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Gli Archivi Segreti mostrano che il Vaticano cercò di fermare il genocidio armeno

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AP Photo/Thanassis Stavrakis

A child holds an Armenian flag as she passes lighted candles during an annual rally by Armenians who live in Greece in Athens, on Thursday, April 24, 2014. About 600 people took part in the rally to the Turkish Embassy in the 99th anniversary of the genocide that killed an estimated 1.5 million Armenians by Ottoman Turks. (AP Photo/Thanassis Stavrakis)

Diane Montagna - Aleteia - pubblicato il 15/04/15

Nuovi documenti rivelano la verità sullo sterminio dei cristiani da parte dei turchi

Perché i commenti controversi di papa Francesco sul “genocidio armeno” hanno provocato tanta indignazione in Turchia?

Per aiutare a comprendere la vera storia che sta dietro le atrocità del 1915-16, Aleteia ha intervistato lo storico e autore tedesco Michael Hesemann, che domenica 12 aprile si trovava a Roma per la Messa nella basilica di San Pietro per commemorare il 100° anniversario del genocidio, noto anche come Metz Yeghern (il Grande Male).

Le atrocità hanno comportato lo sterminio sistematico da parte del Governo ottomano della minoranza armena nella sua patria storica, situata nel territorio che costituisce l'attuale Turchia. Il numero totale di persone uccise in quello che è noto anche come Olocausto armeno è stimato tra il milione e il milione e mezzo.

Nel suo nuovo libro intitolato Völkermord an den Armeniern (Il genocidio armeno), Hesemann rivela per la prima volta il contenuto di documenti inediti sul “più grande crimine della I Guerra Mondiale” e su come papa Benedetto XV e la diplomazia vaticana abbiano cercato di fermare le deportazioni degli armeni nel deserto siriano, salvare le vittime e impedire il massacro di un intero popolo.

In questa intervista, Hesemann condivide le sue scoperte, che includono prove del coinvolgimento massonico, ed esprime la sua ammirazione per papa Francesco per aver attirato l'attenzione sul genocidio di cristiani e minoranze etniche e la delusione per l'assenza dell'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede alla Messa commemorativa di domenica.

Dottor Hesemann, cosa l'ha portata a scrivere un libro su ciò che rivelano sul genocidio armeno i documenti contenuti negli Archivi Vaticani?

In realtà è stata una specie di coincidenza. Lavoro come storico per la Pave the Way Foundation in uno studio intensivo di tutti gli aspetti della vita di Eugenio Pacelli, l'uomo che è poi diventato papa Pio XII.

Dal 1917 al 1925, Pacelli è stato nunzio a Monaco, per cui ho analizzato i documenti della Nunziatura Apostolica a Monaco scoprendo una cartella dal titolo “Persecuzione degli armeni”.

L'ho aperta e ho trovato una lettera dell'arcivescovo di Colonia, il cardinale von Hartmann, al cancelliere del Reich, Graf (conte) Härtling, in cui definiva la persecuzione degli armeni “non meno brutale delle persecuzioni dei cristiani nei primi secoli del cristianesimo”. L'arcivescovo richiedeva, purtroppo invano, un urgente intervento tedesco.

Nello stesso documento ho trovato la copia di una lettera scritta da papa Benedetto XV al sultano in cui chiedeva misericordia per gli armeni innocenti. Questi documenti mi hanno colpito e hanno stimolato la mia curiosità. Sentivo di aver toccato la punta di un iceberg ed ero sicuro che avrei trovato altre informazioni, e infatti è avvenuto – finora parliamo di circa 2.500 pagine.

Ho capito presto che nessuno storico aveva mai lavorato sulla maggior parte di questi documenti, e che tutte quelle informazioni erano ovviamente ignote anche ai massimi esperti del genocidio degli armeni.

Vista l'importanza del loro contenuto, ho deciso di scrivere un libro inserendo i documenti nel contesto di quello che già sappiamo sugli eventi del 1915-18.

Qual è stato l'elemento più sorprendente e inaspettato che ha scoperto negli Archivi Vaticani sul genocidio armeno?

L'elemento più sorprendente è stato il fatto che il genocidio armeno era solo una parte di un progetto più ampio – lo sterminio di tutte le minoranze non musulmane presenti nell'Impero Ottomano.

Il movimento dei Giovani Turchi al potere era giunto in contatto con le idee europee di nazionalismo e con il concetto che solo uno Stato omogeneo può essere forte. È per questo che credeva che la debolezza dell'Impero Ottomano fosse causata dal suo carattere multireligioso e multietnico.

Voleva “guarire” questa “debolezza” eliminando tutti gli elementi stranieri, che in primo luogo significava i cristiani, che all'inizio del 1914 rappresentavano il 19% della popolazione. Oltre agli armeni, sono stati perseguitati e assassinati anche i cristiani aramaici e assiri, i cristiani cattolici e quelli greci ortodossi.

