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Il giardino dell’Eden tra mito e storia

The Garden of Eden

© Public Domain

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 21/05/15

Il dibattito a “Linfa dell’Ulivo” per il Festival biblico di Vicenza “Custodire il Creato, coltivare l’umano”

Anche quest’anno l’Ufficio Pellegrinaggi della Diocesi di Vicenza propone, all’interno della XI edizione del Festival Biblico sul tema “Custodire il Creato, coltivare l’umano” lo spazio “Linfa dell’Ulivo”. L’obiettivo dell’iniziativa che si svolge nella città veneta dal 21 al 23 maggio è quello di offrire un approfondimento biblico, teologico, esegetico, archeologico, artistico e culturale del tema del Festival, con uno sguardo privilegiato sulle Terre Bibliche. Aleteia ha chiesto al teologo Silvio Barbaglia, di anticipare qualche riflessione del dibattito sul tema “Eden: un giardino-paradiso, al principio della storia degli uomini”.


Il paradiso terrestre, l’Eden, cos’è?

Barbaglia: Già l’espressione “paradiso terrestre” la dice lunga sull’immagine di un luogo di armonia dove tutto va bene, si vive felici in una comunione che poi viene rotta dal peccato e che assume il carattere di un mito. Parliamo di “paradiso” perchè viene dalla parola ebraica “pardés” che significa giardino. L’idea è quella di una libertà di vita perduta che deve essere ritrovata e c’è una linea interpretativa che segue questa strada.

E invece?

Barbaglia: I cosiddetti “testi di origine” – della Creazione, di Caino e Abele – sono stati definiti così dall’esegesi quando ha cominciato a dividere la scrittura del Pentateuco dalle tradizioni precedenti. Sono testi studiati con la volontà esplicita di ritrovare la radice originaria dalla quale veniamo. Non sono d’accordo che il loro posizionamento all’inizio della Scrittura serva a farli funzionare come testi di origine. Ritengo che, cambiando l’arco di lettura completo – che parte da Genesi e arriva fino al Secondo Libro dei Re, cioè al momento della distruzione di Gerusalemme e della deportazione a Babilonia del popolo di Giuda -, si possa dire che la volontà redazionale ultima sia stata quella di compiere un’opera storiografica che desse ragione del punto di arrivo, cioè della situazione di un popolo costretto a ricostruire una speranza in un momento disperato, tramite il recupero della memoria. Tutto ciò vuol dire che il testo dell’Eden, non serve a raccontare le origini, non è il punto di partenza, ma il punto di arrivo perchè aiuta a visualizzare ciò che come popolo vorrei che accadesse nel mio futuro. Il giardino in cui tutto è creato buono rappresenta la speranza che si ripresenti quello stato in cui io non vivo più.

Il giardino è anche un luogo fisico?

Barbaglia: Noi abbiamo del giardino un’idea naturalistica, di un luogo un pò incolto e selvaggio. In realtà la cultura dei giardini è una cultura delle città: i giardini venivano piantati e recintati e questo accade con la civilizzazione. Porre un giardino all’inizio della creazione non significa offrire un’immagine idilliaca, ma inserirsi in una visione organizzata della storia. L’Eden non si colloca in Mesopotamia, come alcuni pensano o anche in Armenia: il giardino descritto dal libro della Genesi rappresenta la Terra Santa e il Tempio di Gerusalemme. Questo è il luogo in cui Dio sta e stabilisce la comunione “con” e in cui ha deciso di abitare. Se l’Eden è Gerusalemme e il Tempio cambia tutto: è questo il luogo da cui Israele viene cacciato con la deportazione a Babilonia, fuori dalla comunione con Dio, perchè c’è stato il peccato dell’idolatria.


Cosa rappresenta l’albero del bene e del male?

Barbaglia: Gli alberi nel giardino sono due: quello della vita e quello della conoscenza del bene e del male, ma l’attenzione viene concentrata sul secondo. Quando vengono scacciati dal giardino Adamo ed Eva sono uguali a Dio – aveva ragione il serpente – perchè hanno mangiato dell’albero della conoscenza, ma non sono uguali a Dio rispetto alla vita, perchè non hanno potuto stendere la mano verso l’albero della vita. Stendere la mano verso l’albero della conoscenza del bene e del male ha significato preferire il serpente, l’idolatria – che è via della morte – a Dio che è via della vita. Tu sei libero di scegliere tra la vita e la morte, tra Elohim e il serpente, che sono presenti nell’Eden.

Il serpente rappresenta quindi l’idolatria?

Barbaglia: Un particolare tipo di idolatria. Secondo la nuova tesi che propongo si tratta di divinazione. Nelle intenzioni originarie il serpente è simbolo dei culti idolatrici cananaici e delle arti divinatorie, in cui l’uomo cerca di carpire i segreti di Dio, invece che vivere la relazione con lui che assicura la vita. Alla base di questa spiegazione c’è un gioco terminologico che fa riferimento al Secondo Libro dei Re e al re Ezechia che fece tutto ciò che era gradito al Signore. In pratica cancellò le azioni idolatriche a Gerusalemme e fece a pezzi Necustàn, il “serpente di bronzo” fatto da Mosè nel deserto per guarire dal morso dei serpenti. Necustàn è una parola che ha la stessa radice del “serpente” della Genesi. Suo figlio Manasse, invece, compì le peggiori nefandezze e ripristinò la divinazione in Gerusalemme. La parola ebraica divinazione ha le stesse consonanti di serpente. Tutto ciò serve a capire il cosiddetto proto-Vangelo in cui si parla della donna la cui stirpe schiaccerà la testa al serpente, ma questi gli insidierà il calcagno: si pensa all’Immacolata Concezione, ma attraverso una serie di rimandi e interpretazioni, dovrebbe invece essere identificata con la madre di Ezechia, il più grande re di Giuda perchè ha estirpato l’idolatria da Gerusalemme che però poi torna con il figlio Manasse. Il male che era stato scacciato è tornato, così come il serpente schiacciato insidia il calcagno. E’ l’idolatria che provoca l’espulsione di Giuda da Gerusalemme-Eden e l’esilio a Babilonia perchè non è rimasto fedele.

Cosa dice il racconto biblico al nostro oggi?

Barbaglia: Gli elementi testuali possono essere riletti a vari livelli e rilanciati. A proposito del giardino che diventa città quale responsabilità esercita l’uomo? Cosa significa la responsabilità politica e sociale del coltivare e custodire che sono i verbi tipici di Dio, “custode di Israele”? Coltivare, a sua volta, viene dal verbo del culto, cioè servire Gerusalemme nel Tempio.  Queste declinazioni sono gradi di responsabilizzazione dell’uomo nella storia. 

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