La Pasqua è il culmine della vita cristiana e la solennità più grande di tutta la vita liturgica della Chiesa
La Pasqua è il culmine della vita cristiana e la solennità più grande di tutta la vita liturgica della Chiesa
. La celebrazione della Veglia Pasquale si divide in quattro momenti ugualmente importanti e ricchi di significato: la liturgia della Luce, la liturgia della Parola, la liturgia Battesimale e la liturgia Eucaristica.Il termine “Pasqua” – così come indica l’ebraico Pesach – significa “passaggio”: è la festa del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce. E’ per questo che – nella ricchezza di simboli pieni di significati – quello del cero pasquale assume un significato primordiale: è il simbolo di Cristo, “nostra luce”, che illumina le tenebre del peccato in cui il mondo viveva prima della sua Incarnazione e in cui spesso si trovano i nostri cuori. La luce del cero pasquale illuminerà ogni celebrazione durante i cinquanta giorni di Pasqua (la cinquantina pasquale) e verrà spento solennemente terminata la veglia di Pentecoste.
LE API NELLA “LAUS CEREI”
L’importanza del cero pasquale, solennemente acceso nella Notte Santa, si evince anche dall’ampio spazio che gli dedica l’antico inno dell’Exultet – riportato nel Messale Romano – che annuncia il glorioso evento della Risurrezione di Gesù. E’ per questo che, nella storia, questi inni pasquali venivano anche chiamati Laus Cerei.
In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode,
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri,
nella solenne liturgia del cero,
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.
Riconosciamo nella colonna dell’Esodo
gli antichi presagi di questo lume pasquale
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio.
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore,
ma si accresce nel consumarsi della cera
che l’ape madre ha prodotto
per alimentare questa preziosa lampada.
Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero,
offerto in onore del tuo nome
per illuminare l’oscurità di questa notte,
risplenda di luce che mai si spegne.
Salga a te come profumo soave,
si confonda con le stelle del cielo.
Lo trovi acceso la stella del mattino,
questa stella che non conosce tramonto:
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena
e vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen.
In questo brano dell’Exultet (o Preconio Pasquale) per ben due volte si fa riferimento alle api che producono la cera con la quale si confeziona il cero e si alimenta la simbolica fiamma.
LE API NELL’ANTICO EGITTO E NELLA GRECIA
Nella mitologia e nella religione dell’antico Egitto, così come nella letteratura classica greca, le api e il miele hanno un significato misterioso legato al mondo delle divinità. Il miele è il cibo degli dei, dolce al palato, che scende dal cielo creando un ponte tra il cielo e la terra; è segno di purezza, di castità e di dolcezza. Le api sono il simbolo del culto a diverse divinità di Corinto, Efeso e Creta. Sia in Egitto che in Grecia si trovano testimonianze della presenza del miele in alcuni riti funebri come alimento destinato alla vita ultraterrena.
LE API NELLA BIBBIA
Nella Bibbia (soprattutto nell’AT) l’ape è un archetipo dal significato polivalente, come molti simboli (oggetti, elementi naturali o esseri animali). L’ape è il simbolo dell’operosità, del lavoro instancabile, dello zelo come si legge nel testo greco dei Proverbi:
“Va verso l’ape e osserva com’è laboriosa e quanto è nobile l’opera che essa compie. Re e cittadini, per la loro salute, usano i suoi prodotti; è ricercata e famosa presso tutti, benché debole sotto l’aspetto della forza, i distingue per aver onorato la sapienza” (LXX. Prov. 6,8)
L’ape è anche simbolo di organizzazione e di metodo nel lavoro per costruire il nido e produrre il miele e la cera; è anche il simbolo della bontà che va al di là delle apparenze: “L’ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto è il migliore tra le cose dolci” (Sir 11,3), per questo è stata anche interpretata come immagine di Israele o della Vergine Maria. Ma d’altra parte l’ape è anche il simbolo dei nemici che attaccano il giusto da ogni parte: “Mi hanno circondato come api” (Sal 117,12). I popoli nemici sono paragonati a insetti fastidiosi: “In quel giorno il Signore farà un fischio alle mosche che sono all’estremità dei canali d’Egitto e alle api che si trovano in Assiria” (Is 7,18).