L'affermazione turca dell'esistenza di una cospirazione tra la Russia e alcuni leader armeni non era altro che una menzogna per giustificare quelle misure. Se fosse stato davvero così, perché uccidere anche donne e bambini innocenti? E perché non risparmiare gli altri gruppi cristiani, che non avevano mai destato sospetti? In base a un rapporto a Berlino, il segretario degli Interni turco, Talaat Bey, disse piuttosto francamente a Johann Mordtmann, dell'ambasciata tedesca: “Il Governo (turco) usa la guerra per sbarazzarsi dei nostri nemici interni – i cristiani locali di tutte le denominazioni – senza interventi diplomatici da parte di Nazioni straniere”.

Questo è anche ciò che si legge in alcuni documenti vaticani, ad esempio in un rapporto scritto da padre Michael Liebl, un missionario cappuccino austriaco che insegnò nella città di Samsun: “Non gli armeni, ma i cristiani sono stati condannati (a morte) in un incontro segreto dei Giovani Turchi cinque o sei anni fa a Tessalonica”.

Quali misure prese a livello diplomatico Benedetto XV per aiutare a salvare gli armeni dalla deportazione nel deserto siriano?

Già nel giugno 1915 il Vaticano aveva una vaga idea di ciò che era accaduto nell'Anatolia orientale. Un mese dopo non c'erano dubbi sull'orribile massacro perpetrato contro la maggior parte della popolazione maschile armena. Per tutto l'agosto 1915, monsignor Dolci – delegato apostolico a Costantinopoli – fece tutto ciò che era umanamente possibile per intervenire a livello diplomatico, ma senza successo.

Quando i drastici resoconti giunsero in Vaticano nel settembre 1915, papa Benedetto XV non volle perdere altro tempo e decise di agire: inviò un testo autografo al sultano Mehmet V chiedendo misericordia per gli armeni, ma i turchi rifiutarono perfino di riceverlo. Per due mesi, monsignor Dolci provò a fare di tutto per consegnarlo al destinatario, ma non venne ricevuto dal sultano.

Solo quando chiese aiuto sia all'ambasciatore tedesco che a quello austriaco gli venne concessa un'udienza. Quando, quattro settimane dopo, il sultano rispose, la maggior parte delle deportazioni era già stata completata. Tutte le promesse dei turchi di porre fine ai massacri o di risparmiare un gruppo o l'altro – o di permettere loro di tornare a casa – risultarono delle bugie.

Papa Benedetto riferì del fallimento di qualsiasi intervento diplomatico nella sua allocuzione ai cardinali nel concistoro del 6 dicembre 1915, nel quale parlò del popolo armeno dicendo che era stato quasi completamente sterminato.

Nel giugno 1916, il patriarca cattolico armeno informò la Santa Sede: “Il progetto di sterminio degli armeni in Turchia è ancora in atto. (…) Gli armeni in esilio… sono continuamente portati nel deserto e lì privati di tutte le risorse vitali. Periscono miseramente per fame, malattie e clima estremo. (…) È certo che il Governo ottomano ha deciso di eliminare il cristianesimo dalla Turchia prima che la Guerra Mondiale abbia fine. E tutto questo accade davanti al mondo cristiano”.

Perché sta venendo alla luce solo ora?

Buona domanda. Ovviamente i documenti del pontificato di Benedetto XV sono stati resi disponibili solo dagli anni Novanta del Novecento. Oltre a questo, non sono molti gli storici che vi hanno accesso, e forse nessuno aveva idea di ciò che vi avrebbe trovato – è solo un'ipotesi.

Tra i documenti contenuti nel suo libro, lei inserisce una lettera scritta dal superiore dei cappuccini a Ezrurum, padre Norbert Hofer, al Vaticano nell'ottobre 1915, nella quale si legge: “La punizione della Nazione armena (per presunte sollevazioni) è solo un pretesto usato dal Governo turco massonico per sterminare tutti gli elementi cristiani in questo Paese”. Molti lettori potranno restare sorpresi sentendo menzionare i massoni in relazione al genocidio armeno, soprattutto alla luce del desiderio dell'epoca di unire la Turchia all'islam sunnita come religione di Stato. Può spiegare come il fattore massonico entri nel genocidio armeno, e chi siano i Giovani Turchi ai quali si è riferito in precedenza?

Certamente. Sarebbe facile e piuttosto populista biasimare l'islam per il genocidio armeno, soprattutto perché stiamo affrontando gli orribili eventi della nostra epoca nella stessa regione, con il massacro da parte dello Stato Islamico nei confronti di cristiani e yazidi nel nord della Siria e in Iraq.

Nessuno dei politici responsabili, né Talaat né Enver né Djemal Pasha, era un musulmano fanatico. I Giovani Turchi erano tutt'altro che fondamentalisti. Costituivano un giovane movimento rivoluzionario avviato da accademici turchi che avevano studiato nella maggior parte dei casi a Parigi, dove erano entrati in contatto con gli ideali sia della massoneria che del nazionalismo europeo. Molti di loro vennero accettati dalle logge massoniche, e la loggia di Tessalonica divenne una sorta di quartier generale nazionale per loro.

