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L’arte contemporanea può dare voce all’esperienza religiosa?

A musical group singing in a mass with an organ

© Chris Gent

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 16/03/15

Un convegno internazionale all’Università Gregoriana affronta il legame tra bontà, Verità e bellezza nello spazio dell’arte del nostro tempo

Papa Francesco nella Evangelii gaudium ha espresso l’auspicio della promozione delle arti nell'opera evangelizzatrice: come tradurlo nella vita della Chiesa? Come può coniugarsi continuità con il passato e risposta alle sfide del presente per trovare nuovi segni e simboli per la trasmissione della Parola? E come l’arte può aiutare I fedeli a fare, attraverso l’insieme dei sensi, un’esperienza religiosa autentica? Sono alcune delle riflessioni che saranno affrontate nel convegno internazionale “L’esperienza religiosa cristiana del vedere e dell’udire: per un’arte contemporanea” che si aprirà il 17 marzo alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Aleteia ne ha parlato con il Maestro Giorgio Monari, docente di Storia della Musica presso l’Università La Sapienza di Roma e l’Università Gregoriana e membro del Comitato scientifico del convegno.

Qual è l’obiettivo del convegno?

Monari: C’è l’intenzione di ripensare una concettualizzazione tradizionale che effettivamente oggi richiede una revisione. Lo stesso titolo del convegno non pone al centro termini come “arte” e “musica”, ma pone al centro l’esperienza del vedere e dell’udire, in modo che, a partire da questo, si possano ripensare i concetti, le discipline tradizionali, le pratiche artistiche e ciò che comportano. Per questo la parte finale del titolo è introdotta dalla preposizione “per” e dall’articolo indeterminativo “un’” arte contemporanea. E’, in fondo, la scommessa di questo convegno che è stata raccolta dai relatori che interverranno.

Come viene vissuto il rapporto tra musica e fede nell’età postmoderna la cui cultura, in larga parte, non parla di Dio?

Monari: C’è un punto di svolta epocale nella storia dell’ascolto musicale che è il passaggio dalla riproduzione musicale analogica a quella digitale e l’avvento di Internet. Questo cambia tutto ciò che per noi oggi è suono, canto e, in particolare, musica. La musica oggi non è più solo ovunque com’era nel secolo scorso grazie alle registrazioni e alla riproduzione meccanica, ma “è” – soprattutto – nello spazio della Rete, quasi al di fuori di ogni referenzialità. Nella cultura di Internet il valore del segno si assolutizza e questo riguarda anche il livello esperienziale, la percezione pura e semplice di quel che è musica, così come di tanti altri dati culturali. In qualche modo è come se questo segno perdesse le sue valenze di riferimento a contenuti e assorbisse nella sua immanenza una totalità valoriale. La preoccupazione, a questo punto, è che tale immanenza possa vanificare ogni altra aspirazione della realtà “reale” e, quindi, ciò che può riguardare il valore di sacralità, di spiritualità. Questi nuovi paradigmi che non sono riducibili all’esperienza della tradizione, esigono valutazioni nuove e ancora prima di parlare di musica è il senso stesso della presenza sonora epocale che ha bisogno di una nuova riflessione, anche in relazione a quella che può essere la celebrazione liturgica. E’ un tentativo in corso a vari livelli. D’altra parte, però, la concentrazione del valore in questa nuova forma di realtà che è Internet lascia libero tutto un campo nella realtà tradizionale, “reale”, dove ancora può essere presente tutta la dimensione estetica consueta e dove quindi si deve comunicare anche attraverso quella che è la prassi tradizionale e i repertori, i generi, e gli stili, lasciando un po’ da parte certe polemiche ormai forse un po’ poco argomentabili, perché, come dice ad esempio, il teologo Sequeri, il popolo non ne può più di motivetti orecchiabili e di pensierini banali e di una comunicazione solo aggregante.

La riforma liturgica operata dal Concilio Vaticano II quali effetti positivi e negativi ha comportato sulla musica nella liturgia?

