Roberto Benigni porta la Divina Commedia in Senato: “appena in tempo prima che lo tolgono”750 anni fa nasceva Dante Alighieri, sommo poeta e padre della Divina Commedia, forse l'opera letteraria italiana più conosciuta nel mondo, al punto da essere uno dei motivi per cui l'italiano è diventata la quarta lingua più studiata nel mondo.
Dante e Benigni
Uno che con la Divina Commedia ha un rapporto decennale è Roberto Benigni, che oggi è stato invitato al Senato per le celebrazioni dove – prima della lettura del XXXIII canto del Paradiso – poco dopo i ringraziamenti di rito e i saluti ha ironizzato come di consueto sulla situazione politica attuale.
Intervenuto nell'aula del Senato per le celebrazioni dei 750 anni della nascita di Dante Alighieri, Roberto Benigni ha letto il XXXIII canto del Paradiso. Solo il pubblico presente ha potuto godere della sua interpretazione, protetta dai diritti d'autore (Repubblica, 4 maggio).
"Questo anniversario cade al momento giusto: se fosse arrivato tra due anni il Senato lo avrebbero trovato chiuso", esordisce Benigni nell'aula di Palazzo Madama, davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al presidente del Senato, Pietro Grasso, al presidente emerito, Giorgio Napolitano, e ad altre autorità. "Questo è proprio un posto dantesco – aggiunge il premio Oscar – del resto Dante si è occupato di politica, intendeva la politica come dovrebbe essere considerata oggi, poter servire, costruire. Era impegnatissimo, ma si è fatto molti nemici per il suo caratteraccio. Del resto, si sa – sorride alludendo al premier Renzi – che i politici fiorentini hanno un caratteraccio. Non gli andava bene essere guelfo, bianco o nero, né ghibellino. Voleva far parte per se stesso, fondare il partito personale di Dante, insomma il Pd dell'epoca", ironizza (Ansa, 4 maggio).
Il messaggio del Papa
“è artista di altissimo valore universale che ha ancora tanto da dire e da donare" a quanti sono desiserosi di proseguire la via della "autentica conoscenza". Lo ha sottolineato Papa Francesco nel suo messaggio di saluto, letto nell'Aula del Senato dal presidente del pontificio consiglio della cultura, Cardinale Gianfranco Ravasi. Un messaggio accolto da un grande appaluso dei presenti. In Aula il capo dello Stato, Sergio Mattarella, il ministro per i beni culturali Dario Franceschini. Dante e' "profeta di speranza, annunciatore della possibilita' di riscatto di ogni uomo e donna". Possiamo, dunque, "arricchirci della sua esperienza per attraversare le tante selve oscure disseminate sulla nostra terra", ha anche scritto il Papa nel suo messaggio (Agi, 4 maggio).
«La Commedia – osserva Bergoglio – può essere letta infatti come un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico. Essa rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui l'umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce “l'aiuola che ci fa tanto feroci”, per giungere a una nuova condizione, segnata dall'armonia, dalla pace, dalla felicità». «È questo l'orizzonte di ogni autentico umanesimo», sottolinea Papa Bergoglio ricordando nell'occasione le attestazioni dei suoi predecessori riguardo «alla sua grandezza non solo artistica ma anche teologica e culturale: Benedetto XV – elenca il Pontefice nella lettera indirizzata a Ravasi – dedicò al sesto centenario della morte, l'enciclica “In praeclara summorum”, datata 30 aprile 1921» per evidenziare «l'intima unione di Dante con la Cattedra di Pietro» e sottolineare «la prodigiosa vastità e acutezza del suo ingegno»; anche il beato Paolo VI, poi, «ebbe particolarmente a cuore la figura e l'opera di Dante, a cui dedicò la bellissima Lettera Apostolica “Altissimi cantus”, in cui con l'espressione “Dante è nostro” rivendicava l'appartenenza dell'Alighieri alla fede cattolica e che “il fine della Commedia è primariamente pratico e trasformante: dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell'inferno a quella beatificante del paradiso”»; «Anche san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – ricorda Francesco – si sono spesso riferiti alle opere del Sommo Poeta e lo hanno più volte citato». «E – conclude Bergoglio citando la sua «Lumen fidei» – ho scelto anch'io di attingere a quell'immenso patrimonio di immagini, di simboli, di valori costituito dall'opera dantesca: per descrivere la luce della fede, luce da riscoprire e recuperare affinché illumini tutta l'esistenza umana, mi sono basato proprio sulle suggestive parole del Poeta, che la rappresenta come “favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla”» (Vatican Insider, 4 maggio).