Per i cristiani è costruito sulla figura di Gesù Cristo, per gli islamici significa farsi testimoni di Dio
Una nostra lettrice ci chiede se ci sono differenze tra ciò che ispira il martirio cristiano e ciò che ispira quello islamico.
Per i cristiani è “testimonianza”
«Il martirio cristiano è anzitutto “testimonianza” – spiega padre Luciano Manicardi, biblista e priore della comunità di Bose – nell’antichità cristiana, prima di definire specificamente colui che versa il proprio sangue per fedeltà al Vangelo e a motivo di Cristo, il termine designava colui che dava la sua testimonianza di coerenza di fede davanti a un tribunale romano incorrendo in gravi rischi, anche, ma non necessariamente, nella pena capitale». Agostino affermerà che “non è il supplizio (poena) che fa i martiri, ma il motivo (causa)” (Sul Salmo 34, discorso II,13).
Per gli islamici è professione di fede “radicale”
Anche nell’Islam il termine che indica il martire, shahīd, significa “testimone”. «Il vocabolo della stessa radice che indica il martirio – precisa Manicardi – designa anche la professione di fede. Il martirio è pertanto la manifestazione più radicale della professione di fede».

Centralità di Gesù Cristo
Una differenza sostanziale tra le due “forme” di martirio, è che quello cristiano «è costruito sulla centralità della figura di Gesù Cristo: il martire cristiano si fa, mediante la fede come adesione personale, epifania nella sua vita e perfino nella sua morte della passione di Cristo e diviene una vivente memoria passionis».
Testimone di Dio
Il martire musulmano, invece «si fa testimone del Dio che è il primo testimone» (“Dio testimonia, e con lui gli angeli e i dotati di sapienza, che non v’è altro dio che Lui, certo: è Colui che mantiene la Giustizia. Non altro dio se non lui, il Potente, il Sapiente”: Corano 3,18). “Il Testimone”, prosegue il biblista, «è uno dei novantanove bellissimi nomi di Dio e la testimonianza è il primo dei cinque pilastri della fede islamica».
Abbandono, obbedienza, sottomissione
Il martirio dunque è ispirato «dalla volontà di vivere l’obbedienza, la sottomissione, l’abbandono fiducioso all’unico Dio, di servire Dio e Lui solo. Esso può avvenire anche a chi combatte “nella Via di Dio”» (“Non dite ‘morti’ coloro che sono uccisi sulla Via di Dio. Sono vivi, invece, ma voi non ne siete consapevoli”: Corano 2,154).
Le due “funzioni”
Senza entrare nelle diversità di concezioni del martirio tra sunniti e sciiti e nelle sue reinterpretazioni in epoca moderna e contemporanea, «possiamo affermare – conclude Manicardi – che il martirio nell’Islam comprende il senso del sacrificio di sé e anche l’idea della lotta contro l’ingiustizia, l’oppressione, l’idolatria».

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