazionale, dal momento che difficilmente il prete interroga i fedeli, e – per grazia di Dio – non mi è ancora capitato nessun fedele che legga i fumetti durante la Messa. Questo stile apparentemente irrazionale rivela, al contrario, non solo dei fattori psicologici e sociologici (come, ad esempio, la difficoltà delle nuove generazioni a integrarsi e convivere con gli adulti, e l’abitudinarietà degli anziani), ma soprattutto dei fraintendimenti teologici: si fatica a percepire la dimensione fortemente “corporativa” e solidale della liturgia eucaristica, cioè il fatto che nella Messa non agiamo come una somma di individui impermeabili l’uno all’altro, o come spettatori di un rito che non ci appartiene e non ci coinvolge, ma esprimiamo, e siamo costituiti come un unico corpo, unito al suo Capo, che presenta al Padre, per mezzo del Figlio, nell’unità costituita dallo Spirito Santo, l’unico ed eterno sacrificio. Stare sulla porta, cercare il conforto di un gruppo sociologicamente caratterizzato, sono i segni di uno scollamento fra ciò che la liturgia esprime e realizza in sé, e ciò che molti fedeli percepiscono di essa.

La messa è finita potete fare confusione
Non compare fra le formule di congedo del diacono, ma sembra rispecchiare molto bene quello che sento in giro. Qualche tempo fa mi sono recato in una chiesa della bassa padana per provare con i ministranti una celebrazione importante. Era un pomeriggio feriale, la chiesa era vuota, i ministranti non meno di venti, di età compresa fra i 10 e i 20 anni. Ebbene, entrando in quella chiesa sono rimasto colpito, quasi shoccato. Il lettore sarà curioso di sapere quale abominio avessero visto i miei occhi o udito le mie orecchie. È presto detto: tutti parlavano sotto voce, limitando le parole allo stretto necessario per svolgere le loro prove. Ripeto: la chiesa era vuota e non vi era il rischio di turbare la preghiera di nessuno. Forse per il lettore tutto ciò sarà normale: per me fu una rivelazione. Non mi era mai capitato in nessuna altra chiesa, soprattutto da parte di bambini e adolescenti. Se quei ragazzi parlavano sottovoce (e il parlare era giustificato dalle prove) senza che nessuno li richiamasse a questo, il motivo era chiaro: essi erano stati educati al senso del sacro. Fatto tanto mirabile quanto inusitato. Quando va bene, infatti, c’è silenzio durante la celebrazione: prima e dopo è come un festival. Fa piacere vedere tanta gente esplodere di allegria dopo la messa, ma fuori dalla chiesa, non dentro; perché dobbiamo cercare di mantenere quel senso di sacro timore e tremore davanti alla presenza terribile dello Altissimo; terribile non nel senso di ostile e annientante, ma perché travalica enormemente la nostra piccolezza e il nostro peccato con la sua grandezza e la sua santità: “Mosè, non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” (Es 3, 5). La chiesa non è un salone dove periodicamente si compiono degli atti sacri, ma è un luogo sacro già in se stesso, per la presenza del SS. e per l’unzione che ne ha consacrato l’altare e le pareti. Urge una rieducazione, prima di tutto di noi preti… In chiesa si deve far silenzio anche quando si fanno le pulizie.

[Tratto da “Avvenire BO7”]

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