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È giusto andare alla Messa se si è in lite con qualcuno?

Lite fratello Messa

© Flickr/Anant Nath Sharma/Creative Commons

Toscana Oggi - pubblicato il 14/05/15

Non ci si dovrebbe confessare anche per aver ricevuto l'Eucaristia in queste condizioni?

Spesso ci si confessa di non essere andati a Messa, magari perché impossibilitati. Personalmente ritengo più grave andare a Messa, anche nei giorni festivi, sapendo di avere in odio un proprio fratello a cui si nega il saluto, si sfugge lo sguardo e si evita di parlare. A Messa non si va solo fisicamente, ma con fede sincera. Allora perché non sottolineare che è necessario confessare, pentendosi, anche di essere andati a Messa in queste condizioni? Sbaglio?
Pier Paolo Allegri

Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria
La frase con cui termina la domanda del lettore è degna di essere sottolineata. Certamente non tutti vivono la propria fede per convenzione o abitudine. Vi sono, del resto, anche nel campo della fede cristiana quelle che chiamiamo le «buone abitudini». Non sono da disprezzare. Spesso nascono da un’educazione ricevuta da piccoli, ma assunta personalmente come una convinta presa di posizione verso il Signore e quanto ci viene richiesto per vivere la fede nella comunità ecclesiale. Vorrei aggiungere, tuttavia, quanto sia importante in tutto questo la consapevolezza della dimensione comunitaria della nostra fede. Pur essendo vissuta da ognuno di noi in modo personale, secondo quel rapporto singolare di amicizia con Dio che rappresenta la nostra specifica vocazione, siamo chiamati a pronunciare insieme il nostro «credo» e a vivere in una reale comunione di fede, speranza e amore.

Venendo alla domanda specifica posta dal lettore, la questione attraversa diversi ambiti del comportamento cristiano: si toccano aspetti di teologia sacramentaria e morale, si mettono a confronto comportamenti verso Dio e verso il prossimo. Una prima risposta, molto semplice, tanto da apparire ovvia, consiste nell’invito a rimettere davanti alla misericordia di Dio gli uni e gli altri. Non si tratta di tralasciare un comportamento per metterne un altro in evidenza. Piuttosto, nella direzione già suggerita dal lettore, bisognerebbe cogliere il valore di quei sentimenti che si esprimono con gesti mancanti di amore e che vanno contro la prospettiva del Vangelo di Cristo. In primo luogo, il cristiano è chiamato a «santificare» il giorno del Signore. In ogni caso e circostanza non possiamo esimerci da questa indicazione, delineata come la terza parola della Legge, data da Dio a Israele, sul monte Sinai attraverso Mosè.

La Chiesa ha legato l’osservanza di questa terza parola alla partecipazione all’Eucaristia: nel giorno della Pasqua del Signore, il «primo della settimana» come indica il Vangelo, la comunità dei credenti si raduna per celebrare il memoriale della morte e risurrezione del suo Signore. Motivi gravi e riconosciuti tali sollevano il credente da questo dovere, come ci è sempre stato insegnato. Ma non potremo mai dimenticare che la domenica è il giorno dedicato alle «cose del Signore», al ricordo di Lui: non potendo partecipare alla Messa, siamo sempre chiamati a compiere gesti di fede che ci facciano «santificare» il giorno del Signore, renderlo un giorno singolare, dedicato a Lui, alla convivenza familiare, alla carità, al prendersi tempo per la cura di se stessi. In relazione alla Messa domenicale, quindi, non si tratta solo di una partecipazione fisica o meno, ma di lasciarsi coinvolgere nella logica cristiana del giorno del Signore. La stessa logica della fede dovrebbe intervenire anche nell’esame dei sentimenti che proviamo.

L’esempio portato dal lettore è limpido. Il Signore stesso, nel Vangelo, condanna chi pronuncia parole offensive verso i propri fratelli. Nella prosecuzione del brano troviamo l’invito alla riconciliazione prima di partecipare all’offerta all’altare di Dio: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,21-24). Queste parole non dovrebbero farci lasciare la partecipazione alla Messa domenicale se abbiamo dei contrasti verso qualcuno. Sono invece un monito severo perché facciamo di tutto per riconciliarci con i fratelli.

Nutrire sentimenti di odio verso il prossimo è in forte contraddizione con il gesto eucaristico del mangiare il Corpo di Cristo. Se non possiamo sanare subito le nostre relazioni, siamo però chiamati a mettere davanti alla misericordia di Dio il cuore pentito, perché lo purifichi attraverso il suo perdono. Il sacramento della riconciliazione ci è stato donato per questo, per un cammino rinnovato nella sequela di Cristo insieme ai fratelli. Raccogliendo l’invito del lettore, adoperiamoci davvero perché questo anno della fede ci faccia riscoprire comportamenti di vita che siano veramente evangelici, sia nel nostro rapporto con Dio che verso i fratelli incontrati nel cammino di ogni giorno.

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