La relazione di apertura alla seconda conferenza internazionale dell’OSCE su «Prevenire e combattere l’intolleranza e discriminazione contro i cristiani»Pubblichiamo la relazione di apertura di Massimo Introvigne alla seconda conferenza internazionale dell’OSCE (Organizzazione sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa) sul tema «Prevenire e combattere l’intolleranza e discriminazione contro i cristiani», che si apre a Vienna oggi, 18 maggio 2015
Nel 2011 sono stato Rappresentante dell’OSCE per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani e i seguaci di altre religioni. Il 12 settembre 2011 l’OSCE ha organizzato a Roma la prima conferenza internazionale sui «Crimini e incidenti di odio contro i cristiani». Sono grato all’OSCE per avere voluto dare seguito a quell’evento con una seconda conferenza, quattro anni dopo la prima.
Quello di Roma fu un evento di successo, ricco di speranze e seguito da numerosi media in Italia e in Europa. Lo si ricorda in particolare per quello che più tardi è stato chiamato il «Modello di Roma», il quale prevede un piano inclinato che porta dall’intolleranza alla discriminazione e dalla discriminazione ai crimini di odio. Il Modello di Roma fu proposto in materia di crimini di odio contro i cristiani, ma può essere applicato a tutti i casi dov’è all’opera una «spirale dell’intolleranza».
1. L’intolleranza è un fenomeno culturale: un gruppo è messo in ridicolo attraverso stereotipi, rappresentato come malvagio, corrotto, un ostacolo alla felicità e al progresso. Ovviamente, la libertà di espressione e la libertà dell’arte sono importanti. Ma alcune opere d’arte possono diventare strumento d’intolleranza: pensiamo all’immagine degli ebrei nell’arte nazista. Non tutte le opere d’arte che criticano la religione sono intolleranti. Ma alcune lo sono. Un esempio è l’opera dello statunitense Andres Serrano «Piss Christ» (1987), una fotografia di un crocifisso immerso nell’urina dell’artista. Un altro esempio è costituito da alcuni lavori dell’artista postmoderno argentino Léon Ferrari (1920-2013) – peraltro uno dei più notevoli pittori argentini della sua generazione –, i quali presentano rappresentazioni di Gesù Cristo che nel 2004 il cardinale Bergoglio, l’attuale Pontefice, definì «una vergogna» e «blasfemi», appoggiando un’azione presso i tribunali argentini per impedire che fossero esposti.
Questi casi possono sembrare oggi minori se paragonati alla controversia su Charlie Hebdo e ai tragici fatti del 2015. Non esiste mai una giustificazione per il terrorismo e gli assassini. Ma la questione se certe vignette di Charlie Hebdo fossero esse stesse una manifestazione d’intolleranza rimane e non può essere elusa.
Certo, siamo tutti affezionati alla libertà dei giornalisti e degli artisti. Ma non è illegittimo chiedersi se l’arte non possa talora diventare un’arma al servizio dell’intolleranza. Basta pensare al film nazista Süss l’ebreo, del 1940. Possiamo anche definirlo un film tecnicamente ben fatto, ma il suo scopo ultimo era certamente promuovere l’intolleranza contro gli Ebrei.
2. Nel Modello di Roma l’intolleranza è presto seguita dalla discriminazione, un elemento di carattere giuridico. Se un’organizzazione o gruppo è malvagio, è logico colpirlo con le leggi. Oggi la libertà religiosa deve confrontarsi con la presenza di centinaia di gruppi più o meno piccoli, impopolari e «strani», che sono un frutto del pluralismo religioso postmoderno e della crisi delle grandi narrative religiose tradizionali in Occidente. La sociologia li chiama «nuovi movimenti religiosi» e critica il termine «sette», che però resiste nel linguaggio pastorale, giornalistico e politico. Molte di queste «sette» sono di diretta o indiretta origine cristiana. E alcune «sette» sono state coinvolte in attività criminali, omicidi e suicidi. Questi incidenti tragici e del tutto reali hanno favorito campagne e movimenti «anti-sette», e in alcuni Paesi sono state promulgate leggi contro le «sette». Sono leggi che nascono da una preoccupazione comprensibile per i crimini di cui certe «sette» si sono rese responsabili. Ma esiste anche il rischio di generalizzazioni improprie. In alcuni Paesi rapporti ufficiali hanno elencato tra le «sette», accanto a gruppi effettivamente criminali, movimenti impopolari e caratterizzati da credenze considerate bizzarre dall’opinione pubblica, ma generalmente rispettosi della legge.
Il caso delle «sette» esemplifica la nozione di «panico morale» illustrata dal sociologo sudafricano Stanley Cohen (1942-2013). I panici morali partono da problemi reali – non immaginari e non inventati – che riguardano certi gruppi. Ma l’incidenza statistica dei problemi è esagerata tramite «statistiche folkloriche» (cioè false, ma ampiamente diffuse), e i peccati di alcuni sono attribuiti a tutti, per trarne conseguenze improprie.