Monari: Il cambiamento operato dal Vaticano II è talmente grande che è anche un po’ difficile riassumerne la portata. Il punto oggi non è tanto discuterne l’efficacia per quanto riguarda la presenza e il valore dei canti, della musica nella vita della Chiesa che da allora ha già compiuto un lungo cammino in questi 50 anni e che vive oggi in un ambiente, in un mondo diverso. Alcuni concetti erano allora centrali, oggi lo sono molto meno. Nella contemporaneità si pongono nuovi concetti e nuove sfide. Si pensi allo spazio ridotto che è dedicato nel testo conciliare alla questione del rapporto con i mezzi di comunicazione, oppure la sottolineatura presente nei testi di evitare differenze di riti tra regioni vicine: all’epoca non si poteva tener conto di cosa sarebbero divenuti i confini nell’epoca di Internet e delle grandi migrazioni, delle grandi unità politiche sovranazionali. Il valore speciale della partecipazione su cui il testo conciliare si sofferma molto e che ha molto a che fare con gli usi musicali attuali, assume ai nostri giorni un valore enorme ma molto complesso da attuare. Soprattutto perché oggi sono proposti dalla cultura globale modelli in cui la partecipazione è vissuta soprattutto in modo passivo o comunque in modo estremamente ristretto e regolamentato dai grandi controllori dei mezzi di comunicazione e di gestione dei contenuti. In effetti dopo 50 anni c’è qualcosa di incompiuto nell’attuazione dei dettami conciliari, almeno per quanto riguarda l’ambito della musica, della liturgia cantata o con musica. Ma più che motivo di ulteriore polemica o lamentazione questa incompiutezza può rappresentare un’opportunità nuova e, forse, solo oggi se ne può cogliere il senso pieno.

Papa Francesco auspica che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice: come può tradursi nell’attività pastorale di una diocesi o di una parrocchia? Lei conosce delle sperimentazioni recenti di questo tipo?

Monari: L’evangelizzazione ci pone di fronte all’uomo con tutte le sue facoltà e quindi anche quelle che riguardano le arti, la loro pratica, la creatività. La risposta non è mai in una formula. Può apparire banale, ma è importante ricordare che lo Spirito soffia dove vuole. Quando trovo un’assemblea partecipe, attenta, una celebrazione vissuta con coscienza, con spirito di passione, nell’amore vero, mi trovo di fronte a qualcosa di molto bello e, in un certo senso, molto musicale. Questo avviene sia che si tratti di una celebrazione in canto gregoriano – come mi è capitato recentemente nel cuore del Brasile, nel monastero di san Benedetto a San Paolo, dove i monaci raccolgono un gran numero di fedeli partecipi, anche senza cantare, per la Messa domenicale -;  sia che si tratti di una liturgia cantata da un coro popolare di bambini, con tutti i suoi limiti, in un quartiere di periferia, come avviene nella gioiosa Messa domenicale di bambini alla Chiesa del Santo Volto nel quartiere della Magliana a Roma. Dalla liturgia officiata e partecipata, viene tutto il resto. Gli artisti possono fare molto se si aprono a questa grande ricchezza umana e spirituale e questo è di solito un pregio e un segno delle migliori sensibilità artistiche. Verso queste sensibilità artistiche mi pare importante essere disponibili e attenti perché possa verificarsi un incontro felice.

Il convegno si svolge nell’Università dei Gesuiti che nella loro storia hanno sperimentato forme particolari di uso della musica per l’evangelizzazione, per esempio nelle reducciones. Quale insegnamento può offrire questa esperienza per l’oggi?

Monari: L’esperienza in campo artistico e musicale della prima Compagnia di Gesù, sia in Europa che nelle terre di missione, è impressionante. Ed è fondamentale per la storia della cultura internazionale, in modo particolare per la musica. Si può pensare all’esperienza delle missioni latino-americane ma possiamo ricordare anche l’Oratorio romano, questo grande genere musicale da cui viene poi l’apice della composizione di Haendel, il Messiah. L’Oratorio nasce a Roma e in buona parte si diffonde grazie ai gesuiti che promuovono i grandi compositori dell’epoca. Nomi forse non molto noti, ma che hanno avuto un ruolo importantissimo nella storia della musica, come Carissimi, Zipoli, o il francese Charpentier: per intenderci, quello della sigla dell’Eurovisione tratta dal suo Te Deum. Anche i contatti musicali con la cultura cinese si devono ai gesuiti. A riguardo non mancano gli studi, anche se relativamente recenti, tra i quali c’è anche una piccola sintesi per la rivista ignaziana sulle reducciones latino-americane. La Compagnia quando è “risorta” all’inizio dell’Ottocento ha reinterpretato il proprio ruolo in modo in buona parte nuovo e diverso dai secoli precedenti, abbandonando tanto di queste tradizioni che la Compagnia stessa aveva contribuito a fondare e a diffondere. Anche perché quelle stesse esperienze artistiche passate erano al centro di polemiche e critiche da parte di una certa cultura dei secoli passati. Oggi il clima è diverso e finalmente si torna a guardare a quelle tradizioni, anche da parte della stessa Compagnia e a quello che hanno rappresentato allora e rappresentano per noi oggi, come patrimonio culturale e spirituale ma forse soprattutto come esempi cui guardare, anche criticamente, per interpretare in modo altrettanto significativo oggi il ruolo della bellezza evocata da papa Francesco nella vita della cristianità dei nostri tempi. 

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