Come avrebbe reagito il profeta Maometto nei confronti dei vignettisti di Charlie Hebdo? Avrebbe reagito con violenza, imitando l'operazione violenta del commando stragista oppure in modo completamente diverso e cioè saggio e moderato?
PARTIRE DAL CORANO
La risposta la si ricava leggendo il volume "L'Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani" (Città Nuova). Il teologo musulmano Adnane Mokrani sostiene che il punto di partenza è conoscere «la reazione del Profeta all’insulto e alla provocazione, com’è stata descritta dal Corano stesso, il libro sacro dell’Islam. Qui si vede maggiormente la differenza radicale tra il modello religioso del Profeta e il tradimento fondamentalista a questo modello».
GLI INSULTI AL PROFETA
Il Corano cita in tante occasioni gli insulti subìti dal Profeta, chiamato dalla propria gente, di volta in volta: “pazzo”, “stregone”, “bugiardo”… come ad esempio: "Il vostro compagno non è un folle (o posseduto)" (81, 22; cf. anche 6, 15; 27, 26; 37, 36; 44, 14; 51, 39 e 52; 52, 29; 54, 9; 68, 2 e 51). «Si nota nel versetto che, nonostante l’insulto, il Profeta è nominato “compagno” e non “nemico” delle persone che l’hanno insultato».
IGNORARE E NON ARRABBIARSI
Il teologo poi evidenzia una serie di versetti che indicano «la risposta giusta alla provocazione: ignorarla». Il silenzio, e non la rabbia, «è la risposta che spegne il fuoco dell’odio e del disprezzo. Rispondere alla provocazione con la rabbia è fare esattamente quello che vogliono i provocatori, ridicolizzare l’altro. Il silenzio permette di uscire dallo stato emozionale irrazionale e tornare allo stato normale, quello sereno e razionale: "I servi del Clemente sono coloro che camminano sulla terra con umiltà e quando gli ignoranti si rivolgono loro, rispondono: pace" (25, 63). E ancora: "[O Muhammad], tu pratica il perdono, ordina il bene e allontanati dagli ignoranti" (7, 199)».
COME RIPORTARE LA CALMA
Quest’allontanamento, prosegue Mokrani, non è una rottura, ma una occasione per calmare le anime, una pausa di riflessione, che finisce appena si cambia discorso: "Egli vi ha rivelato nel libro che quando sentirete rinnegare i segni di Dio oppure sentirete deridere, non dovrete restare con loro che lo fanno, finché non cambieranno discorso, altrimenti sarete come loro. Dio riunirà gli ipocriti e i miscredenti nell’Inferno, tutti insieme" (4, 140 e cf. anche 6, 68).
ASSENZA DI BLASFEMIA
Si vede dai versetti precedenti, evidenzia il teologo, che la blasfemia non esiste nel Corano, non c’è una punizione terrestre, il castigo è lasciato a Dio nell’aldilà: "Sia gloria al Signore dei cieli e della terra, il Signore del Trono, Egli è ben oltre le loro descrizioni. Lasciali discutere e giocare; vanno incontro al loro giorno, quello che è stato loro promesso" (43, 82-83; cf. anche 42, 70).
NON INSULTARE LE ALTRE DIVINITA'
In un’altra situazione, il Corano chiede al Profeta e ai suoi compagni di non insultare le divinità altrui. Si tratta precisamente degli idoli dei pagani arabi, i loro persecutori più feroci, per non provocare una reazione negativa e altri insulti contro i musulmani. E soprattutto perché insultare non è un atteggiamento virtuoso: "Non insultate coloro che essi invocano all’infuori di Dio, ché non insultino Dio per ostilità e ignoranza" (6, 108).
SOLO LA TRISTEZZA
Un uomo, sottolinea Mokrani, chiese al Profeta di dargli un consiglio, la risposta fu: "Non arrabbiarti, non arrabbiarti, non arrabbiarti", ripetuta tre volte. L’unica emozione umana comprensibile in caso di insulto da parte del Profeta era la tristezza e non la rabbia: "Non rattristarsi per i loro discorsi"(10, 65; 36, 76; cf. anche 3, 176; 5, 41; 6, 33). Ancora: "Vuoi forse consumarti di dolore per causa loro, perché non credono a questo racconto?" (18, 6; cf. anche 26, 3). Il Profeta si sentiva triste perché «pensava di non aver fatto abbastanza per trasmettere il messaggio, considerando il rifiuto e l’insulto come il proprio fallimento e non la colpa degli altri».
BLASFEMIA E PENA DI MORTE
Fatte queste considerazioni, fa notare giustamente il teologo, ci si può chiedere legittimamente: perché alcune scuole giuridiche islamiche, secoli dopo la morte del Profeta, hanno scelto la pena di morte come punizione per la blasfemia? «È lo stesso caso dell’apostasia – osserva – che è totalmente assente nel Corano e nella prassi del Profeta. Si tratta qui di una visione politica che vedeva nella blasfemia (come nell’apostasia) un tipo di ribellione o una sfida all’ordine pubblico. Poiché non c’è niente nel Corano che giustifichi la pena di morte in questi casi, i giuristi si sono appoggiati su alcuni detti attribuiti al Profeta che sono abbastanza discutibili e contraddicono il Corano stesso. Altre grandi scuole, invece, non hanno considerato nessuna pena per i colpevoli di blasfemia».