Talaat Bey – l'uomo responsabile del genocidio degli armeni – era perfino Gran Maestro del Grande Oriente della Massoneria turca. È un fatto storico. L'ideologia dei Giovani Turchi può essere descritta come un “protofascismo”, solo che la razza non giocava alcun ruolo come elemento unificatore, visto che non esiste un turco “puro a livello razziale”. In questo era sostituita dalla religione, nella fattispecie l'islam sunnita.

L'islam è stato quindi strumentalizzato per ragioni politiche. Dava a tutti coloro che erano coinvolti nei massacri una giustificazione delle loro azioni. Dietro di questo, però, c'era il piano generale di un'ideologia politica, che faceva un uso scorretto della religione per i propri scopi, cercando così l'omogeneizzazione della Nazione turca.

Come storico che ha studiato in modo approfondito gli eventi e le circostanze del genocidio armeno, soprattutto quelli documentati negli archivi vaticani, cosa pensa della reazione turca alle dichiarazioni di papa Francesco di domenica, nelle quali ha definito il massacro armeno un “genocidio”?

Sono molto grato al Santo Padre. Domenica non solo abbiamo assistito a una commemorazione bellissima, degna e solenne del martirio armeno, ma abbiamo anche sperimentato la vittoria della verità sulla diplomazia.

Se sapete con quanto fanatismo la Turchia cerca con ogni mezzo di ridimensionare gli eventi del 1915-1916, se seguite la cronologia delle sue minacce a Nazioni molto più grandi e molto più potenti del Vaticano – Nazioni come la Francia, la Germania e gli Stati Uniti –, potete farvi un'idea di cosa comporti prendere posizione e definire un “genocidio” quello che è stato realmente il primo genocidio del XX secolo. Grazie, papa Francesco! Che papa grande, splendido, politico, che ha agito come coscienza morale del mondo e ci ha insegnato che, come cristiani, non dovremmo mai temere la verità.

La reazione turca a questa coraggiosa affermazione era prevedibile. È sempre la stessa. Si dice che il papa è stato male informato, anche se sa la verità dai propri archivi. A proposito, quando è che i turchi apriranno i loro?

I turchi hanno addirittura parlato di razzismo. Dovremmo pensare che dal punto di vista turco non è affatto razzista uccidere quasi un'intera Nazione, un gruppo etnico e religioso, ma è razzista definire tutto questo un genocidio?

È molto triste che i turchi non capiscano come si escludono dalla comunità delle Nazioni civili con atti come questo. Intendo dire che sono tedesco e la mia Nazione ha commesso il crimine più orribile che si sia verificato nella storia, la Shoah, ma almeno abbiamo ammesso di averlo commesso, ce ne rammarichiamo profondamente e abbiamo cercato di fare il possibile per la riconciliazione e la compensazione.

Come cattolico, credo che ogni peccato e ogni crimine possa essere perdonato, se lo si confessa e ci si pente. Ma quello di cui non ci si pente e che non si confessa non può essere perdonato. La Turchia ha solo una possibilità per superare il trauma e la colpa del capitolo più nero della sua storia, ed è confessare e pentirsi! E tutti perdoneremo. In caso contrario, queste ferite saranno sempre aperte, anche dopo cent'anni.

Quali lezioni ci offre oggi la storia del genocidio armeno, soprattutto alla luce dell'attuale persecuzione dei cristiani in Africa e in Medio Oriente?

Se c'è una lezione che dovremmo imparare dal genocidio armeno, è questa: non voltatevi mai, non guardate mai da un'altra parte quando il vostro fratello subisce una persecuzione.

Tutti noi, tutte le Nazioni del mondo civile e in primo luogo la Germania – alleata della Turchia –, condividiamo la colpa turca, perché tutti abbiamo permesso che accadessero questi fatti. Per opportunismo, per il fatto di aver dato la priorità ad altri fattori, per quella che papa Francesco ha giustamente definito la “globalizzazione dell'indifferenza”, che è così negativa. “Caino, dov'è tuo fratello Abele?” È per questo che nessuno potrà mai dire di non avere nulla a che fare con il genocidio armeno, l'Olocausto o il destino dei nostri fratelli cristiani in Siria e in Iraq.

Perché ignorare il loro destino e la loro sofferenza rende anche noi colpevoli. Non evitare un crimine che viene commesso davanti ai nostri occhi ci rende complici di chi lo perpetra. Non dovremmo mai essere all'oscuro, non dovremmo mai essere indifferenti, ma dovremmo imparare ad agire responsabilmente.

È per questo che mi sono vergognato tanto quando, tra tutti i diplomatici presenti nella basilica di San Pietro quella mattina per commemorare i martiri armeni, l'unico assente era Annette Schavan, l'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede. Soprattutto visto che, come ho spiegato prima, la Germania, in quanto alleato della Turchia, ha una responsabilità particolare per quel martirio. Nel caso della Schavan, l'opportunismo ha prevalso sulla verità. Ed è una vergogna. Possiamo essere gente del futuro solo se non abbiamo paura del passato.

[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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