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Come avrebbe reagito Maometto contro i vignettisti di Charlie Hebdo?

I AM Charlie Hebdo – 02 – © Valentina Calà CC – it

© Valentina Calà CC

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 30/04/15

"L'Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani”…partendo dal Corano

Come avrebbe reagito il profeta Maometto nei confronti dei vignettisti di Charlie Hebdo? Avrebbe reagito con violenza, imitando l'operazione violenta del commando stragista oppure in modo completamente diverso e cioè saggio e moderato?

PARTIRE DAL CORANO
La risposta la si ricava leggendo il volume "L'Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani" (Città Nuova). Il teologo musulmano Adnane Mokrani sostiene che il punto di partenza è conoscere «la reazione del Profeta all’insulto e alla provocazione, com’è stata descritta dal Corano stesso, il libro sacro dell’Islam. Qui si vede maggiormente la differenza radicale tra il modello religioso del Profeta e il tradimento fondamentalista a questo modello».

GLI INSULTI AL PROFETA
Il Corano cita in tante occasioni gli insulti subìti dal Profeta, chiamato dalla propria gente, di volta in volta: “pazzo”, “stregone”, “bugiardo”… come ad esempio: "Il vostro compagno non è un folle (o posseduto)" (81, 22; cf. anche 6, 15; 27, 26; 37, 36; 44, 14; 51, 39 e 52; 52, 29; 54, 9; 68, 2 e 51). «Si nota nel versetto che, nonostante l’insulto, il Profeta è nominato “compagno” e non “nemico” delle persone che l’hanno insultato».

IGNORARE E NON ARRABBIARSI
Il teologo poi evidenzia una serie di versetti che indicano «la risposta giusta alla provocazione: ignorarla». Il silenzio, e non la rabbia, «è la risposta che spegne il fuoco dell’odio e del disprezzo. Rispondere alla provocazione con la rabbia è fare esattamente quello che vogliono i provocatori, ridicolizzare l’altro. Il silenzio permette di uscire dallo stato emozionale irrazionale e tornare allo stato normale, quello sereno e razionale: "I servi del Clemente sono coloro che camminano sulla terra con umiltà e quando gli ignoranti si rivolgono loro, rispondono: pace" (25, 63). E ancora: "[O Muhammad], tu pratica il perdono, ordina il bene e allontanati dagli ignoranti" (7, 199)».

COME RIPORTARE LA CALMA
Quest’allontanamento, prosegue Mokrani, non è una rottura, ma una occasione per calmare le anime, una pausa di riflessione, che finisce appena si cambia discorso: "Egli vi ha rivelato nel libro che quando sentirete rinnegare i segni di Dio oppure sentirete deridere, non dovrete restare con loro che lo fanno, finché non cambieranno discorso, altrimenti sarete come loro. Dio riunirà gli ipocriti e i miscredenti nell’Inferno, tutti insieme" (4, 140 e cf. anche 6, 68).

ASSENZA DI BLASFEMIA
Si vede dai versetti precedenti, evidenzia il teologo, che la blasfemia non esiste nel Corano, non c’è una punizione terrestre, il castigo è lasciato a Dio nell’aldilà: "Sia gloria al Signore dei cieli e della terra, il Signore del Trono, Egli è ben oltre le loro descrizioni. Lasciali discutere e giocare; vanno incontro al loro giorno, quello che è stato loro promesso" (43, 82-83; cf. anche 42, 70).

NON INSULTARE LE ALTRE DIVINITA'
In un’altra situazione, il Corano chiede al Profeta e ai suoi compagni di non insultare le divinità altrui. Si tratta precisamente degli idoli dei pagani arabi, i loro persecutori più feroci, per non provocare una reazione negativa e altri insulti contro i musulmani. E soprattutto perché insultare non è un atteggiamento virtuoso: "Non insultate coloro che essi invocano all’infuori di Dio, ché non insultino Dio per ostilità e ignoranza" (6, 108).

SOLO LA TRISTEZZA
Un uomo, sottolinea Mokrani, chiese al Profeta di dargli un consiglio, la risposta fu: "Non arrabbiarti, non arrabbiarti, non arrabbiarti", ripetuta tre volte. L’unica emozione umana comprensibile in caso di insulto da parte del Profeta era la tristezza e non la rabbia: "Non rattristarsi per i loro discorsi"(10, 65; 36, 76; cf. anche 3, 176; 5, 41; 6, 33). Ancora: "Vuoi forse consumarti di dolore per causa loro, perché non credono a questo racconto?" (18, 6; cf. anche 26, 3). Il Profeta si sentiva triste perché «pensava di non aver fatto abbastanza per trasmettere il messaggio, considerando il rifiuto e l’insulto come il proprio fallimento e non la colpa degli altri».

BLASFEMIA E PENA DI MORTE
Fatte queste considerazioni, fa notare giustamente il teologo, ci si può chiedere legittimamente: perché alcune scuole giuridiche islamiche, secoli dopo la morte del Profeta, hanno scelto la pena di morte come punizione per la blasfemia? «È lo stesso caso dell’apostasia – osserva – che è totalmente assente nel Corano e nella prassi del Profeta. Si tratta qui di una visione politica che vedeva nella blasfemia (come nell’apostasia) un tipo di ribellione o una sfida all’ordine pubblico. Poiché non c’è niente nel Corano che giustifichi la pena di morte in questi casi, i giuristi si sono appoggiati su alcuni detti attribuiti al Profeta che sono abbastanza discutibili e contraddicono il Corano stesso. Altre grandi scuole, invece, non hanno considerato nessuna pena per i colpevoli di blasfemia».

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