È certo che alcune «sette» commettono gravi crimini. Dal 1994 al 1997, in tre diversi episodi, gli omicidi e i suicidi dell’Ordine del Tempio Solare hanno fatto 74 vittime in Svizzera, Francia e Québec. Questi e altri episodi simili spiegano la preoccupazione sociale a proposito delle «sette». Lo ripeto: i panici morali non inventano i problemi. Ma li amplificano tramite generalizzazioni. Una condanna giustificata per alcuni gruppi specifici è estesa a tutte le minoranze religiose le cui credenze appaiono incomprensibili.
Le «sette» non sono i soli movimenti religiosi di diretta o indiretta origine cristiana che lamentano di essere discriminati in Europa. Protestanti evangelici – e altri – spesso si rivolgono alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) affermando di essere vittima di discriminazioni. La giurisprudenza della CEDU è molto varia, e può apparire talora contraddittoria.
Nella sentenza «Eweida» (2013), la CEDU ha permesso a un’impiegata a un banco partenze della British Airways, Nadia Eweida, che per questo era stata licenziata, di portare una catenina con un crocefisso – ma nella sentenza «Chaplin» (2013), resa lo stesso giorno, ha negato lo stesso diritto a un’infermiera in un ospedale. Casi particolarmente delicati riguardano l’obiezione di coscienza. Nella sentenza «Ladele» (2013), la CEDU ha stabilito che una funzionaria di stato civile cristiana britannica, Lilian Ladele, non può invocare l’obiezione di coscienza per rifiutarsi di celebrare unioni fra persone dello stesso sesso. Un successivo appello è stato respinto.
Notiamo che casi come «Ladele» sono simili, ma non identici, a una serie di episodi ben noti negli Stati Uniti, come «Arlene’s Flowers» (2015), dove fiorai, fotografi o pasticceri cristiani si rifiutano di fornire i loro servizi per matrimoni fra persone dello stesso sesso. In questi casi si tratta di proprietari di ditte o aziende private, mentre la signora Ladele era un pubblico funzionario.
Nel caso «Sindicatul» (2012), la CEDU ha tentato di costringere la Chiesa Ortodossa e il governo della Romania ad accettare che un gruppo di preti ortodossi possa formare un sindacato ostile alla gerarchia ecclesiastica – e rimanere nella Chiesa. Dopo le vibranti proteste di molte comunità religiose e della Santa Sede, che vedevano qui un chiaro tentativo dei giudici d’interferire negli affari interni di una Chiesa cristiana, la sentenza è stata rovesciata in appello nel 2013.
La discriminazione può manifestarsi anche a livello amministrativo. Secondo gli studi del sociologo statunitense James T. Richardson e di altri, in almeno un terzo degli Stati partecipanti dell’OSCE le norme che richiedono alle comunità religiose di registrarsi presso le autorità amministrative locali hanno un effetto discriminatorio nei confronti dei gruppi minoritari, e molti di questi gruppi sono cristiani.
Anche in questo caso, preoccupazioni legittime sulle «sette» pericolose o su movimenti radicali o violenti sono all’origine di queste normative. Ma c’è un rischio reale che servano come strumenti di discriminazione contro gruppi piccoli o poco popolari – spesso di origine cristiana.
3. Il terzo stadio della spirale dell’intolleranza porta dalla discriminazione alla persecuzione e ai crimini di odio. Se il gruppo o l’organizzazione è malvagia, e la discriminazione non basta a fermarla, perché stupirsi se degli estremisti decidono di farsi giustizia da soli e di passare alla violenza?
In Italia il regime fascista promosse campagne contro i Pentecostali, la cui religione era considerata una minaccia per «l’integrità della razza». Seguirono sia norme amministrative contro i Pentecostali, sia aggressioni e violenze. Il 28 luglio 2014, visitando la comunità pentecostale della Riconciliazione a Caserta, in Campania, Papa Francesco ha citato «le leggi di questa gente: “va contro la purezza della razza…”. E queste leggi sono state sancite da battezzati! Alcuni di quelli che hanno fatto questa legge e alcuni di quelli che hanno perseguitato, denunciato i fratelli pentecostali perché erano “entusiasti”, quasi “pazzi”, che rovinavano la razza, alcuni erano cattolici… Io sono il pastore dei cattolici: io vi chiedo perdono per questo!».
Come altre religioni, i Testimoni di Geova cercarono inizialmente di convivere con il regime nazista in Germania. Ma questi tentativi fallirono, e alla fine 11.300 Testimoni di Geova finirono nei campi di concentramento nazisti, dove 1.490 morirono. A differenza degli ebrei e dei Rom, perseguitati per ragioni razziali, i Testimoni di Geova potevano tornare a casa e sfuggire ai lager semplicemente rinunciando alla propria fede. Ma solo pochi lo fecero.