Il miele, frutto del lavoro delle api, è un dono della bontà e predilezione di Dio: “Lo sazierei con miele dalla roccia” (Sal 81,17); simbolo della dolcezza dei giudizi di Dio che sono “più dolci del miele e di un favo stillante” (Sal 19,11b); simbolo dell’amore: “Le tue labbra stillano nettare, c’è miele e latte sotto la tua lingua” (Ct 4,11); simbolo della terra promessa, una “terra dove scorrono latte e miele” (Es 3,8; 3,17; 13,5 Et al.); anche la “manna”, cibo sceso dal cielo per alleviare il cammino di Israele nel deserto, “aveva il sapore di una focaccia con miele” (Es 16,31); Il miele è il cibo dei consacrati a Dio come Giovanni (Mt 3,4) e come il bambino-Messia annunciato da Isaia che “mangerà panna e miele” (Is 7,15).
LE API E I PADRI DELLA CHIESA
I Padri della Chiesa, sempre sensibili alle metafore tratte dalla vita quotidiana e dalla natura, hanno più volte fatto riferimento alle api nelle loro omelie o catechesi. L’operosità e l’efficacia dell’ape è lodata da Clemente Alessandrino: “L’ape succhia dai fiori di un intero prato per trarne un unico miele”. Teoletto di Filadelfia cita le api come un esempio da seguire, un modello per la vita delle comunità monastiche: “Imitate la saggezza dell’ape!”. Sant’Ambrogio di Milano compara la Chiesa a un arnia dove le api (i cristiani) lavorano con zelo e fedeltà ricercando, ed ottenendo, il meglio da ogni fiore: il miele. Anche Bernardo di Chiaravalle parlò delle api considerandole simbolo della Spirito Santo che vola e si alimenta del profumo dei fiori.
L’ape è anche considerata immagine di Cristo per il suo miele ma anche per il suo pungiglione: è la misericordia (dolcezza) unita alla giustizia (forza). Per Origene l’acqua disseta il pellegrino durante il cammino nel deserto, ma, giunti alla meta, il miele è l’alimento della ricchezza e della vittoria, è il nutrimento dei mistici, il dolce cibo promesso.
IL PAPA PIO XII SUL RUOLO DELLE API
Anche il papa Pio XII ha dedicato elogi alle api, alla loro organizzazione e ai frutti del loro lavoro; lo ha fatto il 22 settembre del 1958 in un discorso ai partecipanti del 17° Congresso Internazionale di Apicoltori convenuti a Roma per l’evento. In quella occasione il papa definiva il mondo delle api come un mondo sorprendente per la mente umana che, fin dai tempi antichi,espresse interesse e curiosità per questi laboriosi insetti.
Dall’attività delle api – sottolineava papa Pacelli – gli uomini ricavano innumerevoli benefici. Prima ancora di parlare del miele (“il prodotto più caratteristico” dalle “preziose proprietà nutritive”), il papa parlò dell’importanza della cera opera di queste “infaticabili lavoratrici”. “Se consideriamo che le candele, destinate all’uso liturgico, devono essere confezionate – interamente o per la maggior parte – con questa cera, dobbiamo ammettere che le api aiutano in qualche modo l’uomo a compiere il suo dovere supremo: quello della religione”.
La perfetta organizzazione della società dell’alveare (una “città industriale dove si lavora in modo assiduo e ordinato”) offriva a Pio XII l’occasione per una riflessione sulla saggezza e intelligenza divina. Se la scienza riconosce nella società delle api una straordinaria capacità organizzativa e una imparagonabile precisione matematica, la filosofia deve escludere che l’intelligenza che rende possibile questa sorprendente realtà sia quella delle api (incapaci di capire e di progredire ma solo di obbedire a un istinto innato): l’origine è da ricercare altrove.
“Cosa concludere se non che l’intelligenza che dirige l’organizzazione dell’alveare e la vita delle api è quella di Dio,che ha creato cielo e terra, che ha fatto germogliare le erbe e i fiori e ha dotato di istinto gli animali? Noi vi invitiamo, cari figli, a vedere l’opera del Signore nell’alveare, davanti al quale rimaniamo meravigliati. Adoratelo, dunque, e lodatelo per questo riflesso della sua divina saggezza; per il cero che si consuma sugli altari, simbolo delle anime che desiderano ardere e consumarsi per Lui; lodatelo per il miele, che è dolce, ma meno delle sue parole, che il salmista definisce ‘più dolci del miele’ (Sal 119,103).
Alla fine del discorso, il papa incoraggiava agli apicoltori a rinforzare la loro fede augurandogli di arrivare a gustare la dolcezza del miele promesso dal Signore:
“Cari figli, che studiate il mondo misterioso e meraviglioso delle api, gustate e vedete, per quanto è possibile qui sotto, la dolcezza di Dio. Un giorno gusterete e vedrete in cielo che l’oceano della sua luce e del suo amore eterno è infinitamente più dolce del miele”.