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Quando i benefattori peggiorano le cose

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padre Dwight Longenecker - pubblicato il 18/03/15

Anche la carità può essere “tossica”

La scrittrice inglese Alice Thomas Ellis ha descritto come dopo una Messa un sabato pomeriggio d'inverno nella cattedrale di Westminster un sacerdote affettato abbia detto ai presenti di non dare denaro ai senzatetto che chiedevano l'elemosina alla porta del tempio.

“Non date loro denaro!”, ha esortato. “Lo spenderanno solo per bere!”

La Ellis, con tono scherzoso, ha commentato: “Mi sono detta, 'Se fossi una senzatetto a febbraio, la prima cosa di cui avrei bisogno sarebbe un buon goccetto'. Per cui sono andata subito a mettere una banconota da cinque sterline nella mano del questuante più vicino”.

Questo episodio illustra le difficoltà che affronta ogni seguace di Gesù Cristo. Dovremmo aiutare i poveri, ma come lo facciamo? Un sacerdote di mia conoscenza che svolge un lavoro ammirevole con i poveri dice ai suoi ricchi parrocchiani: “Date loro del denaro. Loro ne hanno bisogno, e voi avete bisogno di donare”. Forse sì e forse no.

Sono parroco di una piccola parrocchia nella zona più difficile di una cittadina prosperosa. Greenville, South Carolina, è famosa come sede della Bob Jones University. La parte settentrionale del South Carolina è più rossa di un'aragosta con un eritema solare, e nessuno chiede scusa per il fatto di aggrapparsi al proprio fucile e alla propria religione.

Ma non siamo tutti rednecks [termine utilizzato, spesso in modo dispregiativo, per indicare i bianchi degli stati meridionali degli Stati Uniti d'America, n.d.t.]. Greenville è anche sede del quartier generale nordamericano della Michelin e della BMW. C'è la famosa Clemson University. L'esclusiva Furman University è all'inizio della città, e il centro di Greenville è indicato nei libri come modello per un rinnovamento urbano di successo. C'è una vivace atmosfera cosmopolita con una miriade di bei ristoranti, gallerie, sale da concerto e strutture sportive.

La mia parrocchia, però, è situata a un incrocio della grande arteria nord-sud I-85. Circondata da hotel, ristoranti e pompe di benzina che prosperavano trent'anni fa, la zona attorno alla nostra parrocchia è una delle ombre di Greenville. Le pompe di benzina, gli hotel e i ristoranti che non sono sprangati sono diventati il rifugio di prostitute, spacciatori e membri delle gang. Quelle che una volta erano abitazioni della classe media sono state occupate da immigrati dal basso reddito, indigenti, persone con dipendenze e disabili.

Ma noi siamo ancora lì come testimonianza cattolica. La nostra piccola scuola parrocchiale è aperta, stiamo costruendo una nuova chiesa e cerchiamo di raggiungere i bisognosi. Per decenni abbiamo gestito un servizio di distribuzione alimentare di successo. Il sabato mattina i nostri parrocchiani distribuiscono generi alimentari a chi si accalca al freddo per ricevere un aiuto. Non siamo soli. Avviene in tutta questa prosperosa città a maggioranza cristiana.

Ho chiesto al massiccio e schietto direttore di una delle principali associazioni caritative battiste cosa voglia dire essere senzatetto e affamato a Greenville.

“Affamato a Greenville?”, ha ridacchiato. “Se sei affamato a Greenville e sai dove andare puoi ottenere tre pasti cucinati al giorno gratis ogni giorno dell'anno”.

“Anche a Natale?”

“Soprattutto a Natale”.

“Fa bene?”

“Non sono affamati”, ha ammesso. “È tutto qui”.

Chi gestisce le mensa per i poveri, i rifugi per senzatetto, i centri per la distribuzione di alimenti e i programmi di welfare affronta costantemente il dilemma del sacerdote affettato e del battista schietto. “Stiamo davvero aiutando le persone dando loro semplicemente del cibo, una zuppa e un panino?” Non hanno bisogni più importanti? Dando aiuti, non siamo come i familiari di un alcolizzato che cercano scuse, chiudono un occhio, lo tirano fuori dai guai e lo sostengono? Non stiamo incoraggiando la dipendenza e favorendo l'indigenza? I sussidi non sono umilianti?

