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Un miracolo di monsignor Romero?

Archbishop Oscar Romero – AFP

© Marvin RECINOS / AFP

Pictures of Archbishop Oscar Romero in the center of San Salvador on February 3, 2015. Monsignor Romero was declared a martyr by the Francisco Pope in the Vatican. Photo: AFP / MARVIN RECINOS

Jaime Septién - Aleteia - pubblicato il 04/05/15

Le maras che operano a El Salvador offrono alcune giornate di pace prima della beatificazione

Almeno il 23 maggio prossimo e le settimane precedenti alla beatificazione di monsignor Óscar Arnulfo Romero Galdámez, per decisione delle principali bande (maras) che operano a El Salvador, potrebbero essere giornate di pace.

Le maras lo hanno proposto al Governo salvadoregno chiedendo in cambio che cessi l'azione delle forze dell'ordine, che questi gruppi, che hanno estese ramificazioni in America Centrale e in Nordamerica, definiscono “repressione” nei loro confronti.

Dicono inoltre di accettare un piano di rieducazione dalle loro operazioni criminali e un periodo di reinserimento e riabilitazione, mentre si stabilisce il dialogo perché a El Salvador “ci sia meno violenza”.

Le quattro grandi

In un comunicato sulla cui autenticità non ci sono ancora certezze, le maras dicono che si tratta del “regalo che vogliamo fare a monsignor Romero per la sua beatificazione: il nostro pentimento e la richiesta di perdono alla società per tutti i danni provocati”.

Il testo rappresenterebbe l'opinione di bande come Mara Salvatrucha (MS 13), Pandilla de Barrio 18, Mao Mao e Mirada Locos 13, che per gli esperti sono le quattro maras più importanti di El Salvador.

In questo senso, e come dimostrazione del loro “impegno” e della loro “buona volontà”, le maras propongono di cessare “da subito ogni tipo di attacco”. In cambio, chiedono al Governo salvadoregno “di porre fine agli abusi di autorità e alle azioni di sterminio che nella maggior parte dei casi vengono presentate come lotte tra bande”.

Nel loro comunicato, le bande hanno annunciato che “stiamo già diffondendo istruzioni di acquartieramento alle nostre unità, di immagazzinamento di armi e dotazioni e perché tutti, sia dentro che fuori le prigioni, si concentrino sullo studio e sulla discussione dei 13 punti che sono stati proposti (si tratta della proposta di Raúl Mijango, basata sul fatto di istituire due tavoli di dialogo, uno con le bande e un altro con il Governo salvadoregno e la società civile).

Secondo questi gruppi, si tratta di “ottenere consensi che permettano di rispondere in modo soddisfacente a quello che la società si aspetta da noi: meno omicidi, meno estorsioni; in definitiva, meno violenza”.

Nessuna esultanza

Per queste bande di giovani e adulti, che hanno fatto della violenza e dello scontro il proprio modus vivendi, le forze che li combattono camuffano le esecuzioni come lotte tra gruppi “quando in realtà ciò che accade è che prendono i nostri membri dalle loro case e poi li assassinano, simulano scontri e mettono armi in mano ai morti per giustificare i massacri”.

In questo senso, i portavoce di queste organizzazioni criminali hanno chiesto sostegno con un piano per riabilitare e reinserire i membri nella società. Anche se le autorità non si sono pronunciate al riguardo, il Governo di El Salvador ha mostrato una posizione ferma nella lotta alla delinquenza.

La dichiarazione delle maras non ha provocato gioia tra i salvadoregni, visto che non è ancora chiaro se non si tratti di una strategia cinica. Il popolo salvadoregno, inoltre, è stanco di sforzi per riabilitare i membri delle bande e preferisce che le autorità adottino una linea dura contro il crimine.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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