Oggi i crimini di odio contro i cristiani non sono commessi solo in Africa e in Asia. L’Osservatorio dell’Intolleranza e Discriminazione contro i Cristiani di Vienna documenta ogni anno centinaia di casi: chiese profanate, statue distrutte o decapitate, preti, suore e vescovi aggrediti.
Uno dei casi più controversi riguarda le Femen, un movimento femminista – e fortemente anti-cristiano –fondato in Ucraina nel 2008. Le Femen sono note per gli attacchi alle chiese cattoliche (tra cui Notre Dame a Parigi nel 2013), ai vescovi (come il cardinale spagnolo Rouco Varela nel 2014) e ai simboli religiosi (Kiev 2012: distruzione della croce eretta in memoria delle vittime di Stalin). Molti cristiani – e anche molti musulmani, dal momento che le Femen se la prendono anche con l’islam – ritengono che le Femen violino sistematicamente la loro libertà religiosa. Altri le difendono in nome della libertà di protesta. Questi casi mostrano come sia difficile trovare un equilibrio tra diversi diritti: la libertà religiosa, la libertà di parola, la libertà di dimostrare e protestare. Certamente la libertà religiosa non può essere sacrificata in nome di altri diritti, per quanto importanti.
La spirale intolleranza – discriminazione – crimini di odio colpisce molti gruppi. Gli ebrei nella Germania nazista furono prima ridicolizzati con le caricature, poi discriminati dalle leggi di Norimberga. Così, alla fine, si arrivò ad Auschwitz. Combattere la discriminazione contro Rom e Sinti è un’attività centrale per l’OSCE. In molti Paesi sono dapprima oggetto d’intolleranza tramite gli stereotipi («sono tutti ladri»), quindi presi di mira da leggi (passaporti speciali, difficoltà per ottenere documenti), e spesso sono vittima di crimini di odio. È importante notare che l’odio contro i cristiani non è isolato da un più generale «paradigma dell’intolleranza». Anche il razzismo parte da stereotipi, quindi discrimina in modo più o meno sottile e alla fine arriva ai crimini di odio. In Europa capita spesso che comunità cristiane di immigrati – africani, filippini, coreani – siano discriminate due volte, sia come gruppi «stranieri» sia come «sette» che destano sospetti.
Sappiamo che i crimini di odio contro i cristiani spesso non sono denunciati e sono sottostimati nei documenti e nelle statistiche delle organizzazioni internazionali. È necessaria una maggiore collaborazione fra le stesse Chiese e comunità cristiane, i governi di buona volontà, le polizie e l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani dell’OSCE perché aumenti la consapevolezza di quanto è grave il problema e si organizzino adeguati piani di prevenzione.
Sono anche convinto che il dialogo interreligioso – e il dialogo culturale, esteso ai non credenti – sia una delle chiavi per prevenire e combattere i crimini di odio contro i cristiani e i seguaci di altre religioni. Il dialogo interreligioso smentisce il luogo comune secondo cui le religioni sono responsabili della maggioranza dei problemi di odio e di violenza. Certamente le religioni nella loro storia non sono sempre state estranee al problema della violenza. Ma più spesso sono state e sono parte della soluzione. In alcuni Paesi, poi, tutte le religioni sono state perseguitate da regimi totalitari. E le persecuzioni hanno insegnato loro a coesistere, in un «dialogo del sangue».
Per promuovere la coesistenza interreligiosa e prevenire i crimini di odio non è neppure obbligatorio negare che, in certi Paesi, una specifica religione ha un legame unico con la storia e la cultura. In Italia, per esempio, la stessa Costituzione riconosce il ruolo unico della Chiesa Cattolica nella storia del Paese. Nello stesso tempo offre ad altre religioni la possibilità di collaborare con lo Stato e garantisce la libertà religiosa a tutte le comunità che rispettano la legge.
Il dialogo e le politiche di prevenzione dei crimini di odio devono tenere conto della storia e delle tradizioni specifiche di ciascun Paese. Ed evitare due estremi: il fondamentalismo, dove una religione discrimina le minoranze religiose e i non credenti, e il laicismo, dove un clima di ostilità anti-religiosa porta all’intolleranza nei confronti di tutte le religioni.
Il Pontefice Giovanni Paolo II (1920-2005) ha scritto che fede e ragione sono come due ali, entrambe necessarie. Se si cerca di volare con un’ala sola, l’aereo si schianta – metaforicamente e anche letteralmente, come ha mostrato la tragedia dell’11 settembre 2001. Il dialogo armonioso fra fede e ragione, così come fra le diverse religioni e fra credenti e non credenti, sempre più si presenta come la chiave per prevenire e combattere i crimini di odio.