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Nella debolezza dei martiri, la forza dello dello Spirito di Cristo

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Il blog di Simone Venturini - pubblicato il 21/04/15

La persecuzione non è solo quella del sangue ma anche quella dell'ostracismo

A immagine del chicco di grano caduto a terra per morire e portare molto frutto (Cfr Gv 12,24), il sangue dei martiri è “seme di nuovi cristiani”, così il filosofo Tertulliano riassume il senso più profondo del martirio. La Chiesa ha da sempre custodito la memora dei martiri, essendo nata dalla suprema testimonianza di Gesù sulla Croce, “scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani, ma Sapienza e Potenza di Dio per i chiamati, giudei o greci” (Cfr 1 Cor 1,23-24), per cui nella follia della Croce Cristo ha lasciato un esempio, affinché i battezzati in Lui ne seguano le orme (Cfr 1 Pt 2,21).

L’etimo della parola “martire”, dal greco martys (μάρτυς) cioè “testimone”, rispecchia la fedeltà del cristiano nella sua forte presa di posizione a favore del Vangelo della Verità, anche a costo di sacrificare la propria vita: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Il diacono Stefano fu il primo a “sporcarsi le mani”, in quanto annunciò con franchezza la Parola nonostante i capi del popolo lo accusassero di bestemmia e lo intimassero a ritrattare, fino a che non subì la lapidazione.

A partire da Stefano, il Mistero della Croce ha spinto tanti uomini e donne battezzati di ogni dove e tempo a dare la vita per il Signore e il loro sangue è ancora oggi linfa vitale per la Chiesa e, aldilà di ogni differenza confessionale, si realizza quello che Papa Francesco definisce “ecumenismo del sangue”. In occasione della fondazione del Forum sulla cristianofobia nel 2011, Papa Benedetto XVI espresse forte preoccupazione riguardo l’aumento delle persecuzioni contro i cristiani e oggi quella denuncia risuona più accorata. Papa Francesco ha osservato che in questi ultimi due secoli vi sono più martiri cristiani rispetto agli inizi della storia della Chiesa.

Non c’è da stupirsi, viste le tante vittime cristiane dall’eccidio degli armeni fino ai nostri giorni. In Iraq e Siria l’ISIS semina terrore e uccide chiunque si opponga alla Sharia (cristiani primi fra tutti) con esecuzioni pubbliche: sgozzamenti, decapitazioni e crocifissioni e anche i rapimenti sono all’ordine del giorno, inoltre ora minaccia anche noi attraverso i jihadisti occidentali, detti “foreign fighters”. Stesso terrore imperversa in Libia e poi in Nigeria per mano di Boko Haram. In Arabia Saudita e nello Yemen è proibito costruire chiese, portare croci e vendere copie della Bibbia. In Pakistan tanti cristiani sono imprigionati ingiustamente o uccisi a causa della legge sulla blasfemia, detta “legge nera”. In altri paesi del sudest asiatico, come Filippine e Malesia, buona parte dei mussulmani perseguita la comunità cristiana con atti discriminatori e attacchi alle chiese; in India i cristiani subiscono violenze da parte dei fondamentalisti indù e in Cina e Corea del Nord sono ancora perseguitati da regimi ateo-comunisti. Non solo esiste una persecuzione sanguinosa, ma anche una subdola e sottile.

Oggi l’Occidente, che tanto ama definirsi “mondo libero”, tenta di relegare la religione alla sfera privata per un disprezzo dettato da un laicismo dominante che si dichiara tollerante verso qualsiasi forma di pensiero, ma non permette l’affermazione dell’unica verità assoluta e definitiva, ciò spiega l’atteggiamento ostile verso la morale cristiana. Vi sono diversi segni di questa aggressività. Penso al decreto del Pentagono uscito a metà 2013 che pone serie restrizioni alla libertà religiosa nell’esercito degli Stati Uniti, alla persecuzione contro i medici obbiettori; ma il segno più eclatante è la veemente affermazione dell’ideologia gender che, ammantata di falsi umanesimo ed egualitarismo, mira alla ridefinizione del matrimonio e alla distruzione della famiglia attraverso una “colonizzazione ideologica”. Nessuno s’illuda, noi non siamo migliori dei cristiani che muoiono per la loro fede, né tanto meno del Maestro: “Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re a causa mia” (Mt 10,17-18); “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20).

In questo momento storico di grande confusione e disastro morale, non vedo lontano il tempo in cui noi, Chiesa che è in Occidente, combatteremo le stesse battaglie che i cristiani dell’Europa dell’Est combatterono sotto il Comunismo, per questo con la certezza che “né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separaci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,38-39), vogliamo chiedere allo Spirito il dono della Fortezza per rimanere ancorati alla nostra fede e sentirci uniti a tutta la Chiesa nella buona battaglia (Cfr 2 Tm 4,7), con sguardo attento alla testimonianza coraggiosa di tanti nostri fratelli che effondono il sangue, per di più credo che il Centenario del genocidio armeno (1915-2015) sia particolarmente per noi cristiani un forte richiamo all’unità e a essere costruttori di pace, “pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi” (Cfr 1 Pt 3,15).

Al contrario, basta staccarsi un po’ dalla vera fede che basta un niente per perderla. Chi dunque ci assicura che nessuno c’imprigionerà per la nostra fede o non morremo martiri, come succede a tanti nostri fratelli e sorelle in Cristo?

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