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La riforma liturgica di Paolo VI ha rappresentato una rottura con il passato?

Paolo VI

© Giancarlo Giuliani / CPP/ CIRIC

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 17/03/15

Tradizione, lingua, e Messale Romano... ecco cosa c'è da sapere

Cinquant’anni fa, nella parrocchia di Ognissanti a Roma papa Paolo VI inaugurò, in un certo senso, la riforma liturgica con la celebrazione della Messa in italiano.

«Vi auguro che questa circostanza ravvivi in tutti voi l’amore per la casa di Dio», ha detto Papa Francesco nell’omelia della messa in occasione del 50° anniversario della prima celebrazione in lingua parlata, nella stessa Parrocchia di Ognissanti che, in preparazione dell’evento, ha promosso un convegno dal titolo  “Uniti nel rendimento di Grazie” (Vatican Insider, 6 marzo).

NON C'E' ROTTURA CON LA TRADIZIONE
Una svolta che appare innanzitutto di rottura con la tradizione secolare caratterizzata dal Messale promulgato da san Pio V. Ma che in realtà non lo è, come puntualizza ad Aleteia, don Francesco Mazzitelli, della Congregazione di Don Orione e attuale parroco di Ognissanti: «La tradizione liturgica, come afferma il cardinale Joseph Ratzinger, nella sua autobiografia, è un processo vitale e come tale è soggetto alla legge della crescita e dello sviluppo a questo riguardo, san Vincenzo di Lerino, nel Commonitorio, paragona lo sviluppo del dogma alla crescita del corpo umano: “La vita religiosa delle anime imiti la maniera di crescere del corpo, le cui parti, pur crescendo e sviluppandosi con gli anni, restano tuttavia sempre le stesse […] Così è bene che anche i dogmi della religione cristiana seguano questa legge di crescita, in modo da consolidarsi col passare degli anni, svilupparsi a loro tempo e approfondirsi nel corso delle generazioni”».

MESSALE IN CONTINUITA' COL PASSATO
Allo stesso modo, il Messale Ramano di Paolo VI, prosegue il parroco di Ognissanti, «è l’espressione dell’ininterrotta Tradizione della Chiesa. Esso è stato realizzato – sempre come afferma il cardinal Ratzinger, con il materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti e non c'è alcun dubbio che questo nuovo Messale comportasse in molte sue parti degli autentici miglioramenti e un reale arricchimento».

IL RUOLO DEL CONCILIO VATICANO II
Inoltre, nel suo libro sull’eucarestia, don Vincenzo Raffa dice che «il nuovo Ordo intende presentarsi, almeno in certa misura, come un edificio ripristinato nelle sue linee architettoniche essenziali ed originali più valide. La riforma si propose di riportarlo alla sua unità armonica, al suo disegno logico, alla funzionalità perfetta delle componenti, alla giusta dimensione delle singole parti, a un linguaggio chiaro e comprensibile». In sintesi, sentenzia Mazzitelli, «possiamo dire che il flusso dell’ininterrotta tradizione liturgica della Chiesa è confluito nel Messale Romano del Vaticano II».  

LATINO O VETUS ORDO?
Un altro problema da snocciolare è la questione della lingua. «Quando si parla di lingua latina, s’intende il latino o il Vetus Ordo? – si domanda Mazzietalli – Perché sembra necessario ricordare che anche l’editio typica del Messale Romano di Paolo VI è in latino». Se invece s’intende il Vetus Ordo, «bisogna considerare che la liturgia è l’epifania della Chiesa. Quindi non è solo una questione Liturgica ma Ecclesiologica. Che idea di Chiesa abbiamo? È quella del Vaticano II?». 

SBAGLIATO RIFUGIARSI NEL PASSATO
Inoltre come ha affermato monsignore Francesco Pio Tamburrino, vescovo emerito della diocesi di Foggia-Bovino (anch’egli ha preso parte al convegno): «La liturgia può essere paragonata ad una cartina al tornasole, che rivela la qualità di tutto ciò che sorregge l’atto del culto: anzitutto la fede del cristiano, ma anche l’ecclesiologia, la capacità di vivere ed esprimere la comunione, l’accoglienza e l’apertura verso il mondo». Pertanto, evidenzia il sacerdote, «la posizione vistosa di chi rifiuta la riforma liturgica per rifugiarsi nel passato nega ad un Concilio ecumenico e all’autorità della Sede Apostolica la facoltà di promuovere la revisione e la riforma della liturgia». 

CASI ECCEZIONALI LA CELEBRAZIONE CON IL VETUS ORDO
Per quanto riguarda il Messale Romano, l’Istruzione della Congregazione per il culto, del 14 giugno del 1971, aveva concesso la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. L’articolo primo della Summorum pontificum (7 luglio 2007) definisce l’uso del Messale Romano, promulgato da San Giovanni XXIII, lecito e mai abrogato, ma come forma straordinaria.

LE STORICHE PAROLE DI PAOLO VI
Di conseguenza per la forma ordinaria valgono ancora le parole di Paolo VI al Concistoro del 24 maggio 1976: “È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata […] Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino”.

L'OK DI PAPA FRANCESCO
Inoltre, in questi giorni, papa Francesco ha affermato: “E’ stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa avvicinarsi al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa, e questo è importante per noi, seguire la Messa così. E non si può andare indietro, dobbiamo andare sempre avanti, sempre avanti e chi va indietro sbaglia. Andiamo avanti su questa strada”. 

COLMATO IL GAP CON LA GENTE
Una valutazione su questi cinquant’anni per il parroco di Ognissanti «è certamente positiva ma ha bisogno di diverse considerazioni». In primo luogo «se la liturgia si fosse fermata a prima del Concilio Vaticano II e non si fosse avvicinata alla gente, per colmare il solco che si era creato lungo la storia, il divario sarebbe aumentato».

NON E' UN BILANCIO "ECONOMICO"
Secondo, il bilancio sulla riforma liturgica «non può essere letto come un bilancio economico, perché coinvolge diverse varianti: le rapide mutazioni della società, l’esaltazione dell’individuo, la libertà di coscienza. Non si possono opporre i comportamenti di una società almeno apparentemente cristiana ai germogli di una nuova personale presa di coscienza, frutto ancora immaturo della partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia».  Infine, «la risposta più bella alla partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia, come mezzo di promozione del vero spirito cristiano tra i fedeli, sono state tutte le aggregazioni laicali nate con il Concilio».

TRA ELOQUENZA DELLE LEGGI E PRATICA
Chiosa poi così Mazzitelli: «Mi piace concludere con delle parole tratte dall’Enciclica “E Supremi”, San Pio X: “Invero, ben poco interessa discutere sottilmente su molti problemi, e dissertare con eloquenza su leggi e doveri qualora tutto ciò sia separato dalla pratica. I tempi infatti esigono l’azione; ma questa deve essere tutta rivolta a rispettare integralmente e santamente le leggi divine e le prescrizioni della Chiesa, a professare liberamente e apertamente la religione, e infine a compiere opere di carità di ogni genere, senza alcun riguardo per sé o per gl’interessi terreni”.

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