L'autore di Atlanta Robert D. Lupton pone queste difficili domande nel libro provocatorio Toxic Charity (Carità tossica)Basandosi sulla sua esperienza quarantennale in progetti di rinnovamento urbano di prima linea, Lupton sfida la concezione cristiana americana dell'azione caritatevole, sostenendo che gli aiuti non solo non alleviano la povertà, ma la incoraggiano. Lupton usa l'Africa come esempio su ampia scala. Dal 1964 il continente africano ha ricevuto ben più di un trilione di dollari in aiuti, ma considerando la situazione Paese per Paese, gli africani stanno peggio che in qualsiasi altro periodo. Il reddito complessivo pro-capite è inferiore a quello degli anni Settanta, e più della metà degli africani vive con meno di un dollaro al giorno. Citando l'economista africano e autore di Dead Aid Dambisa Moyo, Lupton afferma che la carità tossica è la “malattia della quale finge di essere la cura”.

I Governi e le ONG non sono gli unici bersagli di Lupton, che chiede perché spendiamo milioni nelle cosiddette “missioni” che troppo spesso trasformano i cooperatori sovraccarichi di lavoro e sottopagati in guide per adolescenti suburbani, minano il mercato lavorativo locale e incoraggiano un'ulteriore dipendenza. Parla anche delle comunità ecclesiali locali nel mondo sviluppato che non fanno niente se non fornire ospitalità senza fine e gestione logistica per i “turisti della povertà” che vanno per una settimana o due, guardano intontiti i poveri, dipingono qualche arredo per parchi giochi e poi se ne tornano a casa.

Con ingenuità scioccante e condiscendenza culturale grossolana, entriamo in altri Paesi e altre culture agitando i nostri portafogli e fornendo soluzioni spesso inappropriate, offensive e inefficaci a lungo termine. Lupton racconta storie di prima mano del suo lavoro tra i poveri di Atlanta, riferendo quanto i cristiani benintenzionati minino le comunità urbane locali con la carità fuori luogo che definisce “tossica”.

Qual è l'antidoto? Lupton suggerisce sei principi:

1. Non fate mai per i poveri ciò che possono fare da soli

2. Limitate le donazioni a senso unico alle emergenze

3. Date potere ai poveri attraverso l'impiego, i prestiti e sovvenzioni per investimenti ben progettate

4. Servite i poveri, non la vostra immagine

5. Ascoltate i bisognosi 

6. Non ferite

Che fare con una mensa tradizionale o con una distribuzione di viveri? Lupton suggerisce di passarla a quanti vengono aiutati. Alcuni punti di distribuzione di viveri sono diventati cooperative alimentari gestite dai poveri per i poveri. Con la proprietà e la gestione locale, il punto di distribuzione alimentare diventa un luogo di impresa comunitaria, autostima e orgoglio piuttosto che un esercizio settimanale di umiliazione per i poveri. L'antidoto alla carità tossica è impegnare e crescere con i bisognosi piuttosto che limitarsi a dare aiuti ai poveri.

Questo, però, richiede un duro lavoro, pazienza e disponibilità a vivere e a lavorare con i nostri vicini. Dobbiamo rimboccarci le maniche, sporcarci le mani e fare molti sacrifici più grandi di compilare semplicemente un assegno o distribuire cibo.

Nella mia parrocchia esiste un ottimo esempio dell'approccio giusto. The Turning Point [Il Punto di Svolta, n.d.t.] è stato fondato da Fred McCain, un alcolista di Brooklyn che ha perso il suo business ed è finito a dormire in macchina. Dopo il suo recupero, Fred ha aiutato il suo primo amico con una dipendenza a rifarsi una vita. Alla fine ha comprato uno degli hotel andati in rovina per ospitarvi uomini in via di recupero. Turning Point aiuta le persone con dipendenze a trovare un impiego e assicura il trasporto fino al posto di lavoro. Gli uomini vivono insieme nell'albergo, pagano un affitto e affrontano il loro programma di recupero. Visto che lavorano e contribuiscono, l'associazione si autofinanzia, non dipendendo da cene di gala e grandi campagne di finanziamento. È sobria e con i piedi per terra, e nelle mie visite ho visto uomini con un grande senso dell'orgoglio, dell'umorismo e della direzione e del significato della propria vita.

L'antidoto alla carità tossica è ricordare che quella “carità” è la parola dal sapore antico per “amore”. Il vero amore desidera il meglio per l'altro. Il vero amore non serve mai se stesso, ma ascolta sempre con attenzione l'altra persona – lavorandoci pazientemente per crescere verso tutto ciò che è bello, buono e vero. Se vogliamo davvero amare il nostro prossimo, dobbiamo sfidare le nostre motivazioni e i nostri metodi – cercando di evitare la carità tossica e di sviluppare una carità che sia allo stesso tempo dura e tenera e serva davvero i bisognosi.

——
Padre Dwight Longeneckerè parroco di Nostra Signora del Rosario a Greenville (South Carolina, Stati Uniti). Il suo ultimo libro è The Romance of Religion: Fighting for Goodness, Truth and Beauty. Il suo sito web è dwightlongenecker.com.

[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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