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Tutti i cani vanno in paradiso?

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Matthew Becklo - Aleteia - pubblicato il 11/05/15

Le grandi menti lo vogliono sapere

Dopo quindici anni di gite con la lingua di fuori su una bucolica montagna del New England, il nostro cane questa settimana se ne è andato.

Chiunque abbia perso un animale sa quanto sia difficile dirgli addio. Non si tratta “solo di un animale”. No, si sta perdendo un membro della famiglia e un amico. La famiglia soffre davvero. Alla fin fine, la perdita di quell'animale rappresenta il passare degli anni.

Ovviamente, il pensiero di poterlo rivedere è una grande consolazione, ma è vero? Tutti i cani vanno in paradiso? Possiamo osare sperare che tutti i cani vengano “salvati”?

A dicembre è circolata una storia in base alla quale papa Francesco avrebbe dichiarato che vedremo i nostri cani in paradiso. È risultata falsa – anche se fosse così, infatti, la Chiesa non si è mai pronunciata formalmente sulla questione –, ma è stata sufficiente a suscitare un dibattito nazionale tra i cristiani.

Due pesi massimi intellettuali hanno affrontato di recente la questione. Sulle pagine di First Things, il pensatore ortodosso David Bentley Hart ha scritto di uno scambio di idee con “un giovane tomista estremamente serio” sulla vita ultraterrena:

“L'occasione dello scambio di idee, tra parentesi, è stata una conversazione lunga e noiosamente circolare sull'escatologia cristiana. Il mio interlocutore aderiva a un concetto particolarmente incolore della visione beatifica, che non permette alcuna partecipazione reale della creazione animale (tranne in modo eminente, attraverso di noi) alla beatitudine finale del Regno; io, invece, spero di vedere i cuccioli in paradiso, e persevero nella fede soprattutto per quel motivo. Da parte sua, tutte le argomentazioni erano tratte da Tommaso e dai suoi commentatori; da parte mia, erano tratte dalla Scrittura. Naturalmente, limitato alla fonte inferiore di autorità, ero in svantaggio”.

L'articolo – principalmente il suo ritratto dei tomisti come beatnik antropocentrici – ha catturato l'attenzione dell'autore de La Filosofia della Mente, Edward Feser. In un articolo sul Public Discourse, Feser segue le distorsioni del pensiero tomista di Hart e chiarisce i principi metafisici in gioco:

“Hart insinua che chi non è d'accordo con lui 'respinge ogni dimostrazione di… affetto negli animali' e promuove un resoconto 'meccanicistico' in cui il comportamento animale si riduce a 'stimoli e risposte biomeccanici'. Ma se questo è vero per Cartesio, è sicuramente falso per i tomisti, che respingono il concetto meccanicistico di Cartesio delle sostanze materiali… Gli animali non umani non sono macchine; sono realmente consapevoli, provano davvero dolore e piacere, mostrano davvero affetto e rabbia. Questi stati consapevoli, però, sono comunque del tutto dipendenti dagli organi corporei, come qualsiasi altra cosa che fanno gli animali non umani. Quando i loro corpi muoiono, quindi, non c'è nient'altro che possa sopravvivere in una vita ultraterrena. La morte di Fido è dunque la fine di Fido”.

Gli animali hanno un'anima – almeno nella tradizione tomista, gli animali non sono degli automi privi di consapevolezza, ma anime sensibili capaci di soffrire e che meritano gentilezza – ma non hanno la ragione, non possono astrarre le forme del mondo o prendere complesse decisioni morali, il che rappresenta il nucleo della nostra immortalità. Ecco quindi l'argomentazione: a) l'immortalità appartiene all'anima razionale, e b) gli esseri umani hanno anime razionali, quindi c) i cani non vanno in paradiso. In un modo o nell'altro, tutto ciò sembra essere piuttosto futile. Non ci sono cose più importanti per le quali varrebbe la pena di spendere del tempo?

Quando una questione secondaria porta due personaggi così importanti (che tra l'altro concordano su molte cose) a un disaccordo infuocato, c'è la possibilità che sia stato toccato qualcosa di importante, anche se solo indirettamente. In questo caso, l'immortalità di Fido ha forti implicazioni per tre questioni più ampie: la questione del rapporto di Dio con la sua creazione, la questione della morte e dell'immortalità e la questione della nostra natura umana. La morte del mio cane non è solo una questione sentimentale – è un fatto metafisico.

Il cuore di Hart è al posto giusto, ma la sua argomentazione è intaccata da ostacoli intellettuali. La mente di Feser è al posto giusto, ma la sua argomentazione – malgrado la sua accuratezza dal punto di vista metafisico – comporta dubbi consistenti. Può portare avanti la posizione più persuasiva, ma si può dire che la questione sia chiusa?

È difficile capire perché le persone di fede dovrebbero scartare l'idea che gli animali vadano in paradiso come un'impossibilità logica, indipendentemente dalla nostra metafisica. C.S. Lewis ha adottato una prospettiva paolina per argomentare che il fatto che gli animali vadano in paradiso è almeno una cosa concepibile. È “possibile”, ha scritto, “che certi animali possano avere un'immortalità, non in sé, ma nell'immortalità dei loro padroni”. Dio santifica gli umani, che umanizzano i loro animali, e ogni anello è legato all'altro nell'eternità – o potrebbe accadere in qualche altro modo che ancora non riusciamo a concepire? Peter Kreeft concorda sul fatto che non c'è niente che ci possa impedire di pensare alla questione:

“La risposta più semplice che conosco per questa domanda, posta tanto spesso dai bambini, è 'Perché no?' Le domande dei bambini in genere sono le migliori, e dovremmo fare attenzione a trattarle con la stessa serietà di chi le pone. Gli animali, come qualsiasi altra cosa a questo mondo, possono mediare l'amore e la bontà di Dio nei nostri confronti e prepararci alla nostra unione con Lui, o possono distrarci da Lui. In Paradiso, tutto media e nulla distrae”.

Amavo il mio cane, e mi si è spezzato il cuore nel dirgli addio. Lo rivedrò? Non credo – non perché non gli voglia bene, e sicuramente non perché Dio non lo ama, ma solo perché Dio ha pianificato cose più grandi per la sua famiglia umana, dotata di ragione e volontà a Sua immagine e somiglianza.

Posso dire definitivamente che non correrò di nuovo con lui alla fine di tutto? Assolutamente no. Il nostro è un Dio delle sorprese.

—-
Matthew Becklo è un marito e padre, filosofo amatoriale e commentatore culturale di Aleteia e Word on Fire. I suoi scritti sono apparsi su First Things, The Dish e Real Clear Religion.

[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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