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Tratta di persone: il mio difficile cammino da quando sono uscito da quell’inferno

Calle de Uganda – it

© Rod Waddington / Flickr / CC

Uganda

Crónica blanca - pubblicato il 24/03/15

Bekunda Sundey spiega com'è riuscito a superare i suoi traumi e il suo sogno di aiutare altre vittime

Bekunda Sundey è uno dei pochi fortunati ad essere riusciti a fuggire dal proprio passato e oggi è già recuperato. Purtroppo, ci sono molti bambini che come lui sono stati sequestrati e costretti a diventare bambini-soldato e non hanno potuto riprendersi dalle conseguenze psicologiche di questo tragico fatto.

Sundey è un giovane ugandese che è stato sequestrato da un gruppo di ribelli quando era ancora un bambino. Dopo anni di sofferenza, già adulto, è riuscito a uscire dall'inferno della sua quotidianità per iniziare una nuova vita. Ma qualcosa non andava. Aveva perso la sensibilità, non era più lo stesso.

Neanche lui comprendeva il motivo del suo comportamento. Si irritava per un nonnulla, il suo umore cambiava costantemente e si sentiva emotivamente squilibrato. È stato ricoverato nell'ospedale di Butabika.

Butabika è l'ospedale di riferimento di tutto l'Uganda per quanto riguarda la salute mentale, secondo i criteri del Ministero della Sanità ugandese. Il centro sanitario si trova nel quartiere di Butabika (da cui prende il nome) a Kampala, la città più grande del Paese. Lì Sundey si è sottoposto a degli esami per capire cosa gli stava succedendo.

“Si sono resi conto che non ero pazzo, ma agivo così per la situazione che avevo vissuto. Sono stato trasferito nel reparto post-traumatico. Si sono accorti che avevo subìto un trauma dopo quello che mi era successo. Continuavo ad essere consapevole della mia situazione, ma avevo alcune lacune mentali”, ha spiegato.

Bekunda ha avuto bisogno di un trattamento intensivo di vari mesi durante il quale gli sono stati somministrati vari tipi di farmaci e ha seguito una terapia psicologica per superare i suoi traumi. Malgrado tutto, il passo definitivo per poter superare il suo passato traumatico dipendeva da lui.

I medici gli chiedevano di parlare con la gente di quello che gli era accaduto, perché solo accettando il problema e parlandone senza tabù avrebbe potuto superare la cosa. “Mi hanno consigliato di condividere la mia storia con gli altri pazienti. Anche le persone che mi venivano a far visita me lo hanno consigliato. Queste persone hanno lavorato sodo con me per tre mesi, il che è stato molto positivo”.

Il caso di Bekunda è uno dei tanti. L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sostiene che le frontiere porose dell'Uganda favoriscono le attività trasnfrontaliere illegali di questo tipo, e informa che tra il 2008 e il 2013 è riuscita a identificare e ad aiutare 72 ugandesi vittime della tratta di persone.

Per porre fine a questo abuso, ha pubblicato un rapporto nell'ultimo quadrimestre dell'anno passato denunciando la situazione e annunciando che avrebbe collaborato con l'Interpol creando un programma chiamato STOP (Smuggling Training and Operation Program). Questa iniziativa è stata la prima del genere nel Paese africano.

Al programma STOP hanno partecipato, tra gli altri, il gruppo di lavoro dell'Interpol che gestisce i problemi di frontiera (IBMTF), la Direzione per l'Immigrazione e la Cittadinanza di Controllo (DCIC), la polizia ugandese, l'organizzazione di sicurezza interna e quella di difesa esterna.

22 partecipanti hanno offerto il proprio apporto, sia teorico sulle azioni nel campo della lotta al traffico illegale di esseri umani che pratico con una sessione all'aeroporto di Entebbe per poter applicare quanto imparato durante la sessione.

Servirebbero più centri come quello di Butabika, in cui le vittime possano essere curate con un'attenzione personale che ne garantisca il recupero.

“Se Dio mi benedice voglio aprire un'organizzazione”, ha confessato Bekunda. “Un'organizzazione in Uganda che abbia un centro di accoglienza per persone vittime della tratta perché non è un problema finito. La mia salute oggi è buona, il mio corpo sta bene, il mio sangue è pulito. Suppongo di essere sopravvissuto a tutto questo per poter dare una testimonianza viva di ciò che accade, e non voglio rimanere in silenzio”.

L'8 febbraio scorso, papa Francesco ha rivolto un appello ai Governi a combattere la “ferita aperta” del traffico di persone.

Durante la recita dell'Angelus, ha chiesto ai massimi responsabili di tutti i Governi di aiutare “uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati”.

L'8 febbraio è la giornata dedicata alla lotta alla tratta di esseri umani. In quella data si ricorda la figura di Santa Giuseppina Bakhita, una schiava sudanese che in Italia ottenne la sua liberazione e divenne un punto di riferimento per tutte le persone in quelle tragiche condizioni.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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